Rose X-lite Team, il cavaliere oscuro

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Frank Miller è artista con un posto d’onore nel mio personale e disordinato pantheon, affollato da personaggi tra loro diversi; passo da Tolkien a Caravaggio, da Conrad a Cellini, da Steinbeck a Leonardo: con l’immancabile colonna sonora di De André. Con tutti questi grandi nomi che c’entra Miller, frettolosamente disdegnato dagli intellettuali? Già, che c’entra un fumettista?

 

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Beh, anzitutto diffido degli intellettuali e di chi si millanta tale; chi necessita definirsi ha già mostrato che l’intelletto non lo usa. E poi non amo le classificazioni, un artista è un artista. Miller è adesso un nome conosciuto, anche lui innalzato al cospetto del grande pubblico grazie al cinema. Ma prima, quando le luci sfavillanti di Los Angeles non lo avevano ancora illuminato, disegnava e basta. Nel 1986 creò “Il ritorno del cavaliere oscuro”; un Batman stanco, crepuscolare, rigido fino quasi a spezzarsi, esigente con gli altri perché mai domo con se stesso, retaggio di un passato che non si vuole far tornare e il futuro che irrompe con la (ridicola, diciamolo) calzamaglia di Superman. Un Superman condannato da Miller all’ottusità delle certezze e mai sfiorato dall’intelligenza del dubbio, chiamato da un pavido potere a togliere di scena un uomo non manipolabile, un residuo ingombrante, per loro.

La data è importante: la storia vide la stampa quasi trenta anni fa. Leggetela se ne avrete occasione: vi sembrerà disegnata oggi, con le rapide sequenze su talk show rutilanti di vuoto, tuttologi buoni per ogni occasione a straparlare dai piccoli schermi, news lanciate inseguendo il facile sensazionalismo, folle instupidite dai media e politici che curano solo la propria rielezione. Come tutte le grandi opere la storia è il pretesto per mettere a nudo i difetti della società, profetizzando ciò che avverrà se non si cambia rotta. Che dirvi, io non riesco a disdegnarlo come semplice fumetto, un libretto per bambini. Già, perché per gli intellettuali i fumetti sono solo pubblicazioni per infanti. Non è così, ma visto che parlano sempre di pubblicazioni che mai hanno letto, non mi stupisco. E poi scusate, se anche fosse, i bambini sono più intelligenti di tanti adulti, chi decide che una pubblicazione per loro debba essere di cattiva qualità solo perché parla di un eroe immaginario in un mondo fantastico? Seppure così reale che potremmo ritrovarlo in qualunque metropoli odierna. Ma perché, il dottor Zivago lo abbiamo conosciuto, è vissuto? Pasternak lo ha creato, non per questo ci appare meno reale e scrivere è stato il suo modo di mettere a nudo il totalitarismo.

Questo però è un blog di biciclettine, quindi mi rimetto in riga e la smetto di pavoneggiarmi intellettuale pure io; e veniamo al perché del titolo e dello sproloquio iniziale: la bici è nera, tutta nera. Una punta di rosso non richiesta, altrimenti la cromia sarebbe rimasto concetto sconosciuto. Rigida, ma senza spezzarsi. Esigente e mai appagata di sé. Senza inseguire la modernità a tutti i costi, solo l’efficacia.  Il parallelo con il Batman voluto da Miller c’è tutto, almeno per me. E siccome la bici è mia ci vedo quello che voglio e la battezzo come mi pare: infatti la appello “Il cavaliere oscuro”. Ecco demolita in un attimo l’aura di colto pensatore…

La bici è, lo avete capito, la mia nuova Rose X-lite Team, telaio di punta della casa tedesca.

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Senza una sigla a seguire, come per i modelli presenti a catalogo dove un numero identifica il gruppo trasmissione installato. E questo perché la bici non è a catalogo, si tratta di un esemplare unico, un esperimento di assemblaggio diciamo così e su cui ho messo le mani. Inutile chiedere a Sergio Ghezzi, il country manager italiano del marchio teutonico, come fare per averne una uguale, non credo sia possibile. La politica commerciale è quella di prevedere l’upgrade ma non il downgrade; tradotto significa che non è possibile montare un gruppo inferiore per costo rispetto al primo modello di quella determinata serie. Che nel nostro caso, quello dei telai X-lite team, parte dall’Ultegra Di2, più costoso dello Sram Force.

La bici l’abbiamo già ampiamente conosciuta sulle pagine di questo blog, seppure solo in posa fotografica.

Un rapido ripasso sull’allestimento.

Il telaio è appunto la versione X-lite Team, tutto in fibra di carbonio T40/60 per il quale la casa dichiara un peso di soli 795 grammi; a cui sommare i 295 grammi della forcella full carbon.

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Si caratterizza per la serie sterzo differenziata celata in un rigido blocco, più bello da vedere dietro che frontalmente…

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…la abbondante scatola movimento equipaggiata press-fit…

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…il passaggio cavi interno, con predisposizione anche per gruppi elettroassistiti…

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…il nuovo disegno della zona reggisella con collarino dedicato…

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…e il carro dai pendenti sottili.

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La forcella dritta ha la bellezza dell’essenzialità, nessuna forma particolare per far colpo: tanta sostanza e posso anticiparvi che è tra le migliori, se non la migliore con cui ho mai guidato.

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La geometrie sono compatte ma senza esasperazione; la mia è in taglia 53, che si traduce in 484x528mm di piantone e orizzontale.

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Scelta così malgrado per il mio cavallo fosse consigliata la taglia superiore. Ma tra il calcolo su base statistica fatto dai tedeschi e la mia esperienza (e il fatto che ho cavallo alto in rapporto alle altre quote), io che pedalo su telai nell’orbita del 53×53, ho preferito seguire la mia strada. Accorciando ulteriormente l’assetto con un attacco da 90 in luogo del 100 per avere la massima compattezza in salita, dove preferisco avere la bici “corta”.

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Taglia telaio 50cm 53cm 55cm 57cm 59cm 62cm
diametro reggisella 27,2 27,2 27,2 27,2 27,2 27,2
Cavallo consigliato (cm) 73-77 78-81 82-84 85-87 88-90 91-93
50cm 53cm 55cm 57cm 59cm 62cm
A – Lunghezza tubo piantone 461 484 505 526 553 586
B – Lunghezza tubo orizzontale 516 528 543 560 577 596
C – angolo sterzo 72,0° 72,3° 73,0° 73,5° 73,8° 74,0°
D – angolo tubo sella 75,0° 74,5° 74,0° 73,5° 73,3° 73,0°
E – passo 976 981 985 992 1003 1016
F – lunghezza movimento centrale/ruota ant. 580 586 589 596 607 620
G – lunghezza foderi bassi 406 406 406 406 406 406
H – lunghezza tubo sterzo 127 138 150 165 185 200
K1 – misura tubo orizzontale 1 (altezza / larghezza) 36/50 36/50 36/50 36/50 36/50 36/50
K2 – misura tubo orizzontale 2 (altezza / larghezza) 25/37 25/37 25/37 25/37 25/37 25/37
L1 – misura down tube 1 (altezza/larghezza) 54/58 54/58 54/58 54/58 54/58 54/58
L2 – misura down tube 2 (altezza/larghezza) 45/59 45/59 45/59 45/59 45/59 45/59
M – stack 523 534 548 565 585 600
N – reach 376 380 386 393 401 412

Un poco di difficoltà nel trovare subito la giusta posizione me lo hanno dato la sella con sistema Monolink, che richiede una regolazione diversa da selle classiche a doppio binario, e il tubo sterzo da 138mm. Ma in quest’ultimo caso molto è dipeso dal fatto che la bici è arrivata in un momento in cui il fisico era abbastanza provato (e questo spiega anche il ritardo nella pubblicazione del test) e avevo qualche difficoltà a piegarmi. Non ho ancora tagliato la forcella, che ho chiesto apposta più lunga per poter decidere poi in autonomia l’altezza, anche se la misura ormai è decisa. Ma si sono accavallati gli impegni con la microfficina e siccome è operazione a cui voglio dedicare un articolo ho rimandato in attesa di avere il tempo.

A governare il telaio ho chiamato una piega in carbonio Ritchey, versione Evocurve Superlogic collegata alla forcella da un attacco della stessa casa ma in alluminio, il Wcs.

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La sella Selle Italia Slr flow (dove sappiamo flow indica la presenza dell’apertura centrale) Monolink poggia su un reggisella anch’esso in fibra di carbonio e sempre di casa Ritchey: modello scelto il Superlogic.

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Il gruppo trasmissione è lo Sram Force 22, con compatta davanti e pacco pignoni 11-28.

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Le ruote di serie, le Dt Swiss R20 dicut, non hanno percorso nemmeno un centimetro perché subito sostituite da una coppia di Spada Oxygeno, raggiate 24+24 con la posteriore 12+12 radiale a sinistra. Le ho gommate Vittoria Rubino 700×23; ho anche una coppia di Schwalbe One 700×25. Una volta consumati i copertoncini passerò ai tubless, visto che i cerchi American Classic Acrd sono predisposti.

Questa una veloce scorsa su come è allestita la bici, per ammirare tutti i dettagli abbiamo visto c’è già un articolo dedicato.

La X-lite Team sostituisce la mia precedente Rose, una Xeon Crs con cui non fatico a riconoscere di essermi trovato benissimo. E allora perché cambiarla? Per i soliti motivi privi di fondamento logico, seppure proviamo sempre a giustificarli rivestendoli con una patina di necessità. Volevo la bici nuova, come tutti. Volevo la bici leggera, come tutti. Volevo la bici rigida, come pochi. Si, perché malgrado nella mia visione la bici da corsa deve rispondere soprattutto al criterio della massima resa nella pedalata, i miei percorsi e la mia altalenante forma fisica mi hanno sempre portato a scegliere versioni non troppo esasperate. La creazione di Elessar ha eliminato la necessità di avere una bici di taglio sportivo ma comoda per il diporto, quindi lo spazio per una nuova bici, estrema, c’era. E l’ho riempito.

Saliamo in sella, questa Monolink che tanto mi ha fatto penare all’inizio facendomi dubitare della bontà della scelta. Invece al solito il problema non era la sella ma il conservatorismo del ciclista, che si ostinava a replicare un assetto non adatto. Si, perché quello che caratterizza questa sella non è il sistema di ritenuta al reggisella, che non passa inosservato e si suppone sia lì la novità, ma la sua forma, molto rastremata in zona mediana. Questo grazie al binario unico che ha consentito di sfinare una zona dove l’attrito durante la pedalata è forte ma che richiede un arretramento differente rispetto a selle a doppio binario.

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Ho risolto facendo tabula rasa delle vecchie abitudini, ho avanzato la sella e sfruttato maggiormente la zona posteriore di appoggio, quella che “lascio libera” durante la pedalata, io che prediligo un assetto molto carico sul movimento centrale. A vedermi di lato sembra che sono seduto arretrato, proprio perché manca quella sporgenza di sella inutilizzata. Da qui il mio errore, mi specchiavo in una vetrina (e non ditemi che non l’avete mai fatto, non vi credo…) mi vedevo arretrato, avanzavo in sella e pedalavo male.

Trovata la quadra con la sella tutto il resto è venuto da sé. La piega Ritchey Evocurve Superlogic ha valori di reach e drop non troppo contenuti, come piace a me su una bici sportiva. In versione 44cm (uso sempre una taglia in più, mi trovo meglio) abbiamo rispettivamente 80mm di reach e 130 di drop e un peso dichiarato di 198 grammi. Sempre per il solito conservatorismo mio sono a stato a lungo indeciso se passare al full carbon per la piega. Ho fatto bene a cambiare…

Oltretutto questa piega si caratterizza per un andamento particolare della zona dedicata alla presa alta: una leggera curvatura all’indietro e la sezione ovale donano un notevole comfort di marcia.

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L’attacco manubrio è in alluminio, ma solo perché quello in carbonio non era disponibile, non previsto; altrimenti avrei ceduto anche lì.

Agganciati al manubrio i nuovi comandi Sram, meno squadrati dei precedenti comandi a 10v. Migliorata l’ergonomia, i copricomandi sono più confortevoli e le leve freno si azionano senza difficoltà anche in presa sui comandi.

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Non bene come quel capolavoro che sono (per me) le leve Campagnolo che con la loro caratteristica doppia curvatura sono perfette per il mio stile di guida, ma si avvicinano abbastanza. Preciso e comodo il sistema Double tap per la trasmissione. Uno scatto scendi di rapporto, due scatti sali e la levetta è facilmente azionabile qualunque sia la posizione della mani al manubrio.

Insomma, sul fronte della comodità appena saliti in sella non c’è di che lamentarsi; è facile trovare la giusta posizione a patto di capire la sella e poi sembrerà di averci sempre pedalato sopra.

E’ il momento di partire; con la bici ho percorso circa 600 km prima di decidermi a buttare giù gli appunti; su percorsi più vari sterrato compreso. Non chiedetemi perché…

Ma qualunque sia il percorso scelto per l’uscita, o carico la bici in auto o devo affrontare il pavé. Dai 15 ai 20 km, sia all’andata che al ritorno, indipendentemente dalla direzione presa. Ed era il pavé la mia maggiore preoccupazione, sia per la rigidità del telaio che per quella della ruote.

E’ stato meno traumatico di quanto pensassi, memore dei giri di prova fatti con il Caad10, ma siamo comunque abbastanza lontani dalle ottime qualità della Xeon Crs, per rimanere in casa Rose. Non è difetto, non potevo pretendere una bici che mi buttasse giù tutto quello che potevo darle sui pedali e in cambio mi facesse viaggiare sul velluto. Era un prezzo che sapevo avrei pagato e, grazie anche all’ottimo lavoro fatto da Corrado Spada, il conto è stato meno salato di quanto temevo. Ma un conto l’ho pagato. Inutile tentare di mettere un rapporto duro e assecondare la bici. Ci si stanca tanto, forse nemmeno io ero poi in gran forma, e si va piano. Meglio mollare, pagare dazio, godersi il panorama e attendere l’asfalto.

Dopo tanti anni ho sviluppato una buona tecnica di guida sul pavé, riesco comunque se non andare forte almeno a non piantarmi; ma con questa bici ho dovuto rallentare su una salita in pavé, mentre facevo compagnia all’amico Gianluca durante una gara di mezza maratona, lasciandolo andare per attenderlo poi dove la strada avrebbe preso una condizione accettabile. Ma attenzione: quando parlo di pavé non mi riferisco a quello ben steso che lastrica i nostri centri storici. Quello che affligge la mia città e i dintorni e che sono costretto a sorbirmi prima di avere strada libera ha ben poco da invidiare ai passaggi delle classiche del Nord; anzi, quelli sono tenuti meglio e non si aprono voragini all’improvviso. Infatti nei tratti non particolarmente rovinati ho potuto caricare la pedalata e braccia morbide a lasciare la bici libera di scegliere la strada, tenendo un passo tutt’altro che trascurabile.

Quindi la situazione è stata scabrosa solo lì dove la strada era davvero messa male, tanto da mettere in crisi anche alcuni ciclisti in Mtb. Per il resto la bici si è rivelata sì rigida, con una capacità di smorzamento inferiore a telai maggiormente votati al comfort; ma il carro ben fatto con i foderi bassi garanti di tanta motricità e le ruote assemblate con cura, rigide anche loro ma non da spezzarti i polsi, hanno reso possibile lasciare la città in tempi ragionevoli.

La ricerca del giusto rapporto per affrontare il pavé mi ha fatto da subito fare conoscenza con la nuova trasmissione Sram: undici pignoni dietro, una scala 11-28 che non condivido ma non avevo poi molta scelta e una compatta servita da un deragliatore che è stato la vera sorpresa.

Andiamo con ordine. La scala pignoni parte dell’undici e termina col ventotto; le altre possibilità partono tutte dall’undici e chiudono con venticinque, ventisei e trentadue, in quest’ultimo caso è però necessario adottare un cambio differente, detto Wifli, con gabbia più lunga. Il problema è che tutte partono dall’undici, pignone che non uso. In pratica ho un gruppo a 11v però mi trovavo meglio con il precedente 10v dove avevo installato una cassetta pignoni 12-27.

I rapporti sono scelte personali, le case possono solo offrire una gamma che potenzialmente potrebbe non scontentare il maggior numero possibile di pedalatori; un peccato però aver abbandonato il 12 iniziale, che avrebbe consentito una pedalata più fluida in zona alto mediana. Meglio guardare la composizione, così sarà più chiaro.

La cassetta 10v era proposta da Sram anche in versione 12-27, così assemblata: 12-13-14-15-16-17-19-21-24-27.

Quella a 11v si presenta con scala: 11-12-13-14-15-16-17-19-22-25-28.

Escluso l’11 iniziale, la prima parte è uguale; quello che si sente nella gamba è il salto 22-19 della versione con un pignone in più rispetto al 21-19 della versione col pignone in meno.

La mia configurazione ideale sarebbe stata 12-13-14-15-16-17-18-19-21-24-27. Sram ci sei? 🙂

Esigenze personali ho detto, ed è così. Io che pedalo sfruttando molto la corona maggiore e i pignoni mediani trovo comodo salire di pignone se necessario piuttosto che scendere di corona. Mi abituerò, come tutti ci abituiamo a (quasi) tutto, ma resta la consapevolezza che Sram avrebbe potuto fare un ulteriore sforzo.

Per fortuna se sorge la necessità di far lavorare maggiormente il deragliatore stavolta gli americani sono riusciti a non farlo pesare. Il vecchio deragliatore 10v era perfetto se ben regolato ma soggetto a usura fin troppo precoce. Mai capito bene se fosse la gabbia a subire una leggera deformazione ma comunque dopo qualche migliaio di chilometri la salita di corona diventava una strazio se la cadenza non era molto elevata. La discesa, punto di forza sia del cambio che del deragliatore dei gruppi Sram, sempre perfetta.

Con questo nuovo deragliatore tutti i problemi sembrano spariti. Certo, c’è da vedere nel lungo periodo, ma discesa e soprattutto salita sono di altissimo livello. Passare dalla 34 alla 50 è un attimo, tanto che a volte ho calato lo sguardo non del tutto convinto che già avesse fatto il suo dovere. Grazie poi alla tecnologia Yaw aver battezzato questo gruppo e il fratello maggiore Red col numero “22”  non è stata una boutade: gli incroci non sono mai un problema, veramente si sfruttano tutti i rapporti.

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Sono salito senza difficoltà sino al pignone maggiore pur tenendo impegnata la corona massima e mai uno sfregamento. Certo, la pratica resta comunque poco salutare e tutto sommato inutile (un eccessivo incrocio “mangia” energia) ma per me che sono solito regolarmi i deragliatori proprio per consentirmi l’incrocio estremo, che uso su strappi molto brevi per risparmiare una deragliata, è stata una bella sorpresa. Deragliatore fornito di serie con un utile dente di cane integrato.

E visto che stiamo parlando di trasmissione, un occhio al cambio: ottimo il precedente 10v, ottima questa nuova versione a 11v. Rapidissimo in discesa, un mitragliata passare da un pignone all’altro in veloce sequenza, preciso anche in salita. La velocità di esecuzione garantita dal comando Double tap a cui si fa subito l’abitudine (e a cui io ero già abituato) unita alla possibilità di gestire la salita multipla (solo la salita, la discesa è singola ma non si avverte il limite grazie proprio alla velocità di cambiata) rendono le discese uno spasso. E siccome con questo telaio e queste ruote si scende come fulmini, tutto l’insieme garantisce divertimento puro. Ma non anticipiamo i tempi e seguiamo il percorso stabilito.

Eravamo rimasti al pavé, finalmente lo abbandoniamo per dedicarci alla prima salita, pedalabile e dal fondo buono. Si apre un mondo nuovo.

E’ una salita che percorro almeno due volte a settimana, con qualunque bici: significa avere subito chiare le differenze. Se non ci fossi seduto sopra non saprei dire se ho una bici; e ogni tanto calo lo sguardo per esserne comunque sicuro. La differenza di peso, anzi, l’assenza di peso, è immediatamente avvertibile. Malgrado lo stato di forma non sia ancora dei migliori salgo agile ma pur sempre con un pignone in meno di come facevo con la Xeon Crs, sempre per tenere il paragone con una bici della stessa casa. Anche se alla fine è un parallelo privo di senso, me ne renderò conto col passare dei chilometri. La Xeon Crs è una gran bici, ma l’impostazione più user friendly la penalizza nel confronto diretto, quando sui pedali si spinge davvero. Ripaga con un comfort di marcia difficilmente ravvisabile in una bici così sportiva (non pensate sia un cancello, anzi) ma qui, con questa X-lite Team i tecnici di casa Rose hanno messo su strada una macchina da gara senza compromessi.

Sono felice come una pasqua, le ruote seguono la bici, anche loro del tutto ignare di avere una massa e tento qualche scatto sui pedali. Poco convinto, nulla più di un assaggio, ma inizio a farmi una idea di cosa mi aspetta fra qualche chilometro dove andrò a cercarmi una salita vera, tosta, lunga perché qui la pendenza tutto sommato modesta non mi sembra degna di questo cavaliere oscuro: ci vuole un avversario del suo livello.

Proseguo, scollino, tiro il fiato su un tratto pianeggiante ma ancora senza spingere; gioco solo coi rapporti, questo Yaw sta facendomi ricredere sul mio stile di guida che usa poco il deragliatore. Pedalo, non tanto forte, la velocità resta modesta. O almeno così sembra, finché non mi rendo conto della facilità con cui in piano mi libero degli altri ciclisti e delle automobili più lente che mi tolgono visuale alla strada. E allora mi ricordo che quando si provavano le moto, per indicarne una che ti facesse andar forte con poca fatica usava dire con un ossimoro ” Va talmente forte che sembra andare piano”. Si, perché veniva tutto facile, senza quello sforzo fisico e mentale per tenere in strada quei bolidi, chiedendo lo stesso impegno di una scampagnata domenicale. Sto andando forte, ma è come andassi piano.

Le gambe frullano, non riesco a smettere di pedalare, ma nemmeno ci faccio caso, la mente è concentrata a decifrare i segnali nell’attesa di quel tratto che spesso mi ha messo in crisi, con un muro di 400 metri sul finale capace di stroncare anche le mie migliori velleità.

Finalmente ci sono e decido di rinunciare a ogni vantaggio che può regalarmi affrontarla sfruttando l’abbrivio grazie al breve tratto in discesa proprio all’inizio. Si, mi fermo.

Uno spreco di energie, senza un reale motivo se non sentire veramente sotto le gambe cosa significa muovere questa bici ora che la strada inizia a pretendere ogni stilla di energia.

I primi metri effettivamente non sono facili, mi spiazza questa decisione di essere partito da fermo, io che invece sfrutto al massimo lo slancio offerto dalla strada in lieve discesa che immette alla prima rampa che sale decisa. In piedi sui pedali inizio a pestare, i pignoni scendono, la cadenza aumenta con la bici che ondeggia a destra e sinistra, la strada sale ma si innalza anche la velocità. Mi risiedo, riprendo fiato, so che dovrò gestirmi ma la voglia di salire a tutta è grande perché è la bici che te lo chiede, lo senti che non sopporta chi va piano, chi ragiona. Lei ti asseconda ma vuole che tu ti impegni, al diavolo i calcoli! E si, mi rialzo sui pedali, inizio a spingere come un dannato, sento il cuore che pompa forte, la bocca spalancata a cercare aria e i riferimenti miei soliti che sfilano sempre più ravvicinati tra loro. La bici sale rapida, le ruote adesso che la pendenza è seria mostrano tutte le loro qualità, la estrema leggerezza e la precisione assoluta sotto sforzo. Ogni tanto qualche raggio fa sentire la sua presenza, ma è normale con ruote con pochi chilometri e raggi a testa dritta.

Ogni minimo rallentamento viene subito annullato alzandosi prontamente sui pedali; la bici scatta in avanti in un attimo, senza ritardo né dal telaio né dalle ruote. La sensazione di solidità che arriva dalla zona movimento è entusiasmante, ti da una enorme carica psicologica perché senti che tutto quello che stai mettendo sui pedali non viene sprecato. Salgo veloce, la stanchezza annullata dall’entusiasmo, il muro finale si avvicina ma stavolta non vedo l’ora di affrontarlo. No, sbagliato, il muro è iniziato, accidenti! Sono talmente preso che non me ne sono accorto; o la bici non me ne ha fatto accorgere. Non importa, a sedermi non ci penso proprio, decido di affrontare tutto il tratto finale in piedi sui pedali, presa sui comandi, la bici a pendolare e io a sentirmi una parodia di Contadòr.

Ormai ogni valutazione è andata, ogni calcolo, ogni strategia per arrivare in cima senza farmi venire un colpo: è partito l’embolo, o arrivo sopra o scoppio, tutto il resto non mi interessa. Ultimi sessanta metri, un leggero avvallamento e ne approfitto per dar fondo a ogni sciocchezza il mio repertorio a pedali può elaborare: tiro su la 50. La catena sale in un attimo, il contraccolpo che mi arriva alle gambe mi pianta quasi sul posto e se non fossi stato agganciato probabilmente la bici restava lì e io sarei volato 10 metri più avanti…

Quale il senso di questa manovra? Nessuno, lì sta il problema mio e di questa bici. Mio perché posso parlare ore di tecnica, istruire giorni sulle strategie di pedalate, trascorrere settimane a posizionare per gradi i ciclisti ma poi salgo in sella e se trovo la bici che mi coinvolge divento peggio di un bambino al luna park senza il controllo dei genitori. Volevo la bici che mi coinvolgesse, l’ho trovata. Punto.

Di questa bici perché più vai forte e più lei ti chiede di andar forte. Non è facile…

Assorbo il colpo, ritorno sulla 34, completo la salita e mi appresto alla discesa. Una discesa veloce, molto tecnica, con un primo tratto caratterizzato da curve ampie e buona visibilità ma che poi cede il passo a una serie di curve più strette, un paio di tornanti e la sede stradale che peggiora.

Ma tanto ormai i neuroni sono ammutinati, e poi Sram mi ha dato per forza questo benedetto pignone da 11, tanto vale sfruttarlo. Di nuovo in piedi sui pedali, acquisto velocità con rapidità impressionante, i rapporti scendono in successione, mi siedo, arretro leggermente, naso nel manubrio e via con questo pignone piccolino a stantuffare. Prima curva, mi rialzo, un rapido colpo al Double tap e tolgo tre pignoni per essere pronto in uscita, mi dimentico di frenare (dimentico? Oibò…)  e la prendo a tutta. Traiettoria perfetta, il pelo alla linea di mezzeria e mi dispiace che la strada non sia chiusa al traffico perché cavolo! Se avessi avuto tutta la sede per me sai come potevo scendere!

Ogni freno inibitore se ne è andato, dimentico da avere una figlia e una moglie a casa, ignoro bellamente che sono su una strada aperta al traffico, non mi curo di stare scendendo a una velocità con cui supero tranquillamente auto e scooter che mi si parano davanti; i freni, che mi sono finalmente ricordato di avere, rispondono con una prontezza sconosciuta al precedente impianto Sram Force 10v e sono convinto che il merito sia delle piste frenanti dei cerchi AC.

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Le curve si susseguono in rapida successione, la bici garantisce una precisione assoluta, l’avantreno lo sento lavorare come avessi le mani sul mozzo, la stabilità è perfetta. Curve larghe prese a tutta o strette affrontate spigolando e la bici va esattamente dove deve andare, mai un tentennamento, mai una imprecisione. Merito della forcella, ne sono sicuro. La velocità continua a salire e la guida inizia a diventare difficile. La bici avverte ogni minima correzione o spostamento, risponde pronta a ogni comando. Non è uno di quei telai che ci mette una pezza se sbagli o ti scomponi un poco al prezzo di una minore velocità in esecuzione. Qui tutto è immediato, tu pensi una manovra, immagini una traiettoria e lei già sta eseguendo. Difficile da gestire se non si è estremamente concentrati: una goduria assoluta se si scende pensando che non ci sarà un domani. Arrivano gli ultimi tornanti, allargo il ginocchio interno caricando l’avantreno ruotando la spalla interna ed esercitando pressione sulla parte opposta della piega, né più né meno di come si fa in moto guidando in circuito: ci manca solo che mi sposto di sella e poi la postura sarebbe quella. Inclino la bici, spero nella tenuta di queste gomme che non mi hanno mai tradito, la traiettoria in unica linea continua, vedo l’uscita, scatto subito sui pedali a rilanciare, la bici risponde senza un attimo di esitazione, via due pignoni, la velocità sale di nuovo in un nulla, il tornante successivo si avvicina, salgo di nuovo di rapporto, stacco, imposto e con la coda dell’occhio vedo un grosso furgone che sta affrontando il tornante in senso opposto e mi rendo conto avrebbe invaso la mia corsia, esattamente nel punto dove mi sarei trovato da lì a un attimo.

Forse qualche divinità ha voluto proteggermi, forse qualche cellula celebrale conserva il ricordo delle migliaia di ore passate in moto o non so cosa: so che possiamo in una frazione di secondo assumere decisioni come avessimo davanti a noi tutto il tempo del mondo. Cambio traiettoria, mollo i freni per allungare la linea e poi li strizzo forti per chiudere la curva, riesco a rimanere in piedi e mi fermo. Stavolta ho esagerato. Eppure non sono spaventato, anzi. Addirittura sorrido. Lo shock? No, sono semplicemente fatto così. Mi ricordo una volta, ero a girare a Magione con la moto e dissi a un amico prima di rientrare: “io tiro la sesta e provo a staccare al cartello dei 100m”. Finii dritto nel ghiaietto, impossibile chiudere la doppia curva, ormai ero troppo veloce e l’unica era tirare dritto e sperare che il ghiaietto a bordo pista avrebbe evitato danni. Così fu, affondai in morbida presa nel cedevole manto, rimasi in piedi e tornai ai box per verificare che le pietrine non fossero finite dappertutto. Mi tolsi il casco e ridevo divertito, e per tutti i 500 e passa chilometri di rientro feci una testa così al mio accompagnatore con questa storia del ghiaietto: te lo ricordi Paolino? 🙂

Ovviamente ho percorso varie volte questo stesso circuito di prova, più divagazioni varie prima di scriverne; cercando di conservare maggiore lucidità oltre che me e bici interi, altrimenti cosa avrei potuto dirvi sul comportamento di questo cavallo di razza? Che è appunto un purosangue, ma senza bizze.

Le salite diventano meno ardue, le discese più ripide, ogni scatto o rilancio è istantaneo, come netta è la progressione in velocità, si accelera davvero in un fazzoletto. La precisione di guida è di altissimo livello, ma se si spinge forte in discesa non bisogna distrarsi. La bici consente velocità di percorrenza ben superiori ad altre bici e ben oltre i limiti del buon senso: in cambio, quando la velocità sale, esige la massima concentrazione e la totale pulizia nell’azione. Basta scomporsi un attimo e la bici cambia traiettoria, basta variare la pressione sul manubrio e la bici cambia traiettoria, basta spostare il peso e la bici cambia traiettoria. Sempre con un avantreno perfetto, di una sincerità commovente. Tutto questo è tanto bello ma anche tanto impegnativo. Finché le manovre sono volute nessun problema, anzi, è proprio un divertimento totale. Il problema è quando la manovra non è voluta e la rapidità di reazione spiazza, inducendo all’errore.

Qui però ci vuole un approfondimento. Perché la bici non è nervosa, imprevedibile, anzi esattamente il contrario. Sai esattamente ad ogni azione che reazione corrisponde. E’ che la reazione è immediata, bisogna solo farci la mano: perché una volta capìta, la bici ti ripaga con una stabilità sorprendente. Discese dove con altre bici dovevo aspettare di averle di nuovo in assetto neutro prima di poter rilanciare fuori dalle curve, con questa X-lite le ho divorate a valanga. Imposti, curvi e a bici ancora inclinata ti alzi sui pedali a rilanciare, con l’avantreno che è un vomere ad arare la traiettoria. Butti giù fino a questo undici che, con una bici così, con questo telaio, ti sembra pure troppo agile e vorresti ancora più velocità. Pestando forte il carro manda sull’asfalto tutto quello che gli stai dando, senza quell’odioso “pistonare” del retrotreno tipico di biciclette meno estreme. La rigidità è perfetta, la trasmissione della pedalata immediata, un unico collegamento tra le gambe e la strada. L’importante è essere sempre perfettamente coordinati nell’azione, tutto nei tempi giusti. Questo si traduce in una velocità complessiva, su tutta la discesa, di molto superiore. Puoi ritardare l’ingresso allungando la linea, avere così piena visibilità in uscita con la certezza nessun veicolo procede in senso opposto, piegare, curvare e rilanciare: in un batter di ciglia. Quello che perdi impostando la curva così lo guadagni in sicurezza (che male non fa…) e con gli interessi perché puoi rilanciare molto prima di altre bici.

La salita allora è si meno ardua, ma lo è anche perché sai dopo ti attende la discesa 🙂

A distanza di qualche tempo dall’aver pubblicato questa prova ho girato un video in discesa con la X-lite team. Ho pensato che forse è divertente da aggiungere qui. Eccolo

Dopo un tale giro di giostra l’arrivo della pianura, che non ho mai amato, non poteva che essere accolto con una certo rimpianto. Ne approfitto per saggiare meglio la prontezza di risposta ai repentini cambi di ritmo, una pratica che mi ha sempre messo in difficoltà, togliendomi energie e sporcando la pedalata. Mi vengono facili, gioco col cambio, mi alzo sui pedali, fisso un obiettivo davanti a me e punto a raggiungerlo come fossi in volata, mi risiedo, rallento, mi alzo di nuovo in presa bassa, scarico tutti i pignoni, strapazzo la bici manco quel segnale stradale fosse il traguardo della vita e lei niente, non cede, non protesta, non molla, non tentenna. Risponde sempre in un attimo a ogni richiesta e più chiedo io più sembra ne voglia lei: smettere di pedalare è impossibile. Persino durante una uscita, programmata al solo scopo di scattare qualche foto e senza alcuna voglia di tirare allo spasimo, riuscire a controllarsi è stato impossibile. E’ bastato vedere in lontananza la sagoma di un ciclista, la voglia di andare a riprenderlo, solo una scusa per sentire l’ebbrezza della velocità salire in un attimo e addio foto: è partita la crono…

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Gran telaio, ma anche grandi ruote. Una scelta indovinata per il mio stile di pedalata. Leggere e rigide il giusto, insieme alla forcella si sono dimostrate perfette in discesa garantendo l’ottimale direzionalità, inesistenti in salita dove rendono tutto il loro potenziale, scorrevoli in piano senza mai accusare ritardi di risposta o flessioni.

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Tutto questo finché la strada scorre liscia. Se le condizioni del manto stradale impongono un rallentamento iniziano a farti sentire le imperfezioni, e tutta la bici amplifica la brutture se affrontate con piglio garibaldino. Per assorbire la bici per carità assorbe, non ti spezza schiena e braccia. Ma il ritmo lo devi calare, poco da fare.

Continua la pianura, la strada torna buona ne approfitto per tirare il fiato. Ed emerge il vero grande problema di questa bici, quello che ho battezzato “sindrome da bici fissa”. Avete presente una fissa? Quelle bici a pignone fisso dove o pedali o pedali? Ecco, smettere di pedalare su questa X-lite Team è il più grave dei peccati, quello che nessuna divinità del ciclismo sportivo potrà mai perdonarti. Tu pedali e lei ne vuole di più. Tu rallenti e lei si annoia. Tu riprendi convinto per dimostrare chi comanda e lei niente, esige. Ogni calo di ritmo, ogni rallentamento, ogni pausa per riprendere fiato lo vivi come uno spreco; e hai voglia a spingere per cercare di metterla in crisi, in crisi (di stanchezza) ci finisci tu e basta. Lei, che non conosce pietà per te che l’hai accolta sotto il tuo tetto, non fa una grinza.

Stanco molli per qualche chilometro e fa nulla se non esiste penitenza per espiare.

Inizi a goderti il paesaggio, la giornata che promette l’estate, rallenti ancora perché sei arrivato in una zona costiera e d’accordo che le bici sono belle ma anche il grazioso passeggio merita le tue attenzioni, e senti una vocina.

  • Ehi tu, dico a te, ci sei?
    – Oddio! Chi è che parla?
  • Come chi parla? Sono io, la bici…
  • Cosa? Tu parli?
  • Embé? Io parlo, sei tu che stai zitto a bocca spalancata: attento alle mosche. E poi non eri quello che scriveva che le bici hanno l’anima, il carattere, ti tengono il broncio se le vuoi vendere…
  • Si ma che c’entra, quella era una cosa per scherzare; e poi che ne sai? Leggi oltre parlare?
  • Uè non offendiamo! Mica sono una zotica ignorante. E cosa credi, sei l’unico che ha studiato? Ma guarda te chi mi doveva capitare. Comunque senti, è da stamattina che stiamo insieme e non capisco perché mi hai comprato; me lo spieghi?
  • Non capisco, che intendi, cioè, scusa, che domanda è, che significa, cioè voglio dire…
  • Eccolo lì, e poi si atteggia pure a scribacchino ma non sa spiaccicare una frase e dice a me che non so leggere…
  • No, non ho detto che non sai leggere; ero solo stupito tutto qui.
  • Si si, arrampicati sugli specchi, ma a me non la dai a bere.
  • Beh però pure tu con queste frasi fatte, un poco di fantasia, dai…
  • Senti caro, inutile che cerchi di distrarmi, ti ho fatto una domanda. Te la ripeto perché secondo me sei sordo: allora, perché mi hai comprato?
  • Oibò, volevo una bici da corsa molto sportiva, estrema, una con cui pedalare veloce…
  • Ah, ecco! Lo hai detto!
  • Detto cosa?
  • Veloce, sportiva, pedalare ecc: allora perché non pedali? Perché andiamo a passeggio?
  • Ma no, dai, pedalo: sto solo tirando il fiato.
  • Ma quale tirando il fiato! Sono 6 km che guardiamo il panorama!
  • Beh, sai, il giro è lungo, ogni tanto si rallenta il ritmo, si amministrano le forze…
  • Ma quali forze vuoi amministrare? Non ce la fai e basta.
  • No guarda, ora sei tu che offendi: io ce la faccio.
  • Si come no; senti, con me si pedala, mica sono quella cosa obesa tutta luccicante a cui sbavi dietro.
  • Ma di che parli?
  • Ah, adesso lo ammetti che parlo! Si vabbé, comunque hai capito, parlo di quella cosa che tieni davanti la scrivania, tutta ninnoli e luccichio…
  • Ok, parli di Elessar. Che c’entra lei? E poi non è obesa.
  • Come non è obesa? Pesa il doppio di me!
  • E che c’entra…lei è tutto acciaio e poi lì il peso non conta, la uso quando voglio girare comodo e tranquillo.
  • E certo, perché adesso invece stiamo tirando la volata…
  • Sarcasmo inutile, te lo potevi risparmiare.
  • E tu potresti pedalare…
  • Vabbé, siamo alle schermaglie? Siamo marito e moglie?
  • Non sia mai, però spiegami perché lei è davanti la tua scrivania e io in quello stanzino…
  • Ahah! Sei gelosa! E guarda non è uno stanzino, è la microfficina, un luogo importante.
  • Non sono gelosa e quello è uno stanzino, con il compressore che la notte mi fa la avances, quel pallone gonfiato.
  • Si, lo spazio è poco ma…
  • Ma niente, è uno stanzino con cadaveri di bici fatti a pezzi appesi alle pareti: sadico.
  • Non sono sadico, stanno lì in attesa di manutenzione.
  • E tu per fare manutenzione smembri una bici?
  • Ma sai, mi piace fare le cose per bene…
  • Non ti credo, sei un sadico.
  • Senti, torniamo alle cose serie. Dicevo Elessar è una bici fatta per godersi le giornate sui pedali, senza fretta…
  • Come oggi, insomma.
  • Ho detto niente sarcasmo.
  • Ok, scusa.
  • E il peso conta poco…
  • Ma se mi hai pesata in tutte le combinazioni possibili! Coi pedali, senza pedali, col nastro, senza nastro, col nastro e coi pedali, senza portaborraccia…
  • Stavo parlando, non interrompere, è cattiva educazione.
  • Non sei mio padre.
  • No, ma finché campi sotto il mio tetto stai alle mie regole.
  • Ok, questo ci può stare, continua và.
  • Grazie; dicevo, lì cercavo altro. Per questo poi ho preso te, volevo una bici estrema, rigida, sportiva senza compromessi…
  • Per farci cosa?
  • Che domande! Pedalare forte!
  • E perché allora passeggiamo?
  • Cavolo, ancora; te l’ho detto, tiro il fiato.
  • Eh si ne hai bisogno, hai la panza.
  • Non ho la panza e poi tu che ne sai? Ci vedi pure?
  • No, non ci vedo, ma stai seduto su di me, ricordi? E da qua sotto si vede. Hai la panza.
  • Non ho la panza; soffro di una patologia all’intestino che mi provoca anche questi repentini…oh senti, saranno fatti miei cosa tengo? E prima hai detto che non ci vedi!
  • Ti prendo in giro per ammazzare il tempo; è mezz’ora che guardo sempre lo stesso paesaggio, tanto vale fermiamoci a goderci il sole che dove mi hanno montata c’è sempre nebbia e umido.
  • Ora basta! Stai zitta, sono il tuo padrone!
  • Padrone? Cos’è questa vena autoritaria? Dici così perché sono nera.
  • Ma no, che c’entra il colore della pel… ehm del telaio…
  • Non mentire: fai tanto il progressista intellettuale ma sotto sotto sei razzista…
  • No senti, non sono razzista. La prova è che ti ho preso nera.
  • Bella forza; mi fanno solo nera.
  • Hai ragione; si forse bianca mi piaceva di più, sai per tradizione…
  • Ecco! Sei un razzista conservatore. E tieni la panza!
  • Smettila.
  • Perché sennò che fai? Mi incateni? Mi frusti? Guarda che sono iscritta a tutte le associazioni per i diritti civili, non faccio le marce della pace solo perché vanno troppo piano. Anche se…
  • Anche se cosa?
  • No, niente.
  • E no, adesso parli!
  • Beh, mi ci potresti portare tu, piano come andiamo non avremmo difficoltà a fare un marcia…
  • Oddio, adesso basta! –
    Ti alzi sui pedali e inizia a spingere forte, per disperazione.

E il vento ti porta l’eco di una risata sommessa…

Realtà o fantasia non conta, la bici pretende ma ricambia sempre; senza mai mollare. Era quello che cercavo, il carattere che volevo, l’ho trovato. Che poi sia in grado io di sfruttare tutto l’enorme potenziale alla fine rileva poco. Mi basta la puerile soddisfazione di averla. Da me non sentirete discorsi sulla necessità di avere la bici leggera, le ruote fatte così, il telaio con queste geometrie. Nessuna giustificazione logica o tecnica: solo il puro piacere di possedere una vera e propria macchina da gara, capace di stroncarmi nel tentativo di portarla al limite, pronta e crudele nel ricordarmi che il suo limite è ben più in alto del mio, cattiva quando serve, mai docile quando farebbe comodo.

Avevo una moto per girare in pista: ogni volta che la prendevo per una semplice gita domenicale, anche se ad andatura allegra, era una noia mortale da guidare. Appena varcati i cancelli di un circuito la sentivo fremere e come le ruote toccavano l’asfalto della pista cambiava del tutto. Quelli che su strada, nell’uso normale, erano difetti sparivano per essere sostituiti da una efficienza prossima a una moto da gara. Guidandola al limite ti ripagava con sensazioni che mi porto ancora oggi nel cuore. Con la X-lite per me è lo stesso, uguali le sensazioni, uguale il coinvolgimento, uguale la passione.

Come tutte le bici molto leggere e performanti avverte ogni minima variazione di pendenza, anche viaggiando in piano. Non la salita, avete presente quando la strada assume quella minima tendenza a salire, qualcosa che non noti se non guardando all’orizzonte? Subito sotto i pedali netta si sente la differenza nella spinta richiesta. E così come è rapida a prendere velocità è lesta anche a perderla, complici le ruote che in questo caso aiutano poco, del tutto prive di effetto volàno.

Ho provato la bici in ogni condizione possibile, solo la pioggia mi sono fatto mancare e non perché c’è stata siccità: sono io che se piove resto a casa.

Un bilancio? Una indicazione su a chi è rivolta la bici?

Bilancio, il voto non può che essere massimo. Sono parziale e non perché è la mia ammiraglia. Lo sono perché al di là di ogni mia considerazione tecnica, una volta sui pedali divento un passionale. E se una bici mi appassiona le perdòno tutto. Va bene, cerco un difetto. Trovato! I cavi all’interno del telaio fanno rumore, ben più della Xeon. Troppo poco? Ok, ci riprovo.

Un attimo, ci sto pensando…

Non datemi fretta, consulto gli appunti…

Dunque, potrei dire…no, che sciocchezza…

Allora forse…. Uhm non mi convince, troppo tirata…

Mumble mumble…

Vabbè, io ci rinuncio, altro non ho trovato. Ah si, chissà, però non ditelo alla bici, se mamma Rose la facesse bianca… 🙂

A chi si rivolge la bici? A chiunque abbia cuore, passione e gambe. Se le gambe sono modeste come le mie, bastano cuore e passione.

Ma bisogna essere ben consapevoli che è una bici abbastanza estrema, niente a che vedere con una comoda sportiva per lunghi giri poco allenati. La bici ti porta a spasso comunque, ma è uno spreco. In casa Rose ci sono altri modelli progettati badando molto al comfort; non che la X-lite sia scomoda, anzi. Scendi di sella dopo cinque ore e solo le gambe sono a pezzi. E lo sono perché non ti sei concesso un attimo di tregua, vuoi pedalare sempre, vuoi sempre maggiore velocità, ogni salita una cronoscalata, ogni discesa un giro di giostra e in piano rilanci di continuo alla ricerca di velocità sempre maggiori. Proprio non ci riesci a calmarti, vuoi il tuo limite, in ogni situazione. Il limite della bici invece non so, io non l’ho trovato. Ci vorrebbe gamba migliore della mia, spero da qui a due mesi di raggiungere la forma ottimale persa durante l’inverno/primavera a causa dei miei acciacchi. Ho in mente alcune salite che mi lasciarono se non sconfitto comunque ferito nell’orgoglio. Vedremo come le salirò, perché le salirò, e a quanto soprattutto le salirò. E confido che il cavaliere oscuro mi aiuterà a piantare le bandierine del successo.

Vi lascio con la solita gallery di immagini sparse; e vi ricordo che le immagini in formato gallery sono presentate come parziali miniature: per visualizzarle intere è necessario cliccarne una e parte lo slide manuale.

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COMMENTS

  • <cite class="fn">MarcoF11</cite>

    Bello articolo. Io sono in trepida attesa della mia Rose ( la prima) ..ed e’ una gestazione un po’ lunga.. visto che l’ ho ordinata a Settembre. Arrivera’ in Gennaio spero..
    Anche io sono tra il 53 e il 55 . Dammi qualche statistica: quanto e’ il tuo cavallo e quanto sei alto?
    Quanto pesa la tua bici , piu’ o meno come te l’ ho aspettavi?
    Io ho ordinato una X-Light CDX 8800 in 55 . freni a disco, perche’ sui Pirenei mi sono trovato molta pioggia..Con un piccolo programma di allegerimento dovrei riuscire a stare intorno ai 6.6kg se e’ vero che il punto di partenza e’ 6.95 .. ( essenzialmente ruote leggere e sella, manubrio – come il tuo)

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Marco, quando presi la mia X-lite non c’era un peso dichiarato dalla casa perché non era un modello a catalogo. Inutile fornirti i miei dati antropometrici, se anche per remota ipotesi coincidessero coi tuoi significherebbe poco, l’assetto in sella è assolutamente personale e varia anche a parità di misure.
      Ti ci divertirai, hai preso una ottima bici.

      Fabio

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