E’ scoppiata la bolla, il mercato perde pezzi ma le cause sono ancora lì

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Dopo mesi di inascoltati allarmi si può dire che la bolla del mercato bici è effettivamente scoppiata.

Un periodo così lungo di calo vendite (ma non sempre di fatturato) non poteva lasciare tutti indenni.

Si taglia dove si può, si tenta la vendita in extremis, si chiude se non c’è alternativa.

Della chiusura di Trek Italia e accorpamento in una unica diramazione per il Sud Europa ho già parlato.

In questi giorni il marchio Kona, che già due anni fa era stato ceduto dai suoi fondatori al gruppo Kent Outodoors viene di nuovo messo sul mercato dalla nuova proprietà. Malgrado o forse a causa della nomina di un nuovo direttore finanziario del gruppo canadese e di una linea di credito di 94 milioni di dollari che non è chiaro a cosa servano e cosa è richiesto in cambio dalle banche di investimento.

La finlandese Pole, piccola factory specializzata nella produzione di Mtb raffinate, ha dichiarato bancarotta. Non farà scalpore, il marchio è poco conosciuto al grande pubblico ma non è la prima e non sarà l’ultima azienda a seguire la stessa sorte.

Da fonti di stampa apprendo che Stages, noto per la produzione dei misuratori di potenza, avrebbe cessato la produzione e licenziato le maestranze.

La saga della Scott sta assumendo toni sempre più da film hollywoodiano. Prima le defenestrazione di Beat Zaugg, fondatore e CEO di Scott sports. al suo posto un investment banker (ossia uno che mette in comunicazione chi ha soldi da investire) che fa parte del board di Youngone, ossia il gruppo che ha o avrebbe prestato 177 milioni a Scott. Poi la diatriba tra Zaugg e Youngone, col primo che ritiene il proprio licenziamento illegittimo. Fino a all’intervento della polizia svizzera nella sede di Givisiez, pare per calmare gli animi, pare perché i coreani si fossero presentati con body guard armate, sul punto è difficile scoprire la verità per chi era assente. E comunque la storia avrà sviluppi, quali non so prevedere.

Solo alcuni esempi e ognuno per cause diverse ma tutte riconducibili a un unico grande errore. 

Che non è il prezzo alto delle bici: ha la sua responsabilità ma in parte. Anzi, più che causa potrei definirla conseguenza.

L’errore di fondo è stato affidare la guida o comunque porre in posizioni apicali esperti di finanza. Grandi esperti, non voglio mettere in dubbio la loro qualità. 

Ma giocoforza con una visione del business legata solo a costi e ricavi, privi della fantasia e soprattutto della passione per comprendere un mondo che di passione vive.

Finché gli alisei soffiavano gagliardi, tutto bene; alla prima bonaccia il panico, alla prima tempesta la disfatta.

Denunciai la crisi prossima a venire quando il vento spingeva forte verso nuove terre di conquista e pochi mi credettero.

Basta scorrere il blog, vedere le date di pubblicazione degli articoli e farsi due conti.

Durante la bonaccia raccoglievo l’anonimo dissenso degli addetti ai lavori, loro si appassionati, che vedevano impotenti l’iceberg contri cui ci si sarebbe infranti.

Poi è arrivata la tempesta e questi i primi e più eclatanti risultati.

Non gioisco nell’aver avuto ragione come non gioisco nel veder chiudere le aziende. 

Non riesco a far parte di quella schiera che esulta, che grida al “se lo sono meritati”.

Io mi rallegro dei successi altrui, non delle loro sconfitte. Son fatto così.

Ma perché io, che non sono un economista né Pico della Mirandola, ho visto con tanto anticipo quello che i vertici di aziende grandi e piccole, da anni sul mercato, non riuscivano a vedere?

Perché io di finanza capisco nulla, ma sono un appassionato che comprende gli altri appassionati.

Che parla ogni giorno coi ciclisti, che da qui e dal vivo ha uno scambio continuo, fonte inesauribile per conoscerne desideri e, diciamolo, fisime.

Perché quello della bici è un mondo che si regge sulla passione, non sui numeri. 

Se quei numeri non li interpreti e li valuti col metro dell’appassionato, vai a sbattere.

Scrissi molto tempo fa che ero contrario al bonus bici, che il lockdown stava causando una domanda fittizia, c’era si voglia di bici ma non così ampia come sembrava a tutti perché l’errore era basarsi sulle richieste dei negozi.

Ricordate? Negozi vuoti, il poco rimasto portato via col bonus, tanti ciclisti o persone che volevano una bici per evitare il trasporto pubblico (eravamo in piena pandemia) a fare il giro delle sette chiese senza trovare nulla.

Non sette ciclisti: un solo ciclista che girava sette negozi. Che è una cosa ben diversa.

Le difficoltà per la aziende ad approvvigionarsi, il costo dei trasporti decuplicato, le crisi internazionali, la rincorsa ad accaparrarsi le materie prime e l’incetta della Cina sui semilavorati, questi ed altri i problemi da affrontare.

C’è chi ha saputo prevederli per tempo, e infatti dinanzi al calo di fatturato non ha fatto una piega, era già pronta.

Chi non ha voluto vedere, ha creduto o sperato si fosse scoperto l’Eldorado, che l’aumento dei costi poteva essere scaricato tutto sul cliente finale e, visto che ci siamo, tanto vale gonfiare pure ché una bella speculazione è sempre un toccasana per i maghi della finanza.

Chi davanti alle prime difficoltà ha cercato immediata liquidità in fondi di investimento e gruppi finanziari ha ignorato che così facendo cedeva le chiavi dell’azienda.

I piccoli chiudono perché le dimensioni in periodo di crisi contano, che tu sia appassionato o meno.

I grandi saltano perché anche se hanno spalle larghe, queste non riescono a reggere il peso dell’errore e rimediano calando la scure.

Si, la finanza è questo: ricavi, profitti, sono loro che contano. Al primo rallentamento la soluzione deve essere drastica, il grafico non deve mai scendere, mai andare in picchiata. Non importa se la discesa è momentanea, se esistono strategie e metodi migliori, si tratta solo di stringere la cinghia qualche mese. No, si taglia, si chiude, si licenzia, le persone diventano costi, l’importante è che i dividendi restino alti.

Le chiusure si portano dietro una serie di problemi a cascata. 

Poniamo il caso di un telaio garantito a vita: se chiudi una sede nazionale, accorpi o semplicemente sacrifichi sull’altare del business, io che rompo quel telaio, acquistato a caro prezzo anche perché ho la sicurezza della garanzia, che faccio?

Mi sento tradito.

Io che ho risparmiato per comprare la bici nuova, investo 7-8000 euro e quando me la trovo davanti vedo che mi ha messo le ruote da 200 euro e la sella da 20, che faccio? Te la rimando indietro?

Mi sento tradito.

Il drago della finanza tutto questo non può capirlo, non può immaginare l’animo del ciclista, capace di passare sopra ai difetti per il marchio del cuore.

Ma che non ti perdonerà il tradimento.

Il drago della finanza a tre mesi saprà anche presentarti un utile fantasmagorico e tutti i soci si sfregheranno le mani.

Il mago della finanza non riuscirà a immaginare, a pensare, a intuire dopo i tre mesi che succederà, perché non gli importa. Se il ricavo cala, lui chiude quelli che definisce rami secchi e al trimestre successivo presenterà conti in attivo.

E quanto potrà andare avanti? Non importa nemmeno questo, se le cosa vanno male, si chiude, si licenzia, si vende, si cercano nuovi campi di investimento.

Si, perché della sorte dell’azienda, del suo futuro, interessa nulla. Finché tira va bene, appena rallenta si cerca altrove.

Al fondi di investimento, alla banca d’affari, al gruppo finanziario interessa nulla di come si facciano i soldi:; interessa solo che si crei ricchezza per loro. Con le bici guadagniamo? Ok, investiamo. Non guadagniamo più, abbiamo scoperto che allevando lama facciamo più soldi? Alleviamo lama. 

Ecco cosa ha scatenato la crisi, tutti gli altri problemi, tranne le guerre, partono da lì. Anche la penuria di materie prime, perché non erano finite, solo accaparrate da altri speculatori.

La bolla è scoppiata, il mercato è in affanno, nessuno ha pensato di rimuovere la causa principale.

Business is business.

Buone pedalate.

Ps: se ne avete voglia, c’è anche il video.

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