Occasione sprecata
Abbiamo perso un’occasione e ne stiamo pagando le conseguenze.
Sapevamo da mesi che il trasporto individuale sarebbe stato uno dei punti da risolvere, perché nessuno si faceva illusioni che in una sola estate le grandi città sarebbero riuscite a colmare i gap decennali del trasporto pubblico.
In piena emergenza ne parlavo già, vi cito solo due articoli: Mobilità sostenibile? Non mi faccio illusioni e Non sciupiamo questa opportunità
Sapete, o almeno sa chi mi legge da tempo, che il bonus mobilità tra poco a regime non mi ha mai convinto.
E che ritengo una seria politica di interventi infrastrutturali quella realmente capace di incentivare l’uso della bici per gli spostamenti quotidiani.
Pochi giorni fa l’antropologo Franco La Cecla dalla pagine del quotidiano Avvenire ha lanciato il proprio j’accuse contro l’utilizzo dei Suv in città.
E seppure non condivida in toto l’acuta analisi del Professore La Cecla per una certa generalizzazione (che però sembra più figlia della necessità di contenere il numero di battute che altro) è innegabile che l’uso delle automobili in città è un controsenso.
Soprattutto nelle nostre città, grandi o piccole che siano, nate tutte molti secoli fa e con una pianta urbanistica coltivata su tutt’altre esigenze.
Molti anni fa venne nella mia città mio cugino, nato e cresciuto in USA; vide una Fiat 126, sorrise; lo accompagnai in giro per il centro antico, capì che pure una 126 aveva difficoltà in quegli stretti vicoli.
Non mi iscrivo alla schiera di chi sogna un mondo senza auto, ne riconosco l’utilità.
Faccio parte di quelli che ne riduce l’uso allo stretto indispensabile, e infatti l’unico parametro a cui ho sempre dato peso è il volume del bagagliaio.
Non un feticcio, men che meno una passione.
Per me è mezzo di trasporto in determinate occasioni necessario (raramente supero i 4000km annui) ma necessario anche per mancanza di alternative.
Gli autobus non accettano bici, i treni solo di rado.
Ci sono distanze e luoghi che non puoi raggiungere solo pedalando, non ci rientri coi tempi.
Hai necessità di carico che non riesci a risolvere col trasporto pubblico.
Ma le auto occupano spazio, troppo per muovere una sola persona. Spazio che si potrebbe sfruttare in modo migliore.
E qui vengo all’occasione sprecata.
L’emergenza sanitaria ci aveva fatto capire già in tempi non sospetti che alla riapertura della attività il vero nodo sarebbe stato il trasporto pubblico.
Non scuole, cinema o teatri ma autobus, metropolitane e treni a corta percorrenza i luoghi dove, stipati oltremisura, il contagio si sarebbe mosso veloce. L’unica cosa che si sarebbe mossa veloce.
Impossibile in tre mesi risolvere problemi che si trascinano da anni, da troppi anni. Mezzi vetusti, senza manutenzione, troppo pochi per gestire la necessaria mobilità.
La capienza massima all’80% era già troppo, un compromesso che non risolveva e infatti non ha risolto.
L’indicazione data dagli scienziati di ridurre al 50% la capienza massima rimasta inascoltata, per problemi logistici (mancanza di mezzi) e pratici (e chi controlla?).
Ma che sarebbe stato il trasporto pubblico uno dei punti critici nessuno lo ha mai messo in dubbio.
Seppure in mancanza di dati, perché nessuno fino ad oggi ha saputo stabilire con certezza dove la catena dei contagi incontra la massima diffusione, semplice buon senso avrebbe dovuto mettere in allarme, con persone ammassate negli autobus; i più difficili da controllare.
Siamo alla fine di ottobre, sospesi nell’attesa di una più che probabile chiusura generalizzata, con una pandemia che corre veloce e mette in crisi profonda sistema sanitario e tessuto sociale ed economico, e vediamo tutto ciò che non è stato fatto.
Non fatto da noi, anche; da chi aveva strumenti e potere di intervento e non lo ha usato, ed è grave.
L’altro giorno vi ho detto che non mi aspetto soluzioni calate dall’alto, che saremo noi a doverci rimboccare le maniche per provare a uscirne.
Perché stavolta non ci saranno canti sui balconi e mani a impastare sul tavolo della cucina.
Stavolta la crisi, soprattutto economica, sarà il colpo di grazia per troppi di noi che a stento sono sopravvissuti nei mesi di chiusura.
Abbiamo le nostre responsabilità e non mi sottraggo nemmeno io.
Ma ci sono gravissime responsabilità in tutti i centri decisionali, perché il trasporto locale non è esclusiva competenza dello Stato centrale. E sia chiaro: dentro ci sono tutti, non solo le attuali forze di governo. Anzi, la maggiore responsabilità è nelle forze che sono opposizione in Parlamento, perché hanno in mano la maggioranza degli enti locali.
C’è una pletora di competenze in nome di un errato concetto di autonomia che ha reso e rende difficile ogni organico intervento.
Questo però non assolve nessuno.
Abbiamo perso una occasione importantissima, dove in un colpo solo potevamo avviarci sulla strada di una mobilità sostenibile e combattere il diffondersi del contagio.
Tranne pochissimi esempi virtuosi, spesso favoriti anche dalla limitata estensione territoriale del Comune ove si è intervenuti, il nulla assoluto.
Non è un caso che la città più colpita sia Milano, malgrado sia metropoli che più di tante altre ha cercato di porre argine al problema della mobilità di massa.
Milano è cuore pulsante d’Italia, con la massima concentrazione di attività rispetto ad altre città. Decine e decine di migliaia di persone che vi si riversano ogni giorno per lavorare.
E se malgrado alcuni importanti interventi Milano non è riuscita a contenere la diffusione del virus, figuriamoci altre città che hanno del tutto trascurato il problema della mobilità.
Per questo, per questo sapere da tempo che il trasporto pubblico sarebbe stato problema di difficile soluzione appare ancor più stridente il contrasto con ciò che si sarebbe potuto fare per favorire la mobilità individuale.
Che significa, giocoforza, riappropriarsi (anche) di troppi spazi occupati dalle auto.
Ma puoi chiedere a chi vive a 30 o 40km dal luogo di lavoro di andarci in bici? Su quali strade? In che condizioni di sicurezza?
Una delle regioni con massima percentuale di pendolarismo mesi fa ha persino bloccato l’accesso delle bici ai suoi treni. E guardiamo bene chi ne ha responsabilità.
Questa pandemia ci sta costringendo a tanto, anche a fare i conti con noi stessi.
Mai illuso che ne saremmo usciti migliori: ma a questo punto devo anche chiedermi se ne usciremo.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Pienamente d’accordo a metà (cit.). Bisogna però sottolinera che sarebbe anche ora di rimboccarsi le maniche e agire invece di aspettare sempre le imbeccate dall’alto. In comuni virtuosi come quello in cui abito, le piste ciclabili sono molte e ben ramificate, ma nessuno le usa. In questo 2020 sono state vendute milioni di biciclette (tanto che quando vado nel mio negozio di fiducia sono costretto a guardare i muri anzichè le bici perchè non ne ha più), eppure le ciclabili restano vuote. Inoltre appena arriva il freddo o qualche di goccia di pioggia, i pochi che ci provano si rirtirano. Concluderei che la pietra per comincire è stata posata sia a livello di infrastrutture si a livello di pubblicità, ora tocca alla gente metterci del suo. Ma finchè vedo genitori fare meno di 500 metri in auto per portare i figli a scuola, penso che abbiamo perso la partita.
Ciao Davide, felice per te che abiti in un comune virtuoso.
In Italia di comuni ce ne sono 7903 e di pietre posate per le infrastrutture molte, ma molte meno…
Fabio