Met Vinci Mips

Come è fatto

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Come è fatto   

Il Met Vinci è novita di casa Met; avendo però da poco pubblicato la recensione del modello Allraod, che ne condivide forme e buona parte delle soluzioni tecniche, almeno su queste pagine possiamo dire che ha una aria familiare.

Ho scelto la versione nero/rosso, lucidissimi, per distinguerlo proprio dal fratello in gamma Active. Un lucido che mi piace da vedere ma di cui mi pento ogni volta che debbo fotografarlo, riflette ogni dettaglio.

Vabbè, sapete che la fotografia non è il mio forte, accontentiamoci.

Ma non dobbiamo accontentarci con il Vinci, casco davvero ben fatto e studiato.

La vista laterale lo identifica subito come modello sportivo, seppure non faccia ricorso a forme particolarmente elaborate. Sostanza, trasmette sostanza.

La vista frontale è dominata dalla batteria di bocche per l’ingresso dell’aria, e ne entra tanta. Pure troppa, e in questa stagione (pieno inverno mentre scrivo) un sottocasco è d’obbligo. Lo prendo di buon auspicio per quando verrà il caldo.

Come dico sempre nei test dei caschi, che l’aria entri è facile, ma quello che conta è che ne esca rapidamente.

A questo provvedono le aperture posteriori, più piccine di quanto sembri ma decisamente efficaci.

Le viste di tre quarti, sia anteriore che posteriore, evidenziano un caschetto compatto, sottile (niente testa a fungo), ben dimensionato e con una minimale striscia di Eps a vista, davvero trascurabile.

Pur senza ricorrere a forme avveniristiche, il frontale è aggressivo il giusto e le cinque prese sono coadiuvate da altre tre poste sulla sommità.

Quelle posteriori come detto appaiono più ampie di quanto siano in realtà. Questo perché l’apertura nell’Eps (cioè lo strato interno) è più stretta di quella della calotta.

Scelta che approvo, del resto all’Eps è demandato il maggior sforzo per mantenerci la testa al sicuro, averne in più è sempre meglio.

A favorire l’eliminazione della condensa abbiamo altre due prese, in alto, alle estremità. 

Cosiderando il prezzo d’acquisto, davvero basso per un casco e per giunta Mips, direi che la sottile linea di Eps che percorre il profilo laterale è più che accettabile. Per fotografarla ho dovuta inquadrarla dal basso, altrimenti è difficile notarla.

Non che sia di quelli che se vedono l’Eps gridano allo scandalo; ma devo fare i conti con la percezione comune nel nostro mondo a pedali che più ne abbiamo a vista più il casco è di bassa qualità. In parte è vero, una calotta più piccola (quindi meno coprente) costa meno. 

Nel caso del Vinci il casco costa poco uguale ma Eps a vista quasi niente, e questo è indice di accurata progettazione.

Forse avrei fatto un piccolo sforzo e coperto la piccola striscia alla nuca.

Vabbè, chiedo molto, lo so.

La placca alla nuca ha piccolo pomello per la regolazione, al quale può essere applicata la luce a led dedicata; batteria a bottone e con doppia funzione luce fissa/lampeggiante. In questo caso sarà la lucetta a fungere da pomello.

Il contatto con la pelle è reso gradevole dalla sottile imbottitura.

La regolazione in questo caso si affida al sistema Safe T-Duo, soluzione meno completa del Safe T- Orbital, giustificata dal prezzo finale decisamente basso. Anzi, in rapporto al prezzo del casco direi che è ottima cosa.

La regolazione prevede lo scorrimento su diverse posizioni per agganciarsi perfettamente alla nuca.

Cinturino classico, comune a tanti modelli della casa, con fibbia maschio/femmina.

Come classici sono i divider a pressione, che sempre testo in durata passando molto tempo ad aprirli a chiuderli, per assicurarmi non cedano.

Ultima notazione sulla foggia; le prese d’aria frontali sono state disegnate anche per offrire saldo appiglio agli occhiali.

Ed ora guardiamo l’interno, perché è qui la maggiore novità: il Mips.

Cos’è? Suppongo lo conosciate già in molti, quindi riassumo brevemente.

Mips è acronimo che indica il Multi-directional Impact Protection System, a cui aggiungere l’altro acronimo BPS che indica il Brain Protection System.

Detto così ne sappiamo come prima, cioè ben poco. Meglio spiegare.

Ed è meglio spiegare partendo dall’inizio.

Come spesso accade le migliori invenzioni nascono (quasi) per caso: una intuizione, una idea, l’incontro e il confronto, la sperimentazione e infine il risultato. Che uno guarda e domanda “opperò, perché non ci hanno pensato prima?”.

Più o meno quello che è successo quando nel 1995, il neurochirurgo svedese Hans von Holst del Karolinska Institute di Stoccolma si rese conto che i caschi in generale erano costruiti in modo tale che malgrado tutto si generavano troppi danni, anche se perfettamente calzati e di buona qualità. Dissipavano l’energia di impatto, è vero: ma non sembrava bastare. Contattò così il Royal Institute of Technology (KTH) a Stoccolma per avviare una ricerca biomeccanica sulla prevenzione delle lesioni alla testa e al collo. E qui l’allora studente Peter Halldin iniziò un dottorato in biomeccanica per lesioni alla testa e al collo; il primo dottorato in questo campo.

Peter Halldin si approcciò all’argomento da un punto di vista tecnico e con l’aiuto di Hans von Holst e il suo background clinico, si posero l’obiettivo di comprendere ogni possibile causa dei danni celebrali anche indossando il casco. E una delle principali cause fu individuata nell’accelerazione rotazionale da impatto, foriera di danni al cervello.

Dopo un anno di ricerche Hans von Holst e Peter Halldin si unirono con l’idea della tecnologia MIPS, imitando il sistema di protezione del cervello stesso. Il primo prototipo di un casco dotato di MIPS fu testato presso l’Università di Birmingham nel 2000 e portò alla prima pubblicazione scientifica nel 2001, dimostrando che il MIPS poteva ridurre significativamente l’accelerazione rotazionale.

Come? Con una calotta inserita all’interno del casco e fissata a questo mediante elastomeri (i low friction layer) e capace di muoversi in ogni direzione per circa 10-15mm.

Tutti gli studi svolti hanno dimostrato una netta riduzione dei danni al cervello grazie alla drastica riduzione del movimento rotatorio. Ossia quel movimento che, sintetizzo, è una combinazione di energia rotazionale (velocità angolare) e forze rotazionali (dall’accelerazione angolare) che colpiscono il cervello e aumentano il rischio di lesioni cerebrali gravi.

Il sistema si compone di diversi elementi e non ne abbiamo uno principale: ognuno concorre lavorando in sincrono con gli altri.

Il più vistoso è sicuramente la calotta, non fosse altro per il colore (esiste anche in altre varianti cromatiche, comunque). Se però voglio trovare un cuore nel sistema lo identifico negli elastomeri, che da un lato sono fissati nell’Eps e dall’altro solidali alla calottina: sono loro che di fatto permettono il movimento omnidirezionale, fulcro della tecnologia Mips.

Noi adesso proseguiamo osservando il Mips applicato al nostro casco Met Vinci. Che è tecnologicamente identico a qualunque altro Mips inserito in qualunque altro casco ne faccia uso. Variano solo le aperture di aerazione per adattarsi ai diversi caschi.

Rimossa la sottile imbottitura si vede perfettamente come segua perfettamente la calotta.

E qui in dettaglio uno dei punti di ancoraggio.

Chiudo la presentazione degli interni con la sottile striscia frontale, sostituibile con quella in gel disponibile come optional. Visto il clima nei giorni dei test, io non l’ho usata.

Sei colorazioni disponibili, compresa quella vista fin qui.

Peso rilevato 270 grammi in taglia M.

Tre taglie disponibili, rispettivamente 52/56, 56/58 e 58/61.

Bene, possiamo pedalare.

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