COBI Plus
Non amo i ciclocomputer; detesto gli smartphone; trovo inutili i navigatori; non sopporto la piega affollata. Quindi cosa ho deciso di testare per mettere alla prova lui e me? Il COBI, un sistema che si installa sulla piega, si integra col nostro smartphone e funge da navigatore, ciclocomputer, consente di telefonare senza staccare le mani dal manubrio e tanto altro.
Sono strano? No, solo curioso e, come ripetuto spesso in altri test, se un dato accessorio o componente non serve al mio modo di vivere la bici non significa che è inutile. Credere che il proprio ciclismo sia l’unico giusto mi sa di fondamentalismo, di chi nella vita non è capace di guardare al di là del proprio ristretto orticello. Io non sono un fondamentalista e guardo sempre oltre il piccolo panorama che mi circonda.
E poi i test per me hanno un duplice scopo: scoprire pregi e difetti di ciò che mi trovo a recensire per offrirvi la migliore informazione possibile e mettere in discussione me stesso. Perché la mia unica certezza è che con troppe certezze non si va avanti.
Smart, magico prefisso che si è imposto negli ultimi anni per indicare qualunque cosa sia buona e intelligente: un telefono, una città, una idea, una azienda. Peccato che nove volte su dieci chi appiccica questa etichetta a qualcosa sia tutt’altro che smart di suo.
Poteva mancare quindi una smartbike o, come preferirei dire io, smartbicycle? No, e ci ha pensato COBI, azienda tedesca messa in piedi da Andreas Gahlert e dai co-fondatori Carsten Lindstedt, Heiko Schweickhardt e Tom Acland. Investitori e crowdfunding hanno creduto nel progetto e del resto i curricula dei fondatori chiariscono subito che non si tratta di nerds improvvisati. Ecco l’uno su dieci che non parla di smart a casaccio.
Hanno centrato in pieno il loro obiettivo? Assolutamente si; però l’obiettivo può non essere quello di tanti ciclisti, e questo crea difficoltà nell’inquadrare il COBI. Così arrivo io, che col mio primo smartphone avrò impiegato pure settimane a capire che per rispondere alla chiamata devi strisciare il dito e non premere l’icona verde, ma quando mi ci metto una cosa la capisco. Se me la spiegano piano. Credo.
E la prima cosa che ho capito è che il COBI è più dell’oggetto in sé. Anzi, si può dire che il contenuto della confezione è forse la parte meno importante e sulla quale ci sono aspetti migliorabili: perché al centro c’è il software, dalle enormi potenzialità. L’azienda lavora costantemente al suo sviluppo tecnico ma soprattutto lavora alla sua integrazione con altre realtà: aziende, bici elettriche, bike sharing, turismo, servizi, logistica. Compreso questo aspetto, il test mi è venuto via facile, perché i primi giorni onestamente non sapevo come interpretarlo, mi focalizzavo sul supporto e le luci e non è che ci trovassi chissà cosa di eccezionale. Poi ho capito che stavo commettendo l’errore che tanto rifuggo, non guardavo oltre, non ampliavo il mio orizzonte. Mi sono concentrato sulla app, più di tutto sul sistema di navigazione e le mie perplessità sono via via sparite. Non tutte, perché ho trovato soluzioni eccellenti ed altre che stentano la sufficienza, e lo vedremo nel corso del test. Partiamo, con la rotta solita che ci conduce a scoprire la confezione e il suo contenuto.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.