Bicycles past, present and future
E’ possibile ripercorrere tutta la storia della bicicletta in un solo libro? No.
Però è possibile segnalare alcuni modelli significativi; e anche se la scelta è ardua perché sempre scontenti qualcuno, c’è chi riesce a fornire una galleria interessante.
Quello che ha fatto Roberto Gurian col suo bel libro fotografico “Bicycles past, present and future”.
Non una selezione omnicomprensiva, certo. Che sarebbe stata impresa epica e avrebbe richiesto decine di volumi. Ma pur sempre una selezione significativa anche se in un paio di casi avrei scelto modelli diversi per illustrare alcune caratteristiche.
Già, far contenti tutti è impossibile…
Un occhio di riguardo c’è per i marchi Italiani, come facilmente intuibile dalla copertina dove capeggia una (mezza) Colnago Cf2. Mentre sulla quarta di copertina abbiamo una (sempre mezza) Kirkpatrick: colei da cui tutto è nato, secondo alcuni.
Quasi a voler rimediare perché per la maggioranza è la Draisina colei che segna l’avvento della bici, in apertura all’interno è proprio questa a confrontarsi con la Colnago.
Disputa che non mi ha mai appassionato: la Draisina non aveva i pedali, si contesta, e quindi non può essere definita a pieno titolo la capostipite della bicicletta.
Però se non ci fossero state la fantasia visionaria, e anche l’audacia, del Barone Karl Christian Ludwig Drais von Sauerbronn (ricordo che non mancavano solo i pedali: anche i freni…) nel montare due ruote in linea e scendere a rotta di collo dalle colline della sua tenuta, non avremmo scoperto che l’equilibrio è possibile.
Insomma, la volontà di chiarire da subito l’intenzione di affrontare un lungo percorso c’è tutta. Non si giudica il libro dalla copertina però, quindi diamo una occhiata a cosa troviamo al suo interno.
Una occhiata sommaria, ovviamente: non posso certo pubblicare qui tutte le oltre 270 pagine che lo compongono.
Occhiata sommaria e quindi, con pessimo gioco di parole, partiamo dal sommario.
Breve premessa: le foto sono volutamente poco fruibili, nel senso che è lampante siano state fatte a libro aperto e senza distendere per bene le pagine. Crearle perfette avrebbe significato riprodurle, ossia una violazione del diritto d’autore. Queste è davvero impossibile scaricarsele e stamparle o pubblicarle altrove…
Sommario, vediamo.
La divisione scelta dall’autore è quella in: First bicycle, modern bikes, modern racing bikes, handmade bikes, concept bikes, mountain bikes e infine pedal-assist bike.
Non riporto in inglese per mia improvvisa esterofilia ma perché i testi che accompagnano le immagini sono, come spesso in questi casi, nella lingua del Bardo.
Ed ecco partire proprio coi due modelli della querelle appena ricordata: la creature di Karl von Drais e quella di Kirkpatrick MacMillian.
Sulla prima spingi piedi a terra, sulla seconda hai i pedali che però non sono pedali, anzi la trasmissione a pedali così come la conosciamo noi: il sistema ad aste è del tutto simile a quello delle automobiline a pedali con cui giocavano da bambini. Giocavamo noi che adesso viriamo sul brizzolato.
L’efficacia meccanica non doveva essere delle migliori; eppure per dimostrare la validità della sua idea, il nostro Kirkpatrick percorse 14 miglia in una ora, quindi a oltre 22 km/h di media e si sorbì 62 miglia in una giornata. Mica male!
E soprattutto era autonomo negli spostamenti e sicuramente più efficace della “camminata” a cui ti obbligava la Draisina. Dove una velocità decente la ottenevi sono scendendo dalle colline e, se ci pensiamo, von Drais potrebbe a buon titolo essere definito anche l’inventore del Downhill…
Ma non siamo qui per discutere degli albori del ciclismo, quindi proseguiamo nell’esplorazione del nostro libro.
Tutto il contenuto ho già detto non sarà mostrato. Quindi dalla selezione operata dall’autore ho estrapolato io una ulteriore selezione. Scegliendo modelli che per vari motivi sono meno conosciuti o illustrati.
Per esempio la Bianchi con cui Gianfranco Tommaselli corse il Paris Grand Prix: una sorta di campionato mondiale di velocità su pista.
Oppure la Peugeot con cui Lucien Georges Mazan, meglio conosciuto come il Piccolo Bretone, correva (e vinceva) le massacranti corse su strada dell’epoca.
Che poi chiamarle corse su strada è un eufemismo: roba che il moderno gravel è pallida eco. E che non è certo invenzione attuale…
La bici però non è stata solo sinonimo di libertà o testimone di fenomenali imprese sportive.
Suo malgrado fu arruolata in entrambi i grandi conflitti mondiali; e sono certo con suo disappunto.
E così abbiamo la bici dei nostrani Bersaglieri (pieghevole, te la caricavi in spalla a mo’ di zaino e concettualmente il sistema ricorda parecchio quella della più famosa pieghevole moderna…), la stranissima Capitaine Gérard col sellino montato esattamente sopra la ruota posteriore; e modelli più pacifici, come la famosa Bsa in uso ai pompieri inglesi e la assai meno nota Steyr Waffenrad il cui telaio recava gli attacchi per una struttura a croce che permetteva di unire due bici e ottenere una lettiga porta feriti. Siamo nel 1896, i motori non ancora così diffusi.
Che la bici sia stata ampiamente usata nella Grande Guerra lo sanno tutti; più rare quelle usate anche nel successivo conflitto mondiale, in un periodo in cui la motorizzazione era una tecnologia acquisita e ampiamente sfruttata.
Per questo trovo interessante la scelta dell’autore di aprire la sezione Modern Bike con la pieghevole Bsa Airbone; bici in uso alle truppe inglesi nel 1940.
Io l’ho sempre trovata una delle bici più belle mai prodotte: il suo design semplice ed elegantissimo non la farebbero sfigurare nemmeno adesso, anzi.
C’è tanta Italia in questo libro quindi non stupisce l’omaggio alla iconica Graziella.
Stupisce invece la presenza della Rossignoli Garibaldi 71, una finto vintage come se ne vedono tante.
Certo, il marchio è pur sempre un pezzo di storia del nostro ciclismo ma non è certo stato scelto un suo modello particolarmente significativo. Come si è fatto per introdurre le bici da turismo e trekking, selezionando una banale Bottecchia Lite Cross; che nulla spartisce con le gloriose Bottecchia del passato e nulla innova in quanto assemblata con quanto già in giro da molti anni. E, aggiungo, anche di molto superiore.
E malgrado sia risaputo il mio debole per le Peugeot, nemmeno comprendo perché a fronte di un sì ampio catalogo della casa francese si sia scelto anche qui di mostrare una replica finto vintage come la LC11.
Approvo in pieno invece la scelta di mostrare la Schwinn Vestige. Bici recente, è stata lanciata nel 2010.
Bici elegantissima con il suo particolare telaio in legno; materiale usato anche per gli accessori.
Tra una Brompton e una non certo epocale Dawes Galaxy merita spazio una altra bici sconosciuta al grande pubblico malgrado il blasone: la BMW Cruise M-bike.
Guardando al suo allestimento non luccicano certo gli occhi; a un più attento esame però non si può non apprezzare l’andamento del carro, coi pendenti alti che partono dall’orizzontale e fasciano il piantone. Mi sarebbe sempre piaciuto scoprire se e quanto questa soluzione tecnica sia efficace ma non ne ho mai avuto occasione.
Sfogliando altri modelli non troppo interessanti si arriva alla successiva sezione dedicata alle moderne bici sportive.
Che però apre con la bellissima Legnano usata dal nostro grande Gino, in versione con cambio ad asta: un capolavoro.
Mi piace la scelta di dedicare molte pagine di questa sezione “moderna” con innumerevoli richiami al passato. Ci si gusta appieno l’evoluzione tecnica.
Non si può citare Bartali tralasciando Coppi e quindi ecco subito dopo il doveroso omaggio a una delle bici usate dall’Airone: la Bianchi Campione del Mondo del ’53, nel caratteristico azzurro Bianchi.
Di una decade successiva una altra bici che ha sempre popolato i miei sogni notturni: la Gitane di Anquetil del 1963.
Fin troppo facile trovare in tante bici nate nella mia officina espliciti richiami…
Il periodo è quello, quindi subito dopo ecco la Chiorda Magni di Gimondi.
Bella senza dubbio, ma vogliamo mettere con l’eleganza della Gitane? Ahhhhh, sospiro…
Se non puoi dire Bartali senza Coppi, nemmeno puoi citare Gimondi senza ricordare il suo grande avversario; anzi, la sua bestia nera: il Cannibale.
Ecco così comparire la bici costruita insieme a Colnago per il record dell’ora del 1972 e la efficacissima De Rosa del 1974. Il marchio sull’obliquo è su entrambe il nome del pluricampione belga, ma le mani fatate che diedero vita a quei telai no.
Mi avrebbe stupito non trovare la Cinelli Laser. Solo Cinelli, non me ne vogliano gli altri, avrebbe potuto immaginare e ardire tanto. Altro mio sogno notturno, confesso.
Di dieci anni antecedente alla Laser e infatti è impaginata prima (sono io che per mie esigenze di impaginazione l’ho spostata…) una altra Cinelli. Che come bici in sé non è miracolosa: però ha i pedali con attacco.
Alt! Prima di obiettare fate caso alla data: 1970. Ossia sedici anni prima dell’avvento dei Look, su bicicletta della casa ca van sa dire…
Con questa bici Greg LeMonde vinse il Tour del 1986 e la presenza dei pedali ad attacco, quelli destinati a diventare sinonimo di pedale stradale, fece passare in secondo piano la bellezza di questo telaio in tubi di fibra di carbonio e kevlar, uniti mediante congiunzioni in alluminio.
Gli anni ottanta non furono però solo pedali con attacchi e chiome cotonate ma anche un periodo in cui il nostro ciclismo strizzava l’occhio al mondo della Formula Uno. O viceversa se preferite.
Così ci imbattiamo nella Lotus usata alle Olimpiadi del 1992 (ma il progetto è antecedente) da Chris Boardman.
E nella particolare Colnago da pista nata in collaborazione con la casa del Cavallino.
Passando dalla bici del Re Leone a quella del Pirata, con intermezzi vari, arriviamo a una altra collaborazione tra due mondi apparentemente distanti con la Specialized S-Works McLaren Tarmac.
Per imbatterci poi in una altra Specy: quella del nostro Squalo vittorioso nel Tour del 2014.
Originale la selezione operata nella sezione successiva, quella dedicata alle bici artigianali. Non il ricorso ai soliti noti ma la voglia di mostrare (anche) piccole produzioni particolari.
Come la BME B-9, una Bat-bici distribuita in soli 100 esemplari.
Per chi trova difficile appassionarsi agli angoli netti della BME arriva in soccorso la Rusby Cycles: classica che più classica non si può. Malgrado la trasmissione a cinghia. Però tutto il resto è come deve essere su una bici…
Segnalo come curiosità e come occasione persa la Veloboo di Antal Szlay in versione gold.
Telaio in bamboo che di per sé non è novità e a me è sempre stato simpatico. Peccato che il produttore abbia rovinato tutto placcando in oro tutto ciò che poteva. L’effetto finale è inquietante…
Però possiamo rifarci gli occhi ammirando il fascino del titanio con uno dei modelli proposti dalla australiana Vuelo Velo.
Il modello scelto è la Copenaghen: pulizia delle linee encomiabile, anche per la elaborata forcella.
Sorrido quando leggo in rete i leoni da forum affermare sicuri che in Australia manco sanno cosa sia il ciclismo. Lo sanno invece e molto meglio di noi…
O almeno molto meglio di tanti di noi, che pure abbiamo eccellenze anche se spesso le ignoriamo. Per questo mi ha fatto piacere trovare la Italia Veloce Magnifica: sempre amato la sua forcella con la testa elegantemente lavorata.
Ovviamente la sezione dedicata alle bici artigianali non si esaurisce qui; altre ce ne sono ma come detto non posso certo presentare ogni pagina.
Preferendo quindi andare alla sezione successiva, rara in questo tipo di pubblicazioni perché dedicata alle concept bike.
Avranno un futuro? Resteranno bei disegni su carta o prototipi ottenuti con stampanti 3d? Non lo so.
So che il mio tradizionalismo mi farebbe faticare ad accettare la Sada Bike.
Capitemi: ho fatto della raggiatura delle ruote un mio cavallo di battaglia, se questa Sada avesse successo io che farei? 😀
Però che si riduce alle dimensioni di un ombrello è uno spasso…
Tanti altri modelli presentati, molti solo disegni e scusate se non li mostro: troppo lontani dal mio mondo a pedali.
Non così lontano invece il mondo successivo: la Mtb. Che sapete non bazzico troppo ma in fuoristrada ci vado. Solo mi piace farlo impugnando una piega da corsa.
E non sono l’unico, come dimostra la Specialized StumpJumper modificata con piega e comandi bar end: mi ricorda qualcosa che facevo già da ragazzo…
Voltiamo pagina e attraversiamo l’Atlantico per approdare a un classico di casa Cinelli: la Rampichino. La e non il, please…
Manubrio dritto a parte (che infatti sostituivo) queste Mtb e la Rampichino in particolare conservano un fascino che le moderne e iperteconologiche astronavi non possiedono. O forse le amo perché mi rimandano indietro nel tempo.
Fascino diverso nelle creature dell’americano Brent Foes.
Ignoro quanto e se fossero efficaci i suoi telai in scatolato d’alluminio: però avevano il sapore dell’artigianalità assoluta. E la sua LTS resta uno dei più bei esempi di design al servizio della tecnica.
Design che invece manca ad una delle più brutte Mtb mai prodotte: la Cannondale Raven.
Sarà stata efficace, piacevole da guidare, quello che volete: io l’ho sempre trovata inguardabile.
Altri modelli conquistano le pagine della sezione dedicata al fuoristrada e tra questi anche la assai conosciuta Surly MoonLander.
Che non ha inventato il fenomeno fat bike ma ha avuto e sta avendo il gran pregio di renderlo facilmente accessibile a tutti senza dover chiedere un mutuo.
Ultima sezione riservata alle E-bike. Di cui sapete non sono fan. Non per oltranzismo ideologico: mi piace sapere di avercela fatta solo con le mie gambe, tutto qui.
Però la sezione si apre con un colpo di scena inaspettato e da me assai gradito: il VéloSolex.
Ok, aveva motore a scoppio e non elettrico: ma sempre una sorta di pedalata assistita era. Però al contrario, nel senso che dovevi pedalare per assistere il motore che altrimenti arrancava. A me piaceva da pazzi e non ho mai potuto averne uno. E si che la volevo.
Avete presente Robert Redford ne “I tre giorni del Condor”? Sai che figata girare per New York su questo cosino sputazzante? Anche essere Robert Redford vabbè…
Si parte del VéloSolex, sparisce il Vélo e resta il marchio Solex dove al posto del monocilindro da meno di mezzo cavallo arriva un motore elettrico. Più ecologico, più efficace, più quello che volete: però il fascino non è più quello…
Voi direte: embé, pure noi avevamo la nostra bici a motore. Vero, il Mosquito fu il capostipite di una pletora di motori ausiliari da collegare a una bici. E infatti nel libro c’è. Però non lo mostro e vi faccio vedere invece come la pubbliazione chiuda con la citazione delle moderne Mtb e trekking a pedalata assistita.
Già: passato, presente e futuro. Tutto ricapitolato nell’utile indice analitico che occupa le ultime pagine.
E’ un libro interessante, da sfogliare e gustare più che leggere. In alcuni casi avrei selezionato bici diverse come paradigmatiche di uno stile o uso. Ma le bici create sono tante, troppe. I ciclisti pure e farli contenti tutti è impossibile.
Però puoi soddisfarne una buona parte e questo libro, a mio avviso, ci riesce.
Chiudo augurandovi buona lettura e non buone pedalate come mio solito: pedalare leggendo è pericoloso 😀
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.