E’ mio padre
Salvatore Maria Sergio: avvocato, giornalista, scrittore, artista, viaggiatore. Plurilaureato, una quantità di cariche ricoperte che a metterle in colonna sulla carta intestata, l’ho sempre preso in giro, servono due pagine.
Per tutti gli avvocati un Maestro, per tanti di loro un Mentore, per pochi un Collega. Pochi perché la sua è tempra che ormai scarseggia.
Per me è mio padre, semplicemente.
Un rapporto difficile il nostro. Troppo simili per andare d’accordo, troppo diversi per trovare un terreno comune.
Ma se oggi sono quel che sono è perché sono suo figlio.
Un figlio che forse l’ha deluso; o forse no.
Forse mi conosce meglio di quanto abbia mai pensato e sa che l’unico modo per farmi fare qualcosa è impedirmelo, dirmi che non è possibile.
E io, come lui, non ho mai accettato alcuna imposizione, nessuna scorciatoia.
Quante volte gli abbiamo rinfacciato quel suo essere contro a dispetto dell’evidenza, il Don Quijote pronto alla battaglia assurda per tutti ma non per lui, che la realtà ha saputo interpretrarla e piegarla quando necessario.
Quante cose non dette mi vengono in mente ora; e non potrò più dirle.
Quante cose abbiamo in comune e lo capisco solo adesso.
Noi viviamo con le parole, è il nostro rifugio. Il nostro sfogo.
Scrivendo troviamo noi stessi per quel che siamo.
Nessuno, solo io, mia moglie e mia figlia sa cosa sono stati questi mesi. E anche questi anni.
Ho tenuto informati mia sorella e mio fratello, una vive in altro continente, l’altro lontano da qui, solo lo stretto necessario.
Inutile caricarli di un fardello, di ansia, a cui non potevano porre rimedio.
Non ho mentito, solo omesso. Se ho sbagliato, scusatemi.
Una giornata serena quella di domenica, come non ne vivevamo da tempo. Tutti i parametri eccellenti, mio padre a coreggere le bozze dell’ennesimo libro, rivedere un articolo, cesellare una arringa.
La sera a mostrare quei fogli a mia moglie, per lui come una figlia.
Mi sono svegliato quasi sollevato e tranquillo ieri; poi in una manciata di minuti tutto è precipitato.
La corsa in ospedale, l’affidarlo ai medici senza poterlo accompagnare, l’obbligo di rientare a casa e attendere, fissando immobile quel telefono.
E poi la prima telefonata, quella che ti dice che è in rianimazione, preparati al peggio.
L’ingenua domanda “posso prepararmi anche al meglio?” e la risposta silente.
La seconda telefonata, quella che pone fine a tutto e da inizio all’incubo.
Mio padre è ancora lì, da solo. Non mi è permesso andare, finché non avranno i risultati del test nessuno può avvicinarsi.
Non ho potuto parlargli, essergli vicino, stare con lui.
Non posso essere lì adesso ad accudirlo, tenergli compagnia in attesa raggiunga il suo posto vicino a mia madre.
Io non so se sia stato questo maledetto virus.
Io so che questo maledetto virus è disumano, ci toglie tutto. Non solo la vita.
Mia sorella è sola a migliaia di chilometri e non può venire, quando il suo posto naturale è qui.
Mio fratello è molto più vicino e per questo sembra la sua assenza ancora più intollerabile.
Sono bloccati, non possono spostarsi, non è permesso nemmeno stare coi propri cari.
Lo capisco.
Lo accetto.
Ma non mi consola.
Ogni sera leggiamo numeri e statistiche.
Ogni sera dimentichiamo che ognuno di quei numeri è un padre, una madre, un marito, moglie, figli. Persone.
Storie.
Quella di mio padre basterebbe per una decina di romanzi.
Forse un giorno ve la racconterò.
Non oggi.
Ringrazio quelli che hanno compreso la mia richiesta di non telefonarmi, ringrazio quelli che mi hanno scritto e scusatemi se non a tutti ho risposto.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Ciao Fabio,
non sono bravo con le parole, ma l’unica cosa che posso fare è mandarti un abbraccio virtuale.
Massi
Mi spiace Fabio.
Difficile trovare le parole.
Ma..
Un grande abbraccio per dirti quanto ti sono vicino.
Gustavo
Ciao Fabio,
..un grosso e sincero abbraccio.
Paolo
Ciao Fabio, mi dispiace
Condoglianze ed un abbraccio da un suo lettore
Un grosso abbraccio Fabio, stargli lontano rende tutto ancora più difficile. So cosa si prova sto vivendo la stessa cosa.
Ciao Fabio, sentite condoglianze ed un sincero abbraccio da chi legge le tue storie di vita
Condoglianze sincere, Fabio.
Un forte abbraccio da un tuo assiduo lettore
Un abbraccio sincero
Leggo già di condoglianze, quindi temo che sia già accaduto il peggio. Se così non fosse ti mando un grosso augurio e in bocca al lupo. Se invece così è già, un forte abbraccio.
un abbracio:(
Ciao Fabio, un forte abbraccio. Marco
Ciao Fabio, mi spiace molto…
Quando vorrai, io ci sono.
Un abbraccio.
Daniele
E’ da poco che ti leggo, e, a volte, per la fretta vado oltre, ma questa volta l’argomento era diverso e “strano”, sono stato spinto a leggere tutto. Sono 24 anni che ho perso un padre che amavo, so cosa significa.
Sono con te.
Purtroppo questo virus ci sta togliendo quello che abbiamo di piu caro, e, purtroppo, non si riesce a porre rimedio, comunque, nonostante tutto auguri di Buona Pasqua ugualmente.
….solo ora vedo….
Un padre, soprattutto se degno, è una figura indelebile.
Il mio se ne andò che ancora non ero maggiorenne. Fu un punto fermo della mia adolescenza solitaria.
Un abbraccio sincero e forte.
Claudio – Piacenza
E’ dura. Coraggio e forza.
Fabio ho letto solo ora. Un abbraccio.
ti sono vicino
Ciao, sono un lettore affezionato del tuo blog ma speravo di non leggere mai un articolo del genere. Purtroppo è successo.
Condoglianze, forza e coraggio
Un abbraccio Fabio!
Sentite condoglianze …