Zone 30, clickbait e analfabetismo funzionale
Ovvero come invertendo i fattori del titolo scateni la tempesta perfetta.
Antefatto.
L’altro giorno molta stampa generalista, i social, anzi IL social Facebook campione nella diffusione delle sciocchezze (su Instagram e tik tok si punta ad altri contenuti…) è stato lanciato il sensazionale claim che le Zone 30 non abbassano i livelli di inquinamento e quindi, di conseguenza, a nulla servono per salvaguardare l’ambiente.
La notizia si ammanta di scientificità grazie ad uno studio del MIT, e questo pone la pietra tombale su noi che invece sosteniamo le Zone 30.
E’ tutta una sciocchezza, tranne lo studio del MIT che invece è autorevole e corretto.
E’ il perfetto caso di scuola per comprendere il meccanismo che lega in maniera indissolubile l’analfabetismo funzionale (Italia seconda in classifica, dati 2019), il clickbait (i titoli sensazionalistici per catturare click in rete) e la bulimia di notizie a cui obbliga la rete (a scapito dell’informazione).
Nessuno, nemmeno il suo più fervido sostenitore, ha affermato che le Zone 30 servano ad abbattere direttamente i livelli di inquinamento.
Tutti, o almeno tutti quelli che da anni studiano il fenomeno della Zona 30 nei suoi sviluppi in ogni metropoli in cui è correttamente applicata, affermano dati alla mano e senza tema di smentita che esiste una netta riduzione dell’incidentalità. Ossia della sicurezza stradale, quella che solo in ambito urbano determina un elevatissimo numero di morti e feriti.
Nel 2022 l’Istat ha certificato un netto aumento dei sinistri nei grandi comuni. L’ente di statistica fa ricadere in questa definizione Torino, Milano, Verona, Venezia, Trieste, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Messina, Catania.
Gli incidenti stradali in tali aree hanno rappresentato il 26,0% del totale (43.091), le vittime il 12,3% (390), la popolazione residente il 15,9% e il parco veicolare il 14,3% (7.679.668 veicoli).
Se vogliamo considerare le aree urbane tutte, ossia non solo quelle dei grandi comuni, e allargare l’orizzonte all’Europa Unita, il dato sale in maniera impressionante: solo nel 2022 i ciclisti uccisi in area UE sono stati oltre 2000. Una strage.
Questo è l’unico gruppo principale di utenti della strada a non registrare un calo significativo dei decessi nell’ultimo decennio, in particolare a causa di un persistente mancanza di infrastrutture adeguate e comportamenti non sicuri di tutti gli utenti della strada quali eccesso di velocità, distrazione e guida sotto l’effetto di alcol e droghe.
Ben di più i pedoni (che calano ma restano troppi) mentre i parziali del 2023 (l’anno concluso è ancora in elaborazione) pare abbiano superato questo dato.
Ecco quindi anzitutto a cosa serve abbassare il limite di velocità: a non far morire persone.
Certo, l’attuale Governo nostrano ha inferto un duro colpo per mano del suo ministro delle Infrastrutture che, vietando di fatto ogni forma di controllo a distanza, rende le Zone 30 una aspirazione invece della efficace realtà che nel resto del mondo viene riconosciuta come imprescindibile.
Le Zone 30 migliorano la qualità della vita e soprattutto: la salvano.
Poi nel medio e lungo periodo, come dimostrato dai dati raccolti nelle metropoli dove efficacemente attuate, si ha anche una riduzione dei livelli di inquinamento ma non per la riduzione della velocità: per la riduzione del traffico.
Si, perché una Zona 30 non è un cartello stradale ma una infrastruttura complessa, un ecosistema come direbbero quelli bravi nella comunicazione, che accompagna il ridotto limite di velocità al potenziamento del trasporto pubblico, delle infrastrutture ciclabili, della mobilità dolce.
In pratica meno auto in giro e quelle poche vanno più piano. Ne guadagna la nostra salute, quella del pianeta e cala la mortalità stradale.
Tutto questo noi lo sappiamo già, lo sapete da anni voi che seguite il blog, lo ignorano troppi che davanti a un monitor devono produrre notizie acchiappa click inseguendo la velocità della rete, nemica di ogni approfondimento. Tranne qui.
Giovanotti che davanti alla cartella stampa (press release, sempre quelli bravi) hanno preso al volo la non notizia che avrebbe catturato click.
La necessità di generare traffico unita alla svogliatezza di andare alla fonte, ossia leggere lo studio del MIT ed ecco la ghiotta occasione.
Ma tutto questo è possibile perché l’Italia è seconda in Europa e settima nel mondo per percentuale di analfabeti funzionali.
Ossia, come definito ormai 40 anni fa dall’OCSE, una “… […] persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”
L’analfabeta funzionale, quindi, è una persona che sa leggere, scrivere (altrimenti sarebbe definibile analfabeta) ed esprimersi in modo sostanzialmente corretto. Non è in grado, però, di raggiungere un adeguato livello di comprensione e analisi di un discorso complesso. Volendo identificare i caratteri distintivi dell’analfabeta funzionale, si potrebbero elencare i seguenti:
incapacità di comprensione adeguata di testi pensati per una persona comune, come articoli di giornale, regolamenti o bollette;
difficoltà nell’esecuzione di calcoli matematici semplici, come gli sconti in un negozio o la tenuta della contabilità casalinga;
difficoltà nell’utilizzo degli strumenti informatici.
E la più importante e, ahimé, più grave: conoscenza superficiale degli eventi storici, politici, scientifici, sociali ed economici.
Certo, si potrebbe obiettare che se nemmeno i giornalisti che hanno rilanciato con titoli a effetto una notizia inesistente non si sono presi la briga di andare alla fonte, ossia il rapporto del MIT, violando il primo insegnamento che ho ricevuto da chi mi ha trasmesso molto di questo mestiere, perché mai dovrebbe farlo il comune lettore?
Obiezione che non posso accogliere: abbiamo il diritto di informarci, abbiamo il dovere di farlo correttamente.
Gli strumenti sono lì, basta avere la pazienza di usarli.
Vi propongo a questo link l’interessante lavoro di Fact-Cheking svolto dai bravissimi redattori di Open; e siccome so che voi siete persone attente, so per certo che lo andrete a leggere.
E così posso tornare al titolo.
Per avere conferma di come gli analfabeti funzionali siano facile preda del clickbait, soprattutto su temi posti in grande evidenza da una precisa parte politica che ha costruito, per tramite del suo segretario, le proprie fortune (e tracolli) sugli analfabeti funzionali; e veicolati dai social, FB in testa e dalla nuova proprietà anche da X, l’ex Twitter.
E il cerchio si chiude, con buona pace di chi lo studio del MIT se lo è letto fino all’ultima riga. Comprendendolo.
Buone pedalate
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Ho dato una scorsa sulle informazioni relative all’analfabetismo funzionale e salta subito all’occhio un aspetto significativo nelle classifiche della sua diffusione tra la popolazione (classifiche per forza limitate a solo a un certo numero di nazioni e dunque non esaustive): nei paesi dove la religione permea di più la società civile, la percentuale degli analfabeti funzionali è più elevata. Non si può che dar ragione a Odifreddi…