Forse ho preso un abbaglio; forse no…

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Un putiferio si è scatenato dopo la pubblicazione sulla rivista Rolling Stone di un articolo che maltratterebbe i ciclisti.

Gran cori indignati, in tanti pronti a condannare, replicare, stigmatizzare: però…

Però non credo che tutti quelli che si sono pronunciati contro l’opinione, perché tale è, dell’autore si siano presi davvero la briga di leggerlo.

O se lo hanno letto hanno voluto vederci solo ciò che preferivano; dando, nei fatti, ragione all’opinionista quando ci accusa di vittimismo.

Perché io fatico a vederci un attacco ai ciclisti.

Vedete, scrivere non è semplice. Non ci si mette alla tastiera e si premono tasti a caso.

Esistono regole, non solo sintattiche, da rispettare. E serve conoscere la retorica, che non è come spesso erroneamente si crede il vuoto parlare ma l’insieme delle regole che governa il buon uso delle parole.

Serve conoscere come usare iperboli, metafore, parafrasi, ognuna declinabile in una infinità di modi.

Chi scrive legge, molto.

Legge di tutto perché non è (solo) la storia che gli interessa ma come è stata raccontata. Diventa una seconda natura questo leggere in modo direi tecnico. 

Così dopo che mi è stato segnalato questo benedetto articolo, l’ho letto.

Senza scandalizzarmi, senza sentirmi offeso e senza sentirmi in dovere di buttare la croce addosso all’opinionista.

Che, lo sapete, è colui che in un periodico riempe le pagine non con un fatto come il cronista bensì con una sua presa di posizione, spesso provocatoria per scatenare il dibattito.

Il famoso “…purché se ne parli”: obiettivo perfettamente centrato.

Infatti anche io sono qui a parlarne…

Non posso definire Ray Banhoff, sicuramente uno pseudonimo, un bella penna; ha tecnica, svolge in modo preciso il compito che gli è assegnato, calca troppo nel linguaggio parlato per (tentare di) dare ai suoi scritti – ne ho letti diversi per farmi una idea – una modernità che non arriva, non sempre riesce a tenere la rotta dall’inizio alla fine.

Parte in un modo, si smarrisce al centro, individua l’uscita e chissà, forse è buona.

C’è un momento, sempre, in cui chi scrive si ferma: ha tutto in testa, parte, le parole vengono fuori fluide, nitide e poi all’improvviso c’è il blackout. Si cerca un modo di uscirne, di riacciuffare quel pensiero, quella metafora, quell’arguzia che ti risolve il testo. Ma non hai tempo, devi consegnare, quindi tiri avanti come puoi.

Con un paravento, una distrazione, qualcosa che ti permetta di reinstradare il discorso sulla linea che avevi impostato all’inizio.

Perché vi racconto tutto questo? Perché altrimenti non riuscirei a spiegarvi il motivo per cui l’articolo non mi ha indignato. Come invece ha indignato altri giornalisti.

E perché loro si sono indignati, perché pur avendone gli strumenti non hanno voluto leggere l’opinione per quella che è? Beh, io su questo non ho certezze, solo sospetti dopo tanti anni in questo mondo: cavalcare il clamore porta lettori.

Si potrebbe obiettare che anche io, visto che ne sto scrivendo, abbia lo stesso scopo.

Se mi indignassi, potreste aver ragione.

Però concordo con molte affermazioni dell’autore e questo è sicuro viatico per perdere lettori, non conquistarli…

Affermazioni che partono con una iperbole, il che non la rende meno vera: in Italia muoiono troppi ciclisti, la rete stradale fa schifo, i ciclisti sono (spesso ma non sempre, aggiungo io) indisciplinati.

Perché i ciclisti, noi ciclisti, non siamo migliori degli altri. Tra le nostre fila gli idioti non mancano.

Quelli che scambiano la ciclabile di paese con il Vigorelli, occupandone militarmente tutto lo spazio mentre viaggiano sul filo dei 40 in gruppo compatto; quelli che in nome di una supposta superiorità morale sfrecciano a velocità folle sui marciapiedi; quelli che bruciano ogni semaforo rosso sulle statali e provinciali altrimenti si perde il ritmo; quelli che con corsia sgombra ti passano in salita sfiorandoti il gomito per farti “toccare” la loro velocità; quelli che mollano il compagno di uscita in difficoltà altrimenti il kom strava lo perdono; quelli che ti guardano dall’alto in basso se non hai la bici griffata; quelli che ti offendono se ti vedono con la tripla; potrei continuare all’infinito ma ci siamo capiti.

E so che ognuno di voi ha incontrato più volte simili elementi sulle strade.

E se ha protestato per il comportamento scorretto, ne avrà ricevuto in cambio, minimo, lo sguardo sdegnato di chi si sente sempre e comunque dalla parte della ragione “perché io sono in bici”.

Libertà non è fare ciò che ci pare: libertà è anzitutto rispetto per tutti.

L’autore dopo l’apertura si smarrisce citando a casaccio il Codice della strada; non l’avesse fatto avrebbe raggiunto meglio il suo traguardo.

E prosegue con altra iperbole, dove è difficile non scorgere la vena sardonica: le strade sono terreno esclusivo di auto, suv, tir. 

Per noi non c’è spazio.

Chiude il capoverso con due affermazioni che più delle altre hanno acceso in me un sospetto: quando cita l’istinto suicida di chi a Milano sfida pavé e rotaie e quando subito dopo descrive il volto martoriato di chi al lavoro ci va pedalando.

Il sospetto è che in bici si sposti anche l’autore: un automobilista convinto, uno che mai ha inforcato una bici e quindi non ne conosce pericoli e fatica, non riuscirebbe a cogliere questi dettagli.

Per lo stesso motivo uno che non va in bici non sarebbe riuscito a cogliere il nostro peggior difetto: il vittimismo.

Ci sentiamo superiori perché pedaliamo; lo sportivo lo fa credendosi il migliore perché è veloce, il ciclista urbano perché salva il pianeta.

E in nome di questa nostra superiorità non rispettiamo gli altri: non rispettiamo nemmeno chi va in bici, deridendolo per il suo “cancello” o mettendolo in difficoltà con manovre azzardate per sverniciarlo mentre arranca in salita al meglio delle sue possibilità.

Di iperbole in iperbole l’articolo si chiude con quella che è difficile leggere come una vera dichiarazione d’intenti: i ciclisti vadano a farsi ospitare in una terra vergine dove siano liberi di fare ciò che vogliono.

Cioé, liberi di dar sfogo ai comportamenti peggiori.

Ora vi chiedo: quando vi siete trovati in ciclabile con la vostra biciclettina carica della spesa e vi si è parato davanti il gruppone lanciato, ovviamente a occupare tutta la sede stradale, un vaffa e un pensiero “ma perché non ve andate a rompere i coglioni da una altra parte” non vi sono mai venuti? Non vi credo…

A nessuno piace sentirsi dire che sbaglia, a nessuno piace gli si sbattano in faccia i propri errori.

Tanto più se a farlo è qualcuno che in un modo o in un altro condivide il nostro stesso mondo e dovrebbe essere nostro alleato. 

Forse ho preso un abbaglio, forse col suo articolo Ray Banhoff ha solo dato prova di stupidità.

Forse no.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Samuele Gaggioli</cite>

    Scusa, questo è davvero un commento all’insegna dell’inutilità, ma concordo con te in pieno come spesso accade.
    Nessuno di noi è senza peccato, a volte abbreviamo quel semaforo rosso o ci facciamo prendere la mano dove dovremmo andare più tranquilli, ma c’è differenza tra accorciare un semaforo dopo essersi soffermati ed aver accertato che la strada è deserta e l’andare a diritto tra le macchine che sfrecciano…

    Buona giornata e buone vacanze

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Samuele, non esistono commenti inutili: solo articoli inutili ma quello è campo mio…

      Fabio

  • <cite class="fn">valerio</cite>

    perché parli del vittimismo come difetto? di fronte a 250 vittime all’anno (su 3500 complessivi), numero spaventoso in rapporto alla bassa percentuale di bici circolanti, come si dovrebbe sentire chi va in bicicletta? un pericoloso carnefice? o peggio, suicida, come suggerisce l’articolo in questione?

    questo tuo abbaglio e il primo commento che leggo più che il vittimismo dei ciclisti, evidenziano il tafazismo (autoflagellazione) tra ciclisti, che invece di unirsi per mettere in discussione e arginare un modello di trasporto che solo in italia provoca 3500 morti l’anno (senza distinzione di razza, sesso, religione), fa le pulci ai colleghi che sbagliano mettendo sullo stesso piano il danno potenziale derivato dal comportamento scorretto alla guida di una tonnellata di lamiera rispetto a quello delle poche decine di kg del mezzo a pedali. chi sbaglia è giusto che paghi ma in proporzione al potenziale danno derivato dalle proprie condotte.

    a sentirsi i migliori si rischia di peccare di superbia ma sicuramente il mezzo migliore contro cui avere un incidente non è l’automobile

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Valerio, saresti così cortese da indicarmi la frase dove accuso i ciclisti di vittimismo in rapporto ai decessi sulla strada? O anche in altri articoli una sola volta in cui non ho preso chiara posizione a favore della sicurezza stradale?

      Appunto…

      E’ abbastanza chiaro che il vittimismo (che è sempre un difetto, nella mia personale scala di valori) che denuncio è quello di chi subito insorge alla sia pur minima critica, senza curarsi di leggere con media attenzione.

      Libero di essere in disaccordo con le mie posizioni; però atteniamoci a ciò che effettivamente ho scritto altrimenti, ahimè, si ricade nello stesso giochetto del facile vittimismo.

      Fabio

  • <cite class="fn">rickyfant</cite>

    Caro Fabio,
    ti confesso che anch’io, a una lettura non superficiale ho colto sfumature che mi fanno ritenere che Ray Banhoff non intendesse trasmettere quello che tutti hanno colto. Però se il risultato è questo, lasciami dire, il ragazzo ha malamente mancato l’obiettivo. Di fatto la linea del pezzo è ondivaga, e mai si capisce chiaramente dove voglia andare a parare. Si è tuffato in triplo carpiato tra (auto?)ironia, sarcasmo e politicamente scorretto, non senza un po’ di autocompiacimento sul ‘guarda quanto sono bravino’. L’esito del tuffo è una ‘spanciata’ clamorosa. Mi sembra che ci troviamo di fronte a un aspirante giornalista un po’ fighetto, che deve farne ancora di strada. E gli auguro di farla in bicicletta.

  • <cite class="fn">Ciclista Sdraiato</cite>

    Sperando che chi ha criticato l’articolo in questione lo abbia letto sennò siamo messi male, a mio modestissimo parere, se un buon numero di lettori non ha colto l’ironia dello scritto, bisognerebbe che l’autore per primo si faccia qualche domanda e non si pari dietro il trito e ritrito “mi avete frainteso”, che immagino non abbia stancato solo me

    Luca

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Rispondo a Luca e Ricky in unico commento, perché in effetti avete colto ambedue il segno.

      Mi sarei evitato di annoiarvi con la prima parte ma spiegare, seppure in modo sintetico e appena di sfuggita, cosa significa scrivere è servito per fornire gli strumenti affinché ognuno formasse la propria opinione. Che è anche la cifra di questo blog dove, sempre, tento di mettere chiunque in condizione di potersi fare una idea, senza calare verità dall’alto.

      E’ evidente, l’ho scritto nel testo, che l’autore non sia uno che con la scrittura abbia buon rapporto. Da qui, credo e avete anche voi avuto analoga impressione, pensiero e azione hanno preso strade distinte.
      Ma prima di pubblicare dovresti almeno rileggere.

      Ora, le intenzioni non le ho lette degrinatorie; alcuni indizi mi fanno propendere per una persona che in bici, più o meno, ci vada; il risultato finale è pessimo perché è mal scritto.

      Semplicemente perfetta la tua sintesi Ricky.

      Ma da qui a indignarsi perché si è interpretato l’articolo come offesa ai ciclisti morti sulle strade, beh, si dimostra una capacità di comprensione persino peggiore della modesta scrittura del tipo che ha redatto l’articolo.

      Fabio

      • <cite class="fn">Ciclista Sdraiato</cite>

        Al netto di tutto, chi gestisce quella testata mi sembra molto più interessato ai click (con tutto ciò che ne segue, anche in termini economici) che a ciò che una volta si definiva “lavoro ben fatto”. Purtroppo non sono i soli nel mare magnum del web e per questo motivo credo che non presterò più molta attenzione né a loro, né ai loro simili
        Anche perché a furia di fraintendere potrebbe venirmi voglia di elargire loro la mia, di testata 😛

        Luca

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          Al netto di tutto, hai centrato perfettamente la questione.
          E sempre al netto di tutto, lo stesso vale per chi ha cavalcato l’indignazione.

          Infatti l’unico che dei click se ne frega e che ha scritto quello che pensava si è preso, in privato, non poche offese.
          Ma fa parte del gioco, io non mi nascondo, sono qui a disposizione di tutti i ciclisti.
          Se puntassi ai click, questo blog non sarebbe quello che è, coi suoi limiti certo, ma credo anche qualche merito.

          Fabio

  • <cite class="fn">FrancoTV</cite>

    Purtroppo scrivere bene è difficile e farlo di fretta peggiora la situazione; l’articolo di Rolling Stone per qualità meriterebbe la stessa attenzione di una notizia di cronaca di un giornale locale. Su Internet c’è spazio per tutti, sia per chi urla alla Luna, sia per chi risponde solo per sfruttare l’esposizione mediatica senza fatica e questo provoca infinite liti che finiscono nel nulla.
    Avrei preferito una seria discussione sul fatto che sia automobilisti, sia motociclisti, sia ciclisti sono sempre più indisciplinati e distratti.
    Ho la patente dell’auto da 30 anni e, se una volta vedevo i camionisti come un intralcio, ora li vedo come la categoria di guidatori più competente sulle strade.
    Ciclisti, automobilisti e motociclisti sono sempre le stesse persone, alla fine, 9 su 10 usano più di un mezzo ed è inutile far riferimento ad una delle tre categorie senza includere anche le altre due.
    Chiediamoci piuttosto PERCHE’ gli automobilisti usino lo smartphone addrittura quando trasportano i propri figli, i ciclisti viaggino perennemente affiancati per chiacchierare occupando tutte le piste ciclabili il cui spazio i Comuni hanno faticosamente ricavato dalla sede stradale e i motociclisti insistano a sorpassare tutti alle 10 di mattina della domenica, quando è pieno di auto in montagna, al mare e al lago.
    Sinceramente, io non lo so. Si potrebbe dire semplicisticamente che tutto parta dalla scuola, ma non ne sono sicuro. Siamo martellati da mezzi di informazione che ci istruiscono con campagne di sensibilizzazione, serve proprio tornare alle medie a fare educazione civica?

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Franco, poco fa ho trovato sul telefono un messaggio di uno di voi che mi segnalava la replica del direttore della testata.
      E dove, facile immaginarlo, è scritto che l’articolo era ironico.
      Ora, che fosse una iperbole l’ho scritto in questo articolo, guadagnandomi diverse offese via mail.
      Mi rincuora che qui tra i commenti solo uno non abbia compreso, forse lettura frettolosa di ambo gli articoli.
      Torno alla replica del direttore: che non è facile scusa.
      E’ la verità, l’articolo di Rolling Stone è una iperbole.
      Il vero limite è che queste cose o sai scriverle o ne vien fuori una boiata.
      Per me resta non un articolo che attacca i ciclisti ma un articolo che fa strage di buona scrittura.

      E comunque sullo stesso piano possiamo metterci anche quelli che hanno visto ghiotta occasione per cavalcare l’onda; di fatto, alimentandola.

      Fabio

      • <cite class="fn">rickyfant</cite>

        Letta ora la ‘controindignazione’ del direttore Alessandro Giberti, tutta tesa a difendere il proprio opinionista e a scagliarsi contro quelli che ‘non hanno capito l’ironia’. Detto che le minacce personali a Banhoff sono al limite della demenza, non una parola sull’uso scadente della retorica che viene fatto nell’articolo (che anzi viene in qualche modo esaltato per l’audacia), non un secondo a chiedersi perché così tanti avevano capito male. Eh no, mio caro Giberti, siamo lontani da ‘un pezzo che con tutta evidenza utilizzava il paradosso per descrivere una situazione reale’. Comunque lieto che alla fine non ci sia per il mondo un essere che si compiace dei ciclisti che ‘cadono come mosche’. Dai Banhoff, andrà meglio la prossima volta.

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          Beh Riccardo, torto al direttore non posso darlo.
          In pubblico hai il dovere di difendere un tuo redattore; poi in privato lo cazzei.
          E comunque magari la prossima volta anche lui leggerà prima e non dopo la pubblicazione.

          Inquietante la storia delle minacce, a cui credo. Di questi tempi, sembra la normalità. E se persino uno piccolino come me ha avuto la sua dose di offese…

          Tutti sbagliamo, è inevitabile quando ci mettiamo in gioco. L’importante è farlo in buona fede e io resto convinto che questa ci sia.
          Forse perché sono della vecchia scuola, ho fatto una gavetta che ormai non usa più e ricordo benissimo come fosse ieri quando 30 anni fa presentai al capo redattore una inchiesta che, minimo minimo, “…ci porta al pulitzer…”.
          Ne fece coriandoli.

          Fabio

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Oibò, spiace che la gente si scaldi per così poco e spiace che insulti e minacce arrivino a chi esprime educatamente (anche se magari non proprio adeguatamente) la propria opinione su un argomento che dovrebbe interessarci tutti, di cui è bene discutere, sempre.
    Soprattutto è un peccato che chi prova a mostrare un dietro le quinte venga offeso, per cosa poi? Dare dell’analfabeta funzionale è ormai diventata una moda, un insulto come un altro… ma sembra davvero che capire e capirsi sia più difficile che mai

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