[Test] Redshift Arclight Pro Clipless
La prova su strada
La prova su strada
Testare questi Redshift Arclight ha richiesto una quantità di tempo solo apparentemente inusitata per un set di pedali.
Non mi stanco di ripetere: qui di fatto abbiamo quattro pedali, quindi tutto il lavoro si è moltiplicato.
Anche se per ridurre i tempi ho usato i pedali per lo più in configurazione doppia funzione, ossia con un lato flat e quello opposto con gli attacchi Spd.
Tanto si trattava solo ogni volta di usare il lato giusto, certo non si pedala coi piedi sopra e sotto…
E poi ovviamente col pedale in configurazione nuda, senza la struttura perimetrale.
Mi sono soffermato poco sulle luci, le ho già ampiamente recensite, qui mi interessa concentrarmi sul pedale in sé.
Per farlo ho usato molte bici diverse: gravel, trekking, urban, sia classiche che a pedalata assistita.
L’incredibile versatilità degli Arclight ha messo a dura prova la mia fantasia.
Ultima considerazione prima di far frullare le zampette.
I pedali sono importantissimi nella dinamica della guida della bici e nella trasmissione dell’energia. Se usiamo spesso proprio loro come sinonimo di bici, il sottotitolo di questo blog è proprio “la vita sui pedali”, indica chiaramente il loro ruolo fondamentale.
Alcuni li snobbano, altri si concentrano solo sul peso, tanti si limitano alla distinzione tra strada e fuoristrada.
E in troppi dimenticano che il pedale da solo, per quanto eccellente, può poco se non è supportato da una scarpa specifica.
Potrai avere i migliori flat del mondo per rigidità e ampiezza superfice: se pedali in infradito perdi tutto.
Non significa che o hai lo scarpino con suola in carbonio o tanto vale resta a casa. No, esistono centinaia di ottime scarpe da ciclismo, studiate per le diverse discipline e anche per come il ciclista ama vivere quella disciplina.
Insomma, parafrasando uno dei migliori slogan pubblicitari: il pedale è nulla senza scarpa adatta.
Perché ribadisco l’ovvio? Perché è successo durante altre recensioni di pedali che qualcuno mi abbia fatto notare che non posso in un test scindere il pedale dalla scarpa.
Cosa che infatti io non faccio: isolo il pedale, che è cosa del tutto differente.
In che modo? Semplice, usando scarpe con cui pedalo da tempo, sempre le stesse e di cui conosco le caratteristiche. Una volta che hai un punto fermo, la scarpa appunto, puoi comprendere come interviene il pedale.
Ma adesso basta tediarvi con le considerazioni preliminari e inforchiamo una bici gravel per pedalare agganciati.
L’innesto delle tacchette è immediato, segno della precisa lavorazione degli agganci. Agganci ovviamente regolabili nella tensione, grazie alla piccola brugola posta sul retro di ogni attacco.
L’attacco sporge in altezza rispetto alla piattaforma del pedale, come è giusto che sia; quindi nessun problema di interferenza o difficoltà di innesto usando scarpe da fuoristrada dalla suola molto tassellata.
Piattaforma che può essere sfruttata per avere ulteriore superfice di spinta, anche se poi subentra la foggia della scarpa a fare da scriminante.
Gli scarpini con punta molto curvata non riusciranno a poggiare; di solito è la foggia delle calzature più sportive, studiata per favorire la cosiddetta pedalata rotonda.
Scarpe dal profilo più piatto, penso alle tante da trekking e gravel, sempre con tacchette Spd, si troveranno subito a proprio agio con gli Arclight.
Sempre l’ampia superfice si presta perfettamente a essere sfruttata in quei passaggi dove tendiamo a sganciare per avere azione immediata nel caso serva la zampata a terra.
L’uso dei pin a pedale in configurazione con attacchi non è necessario.
Con alcune calzature, soprattutto quelle che hanno una tassellatura della suola molto pronunciata ai lati della zona tacchette, capita che arpionino la scarpa e rendano quindi meno immediato l’aggancio.
Una valida soluzione può essere quella di montarne qualcuno solo nella zona posteriore del pedale, giusto per chi voglia quel plus di presa nei passaggi sganciati. Ma lo dico più per dovere di cronaca che per reale necessità.
La presenza degli attacchi non deve però indurci a classificare gli Arclight solo come pedali specialistici, da veterani dell’off road.
Abbassando la tensione della molla sia aggancio che soprattutto sgancio sono velocissimi, senza impuntamenti. E il loro fattore forma li rende adattissimi anche a bici da trekking ed e-bike. Oltre una certa distanza pedalare con scarpini specifici e agganciati ha indubbi vantaggi, quale che sia il tipo di bici.
Inoltre sempre l’ampia superfice favorisce l’uso di scarpe Spd dalla foggia più “casual”, quelle per capirci che permettono anche di camminare ma che sappiamo hanno suola per questo più morbida (quindi minore trasmissione dell’energia sul pedale) e che potendo contare sull’estensione della zona di spinta riescono a rendere meglio.
Esistono tante scarpe con attacchi per uso “disinvolto”, una la vedete pure nelle immagini a corredo del test, io consiglio sempre l’uso degli attacchi.
Con una scarpa così usare anche i pin ha senso, proprio perché la loro forma più piatta permette di avere ulteriore ancoraggio. Che si rivela comodo, giusto a titolo di esempio, se con la bici da trekking stiamo attraversando un centro urbano con molto traffico. A patto la suola sia liscia.
Molto di buono emerge usando i Redshift Arclight in configurazione con attacchi; ma molto altro risalta quando gli attacchi li rimuoviamo.
Senza più il filtro dell’attacco, che limita l’appoggio completo della scarpa, ti accorgi subito della grande rigidità del corpo pedale.
Non solo la piattaforma ma anche l’asse, tra l’altro dalla scorrevolezza eccellente ed immediata (non serve nemmeno quel minimo rodaggio della versione City) rimandano solidità.
Una solidità che non è solo sinonimo di eccellente trasmissione dell’energia ma anche un validissimo supporto nella gestione della bici, nella sua guida.
Ovviamente usando i pin, altrimenti la superficie non permette ancoraggio, ed è normale.
Bene, devo dire che in uso flat il controllo della bici è eccellente. Mi riferisco alle tante manovre, soprattutto in discesa, quando serve caricare bene per tenere la bici al suolo.
La senti, letteralmente, sotto i piedi. Con alcune delle bici usate, soprattutto quelle che in discesa sono particolarmente performanti, ho potuto godere di un controllo perfetto, riuscendo a caricare la bici quando necessario e sempre con la precisa percezione di cosa stesse succedendo sotto le ruote.
Non solo. Durante una uscita con altra bici, una Brinke Overland Sport Di2 di cui leggerete il test credo a settembre, in discesa mi sono sempre tenuto dietro tutti (e in discesa non si usa assistenza…) proprio grazie al controllo superiore che mi è arrivato da questi Arclight, perché riuscivo a tenere la bici al suolo e in traiettoria lavorando di pressione sui pedali. E se date una occhiata alla bici, potete capire che toccare gli 87 km/h con lei non è proprio semplicissimo…
Però in questi casi uso il lato con aggancio, sia perché pedalare agganciati permette la giusta rotondità dell’azione e sia perché “senti” la bici.
Per questo io consiglio sempre l’uso delle tacchette
Ma vuoi per il tipo di bici, di percorsi, di disciplina, un ottimo flat riesce a svolgere il suo lavoro.
Ed è naturalmente in caso degli Arclight. Altrettanto naturalmente usandoli in configurazione flat, quindi obbligatoriamente con i pin, la scarpa dovrà avere suola liscia. Non tormentata come quella di una scarpa da Mtb.
Questo perché, come per ogni flat con i pin, una suola troppo tassellata finisce con il rendere più difficile trovare subito la giusta posizione di spinta. Se guardiamo infatti una suola da Mtb vediamo che tra i tasselli ci sono degli spazi, che servono a garantire grip a piedi ed evitare l’eccessivo accumulo di fango.
E in questi spazi, o per meglio dire contro la faccia esterna dei tasselli della suola, ovviamente i pin del pedale si infilano.
E’ una cosa normale, di qualunque pedale flat con pin. Questo significa anche che un pedale flat non è sempre sinonimo di pedale “generico”. Anche loro vogliono le giuste scarpe.
Segnalo sul punto l’esistenza di ottime scarpe da ciclismo studiate apposta per pedali flat, alcune non sembrano nemmeno troppo tecniche e ben possono figurare in abbigliamento “civile”.
Però questo solo se decidiamo di spingere; perché in uso disimpegnato una paio di scarpe civili, magari da trekking moderato (non gli scarponcini da montagna per capirci) vanno benissimo.
Ovviamente con calzature non specialistiche abbiamo molta dispersione dovuta proprio alla scarpa. Ma possiamo comunque contare sempre su grande appoggio del pedale e sua rigidità. Sono sprecati usati così, d’accordo. Ma se si è pedalatori seriali, di quelli che prendono la bici a ogni occasione e non solo per l’uscita sportiva, va benissimo.
Questo mi introduce alla mia configurazione preferita per questo pedale: doppia funzione.
Grazie alla sua modularità, alla semplicità con cui possiamo smontarlo (però attenzione in fase di riassemblaggio), togliere gli attacchi da un lato installando i pin e lasciando l’aggancio sul lato opposto li trasforma in uno dei migliori doppia funzione che mi è mai capitato di provare.
E io ne uso tanti, da anni, per me sono spesso quasi obbligatori durante i test gravel e trekking/urban. La loro praticità unita alla peculiarità della mia metodologia di test me li fa preferire da tempo.
L’assenza di qualsivoglia attrito dell’asse, vellutato nella sua rotazione, fa si che ci si ritrovi sempre col lato flat subito disponibile.
Il minimo peso dell’aggancio è sufficiente a garantire la rotazione.
Quindi sappiamo che ogni volta vogliamo agganciare basta un leggero tocco di punta per far ruotare il pedale e avere i nostri attacchi. Un unico movimento fluido, ci si abitua in poco, grazie anche alla precisa lavorazione degli attacchi, e la pedalata più sportiva (o rotonda) è servita.
Ovviamente a seconda del lato che vogliamo usare valgono le singole considerazioni fin qui svolte.
Per questo ho sintetizzato, seppure proprio tenerli in configurazione doppia funzione sia diventata la mia prima scelta, anche a test chiuso. Infatti i Redshift Arclight hanno traslocato in pianta quasi stabile sulla Trek Checkpoint che uso per i test gravel e stanno passando da una bici test all’altra se non è materiale stradale sportivo.
E ora arriviamo all’ultima configurazione: Spd nudo.
Una configurazione residuale ma solo perché se usi esclusivamente pedali nudi non vai certo a prenderti questi Arclight, suppongo…
Residuale non significa che i nostri pedali non riescano ad eccellere anche qui.
Certo, si rinuncia anzitutto al segno distintivo degli Arclight che, come dice il nome, hanno nelle luci il loro cavallo di battaglia.
Si rinuncia al plus di superfice di appoggio, seppure non tutta sfruttabile usando calzature più sportive.
Però si rinuncia anche a una buona percentuale di peso, oltre un terzo, e questo nell’ottica dell’uscita sportiva ha senso.
Tanto rimuovere le piastre di appoggio è davvero un attimo; solo, come vi ho detto nel paragrafo precedente, massima attenzione al verso di rimontaggio altrimenti le luci sfasano.
Come Spd nudo, senza la struttura ad aiutare, la scarpa riveste un ruolo fondamentale. Ma se il pedale è cattivo, pure la scarpa ne risente; e viceversa.
Durante le pedalate nude (del pedale, mica io, sia chiaro…) ho usato sia una calzatura da Mtb rigida, sportiva; e sia una scarpa da gravel, dalla suola complessivamente più elastica ma non certo cedevole.
Scarpe che ho recensito e che tutt’ora uso, quindi la variabile viene meno.
Si apprezza ancor più la rigidità dell’asse, di fatto è lui (per la percentuale di lavoro che compete al solo pedale) a sobbarcarsi il compito di non farci disperdere energia.
Rigidità che investe anche la struttura su cui è infulcrato l’attacco, così da avere un Spd molto performante anche se poco più pesante di altri colleghi.
Però il peso per un pedale spesso è arma a doppio taglio: in alcuni casi la spasmodica ricerca della leggerezza, soprattutto coi pedali strada, si traduce in una loro eccessiva flessione, a discapito dell’efficacia.
Insomma, coi pedali capita a volte che peso significhi anche sostanza; e qui la sostanza c’è. E sia chiaro, non parlo di due macigni.
In definitiva come li metti li metti, a usare una espressione tipica delle mie parti, questi Redshift Arclight eccellono sempre.
E poi ci sono loro: le luci.
Che fino ad ora non ho trattato manco di striscio e infatti non lo faccio nemmeno adesso.
No, ne parliamo nel prossimo paragrafo, dedicato alle conclusioni.
Dove troverete anche la video recensione.
Voltiamo pagina.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.