Cycle to work

Tempo di lettura: 3 minuti

Dal 1999 è attivo nel Regno Unito un programma di defiscalizzazione per l’acquisto di biciclette da destinare alla mobilità: il Cycle to work.

Vi prego di prestare attenzione alla data: dal 1999. Quasi 18 anni e noi, bravissimi a scopiazzare qualunque sciocchezza venga dall’estero, quando ci troviamo davanti una cosa buona nemmeno sappiamo cos’è. Vabbè.

Ho ripetuto spesso negli ultimi articoli che in questo autunno avrei cercato di “coprire” il ciclismo urbano e la mobilità in bici più un generale. E che lo avrei fatto pianificando test, articoli tecnici, di vita su due ruote e con qualche notazione su cosa si potrebbe fare per rendere appetibile spostarci in bici. Siamo nella settimana della mobilità sostenibile, quindi posso dire che “sono sul pezzo”… 😀

L’ottimo studio “L’A BI CI” stilato da Legambiente con la collaborazione di VeloLove e Grab+ che tanto risalto ha avuto sulla stampa nazionale e che vi ho presentato anche io (con link per poterlo scaricare) ci ha mostrato come la mobilità ciclistica sia un buon affare per lo Stato. E per noi, per la nostra mente, il nostro fisico: pure per il nostro portafoglio.

Eppure c’è un dato in questo studio che mi ha lasciato basito: all’aumentare delle ciclabili non aumentano i ciclisti. Io, come penso molti di voi, ho sempre pensato che la creazione di una seria infrastruttura fosse il primo e più importante passo per favorire l’uso della bici negli spostamenti urbani e extra urbani. Mi sono recato nell’hinterland partendo dal centro città per raggiungere il negozio di una notissima catena di arredamento e l’ho fatto in bici. Mentre pedalavo per strade deserte, traverse impossibili ed ero concentrato ad evitare l’infinita pletora di crateri che butterava il manto stradale pensavo “Opperò, ci fosse una ciclabile, sai che comodità: magari non ti vieni a comprare il guardaroba con la bici, ma una lampada da scrivania e due mensole le carichi facile. Però con queste strade a chi viene la voglia?”.

Invece lo studio L’A BI CI ha dimostrato, numeri alla mano, che malgrado i chilometri di ciclabili urbane sia quasi raddoppiato in sette anni, la percentuale dei ciclisti urbani è rimasta inalterata. Uso la definizione ciclisti urbani per comodità e vi ricomprendo tutti coloro che non usano la bici per solo allenamento ma anche come mezzo per gli spostamenti quotidiani.

Cosa potrebbe allora favorire se non convincere chi non pedala a mollare l’auto o lo scooter in favore di una sana pedalata? L’utilità economica. E’ talmente semplice, banale direi, che mi sento scemo persino io a spacciarla come soluzione. Risparmio di carburante, spese di parcheggio, manutenzione e c’è anche il risparmio sanitario, perché sanno tutti che l’attività fisica si traduce in un miglioramento delle condizioni di salute.

Ma siamo una strana società: vedo persone spendere centinaia di euro in abbonamenti alle palestre più varie e poi ci vanno in auto. Li vedo correre per un’ora come criceti sul tapis roulant però il mezzo chilometro per arrivarci lo fanno seduti su uno scooter o protetti nell’abitacolo. Si ammazzano con serie di squat ma guai se l’ascensore è guasto; e lo usano pure per scendere le scale.

Quindi a quanto pare dell’utilità economica motivata sopra non sappiamo che farcene.

E se rendessimo l’acquisto delle bici più conveniente? Per i ciclisti (in pectore) e per i loro datori di lavoro? Sarebbe una utile strategia? A giudicare da quel che avviene Oltremanica da 18 anni pare proprio di si. E’ appunto il programma Cycle to work, vediamo per sommi capi come funziona.

Il ciclista lavoratore dipendente (importante: non vale per i liberi professionisti) acquista una bici a rate (12 mesi di solito) e con uno sconto variabile, compreso tra il 25 e il 35% del prezzo di listino. Fin qui è facile.

Il trucco però sta nel pagamento: questo avviene con una detrazione della rata di pagamento della bici dallo stipendio lordo. Tre vantaggi: rateizzazione, sconto e risparmio sulle tasse per il ciclista. Già, perché avvenendo la detrazione sullo stipendio lordo si abbassa anche l’introito annuale del lavoratore e quindi pagherà meno tasse, come se avesse guadagnato di meno. Se la detrazione avvenisse sullo stipendio netto (che è quello al netto appunto delle ritenute alla fonte) le tasse sarebbero uguali, senza risparmio.

Il vantaggio è anche per l’azienda, cioè per il datore di lavoro del nostro ciclista. Di fatto è lei che finanzia l’acquisto ma son soldi che recupera perché li detrae dallo stipendio lordo del lavoratore; e in più risparmia qualcosa pure lei perché riducendosi il lordo si abbassano anche i contributi sociali che deve versare.

E dopo 18 anni che va avanti il programma Cycle to work sappiamo pure che c’è un ulteriore risparmio per le aziende, i ciclisti e lo Stato: chi va al lavoro in bici si ammala di meno, quindi meno spese sanitarie e meno giorni di malattia.

Il risparmio per lo Stato è più difficile da quantificare perché si traduce in minori spese sanitarie. Comunque, sempre dopo anni da che il programma è attivo, la stima vede un risparmio in spese sanitarie e costi sociali vari di circa due sterline per ogni sterlina di mancato incasso fiscale. Cioè per ogni sterlina di tasse a cui lo Stato rinuncia con il Cycle to work, ne risparmia due. Siamo al 100% di ritorno dell’investimento, il sogno di ogni broker finanziario….

Gli unici che guadagnano meno, almeno in via diretta, sono i negozianti che aderiscono al programma. Si devono sorbire il grosso della burocrazia e il guadagno sulla bici venduta è inferiore a quello che otterrebbero se la bici fosse acquistata al di fuori del programma. Di solito ci perdono circa il 10%. Però guadagnano un nuovo cliente, perché ad aderire sono, statistiche alla mano, quelli che una bici non la possiedono (o almeno una adatta allo scopo) e fidelizzandolo il giusto si ritroveranno un ciclista da attrezzare: abbigliamento, accessori nonché manutenzione sulla bici sono tutti introiti. E infatti oltre il 75% dei negozi aderisce all’iniziativa e due terzi di questi ritengono il Cycle to work molto importante per la loro attività.

Non tutte le bici possono essere acquistate con il programma Cycle to work; i modelli selezionati, indicati da negozi e aziende, devono essere adatti alla mobilità pendolare. C’è una certa elasticità, non pensate quindi solo all’olandesina coi suoi bei cestini avanti e dietro (tra l’altro comodissima, io ne ho una…) perché la scelta è ampia. Per esempio una bici come la mia tuttofare London Road risponde pienamente ai requisiti del programma. Se qualcuno crede sia una semplice commuter urbana farà bene a dare una occhiata al video pubblicato nell’articolo “E se bastasse una sola bici“, girato usando appunto l’inglesina…

L’equipaggiamento destinato alla sicurezza (casco, abbigliamento ad alta visibilità) rientra nel programma Cycle to work.

Sono comprese anche le bici a pedalata assistita.

Chiarito questo c’è anche da dire che le diversità nei sistemi fiscali e di contribuzione del lavoro che esistono tra noi e gli inglesi sono tante e tali che una importazione pari pari del Cycle to work tra i nostri confini sarebbe impossibile.

Però il concetto di defiscalizzazione invece è pienamente applicabile. I vari contributi stile “rottamazione” servono a poco e drogano il mercato. L’eliminazione dell’IVA, la possibilità di “scaricare” l’acquisto dalla dichiarazione dei redditi (come fosse uno strumento di lavoro: puoi farlo col pc, perché con la bici no se ti serve per lavorare?) o un qualche credito fiscale: insomma io non sono un tecnico del settore ma qualche testa pensante e preparata al Ministero dell’economia ci sarà?

Sappiamo che usare la bici fa bene alla nostra salute e al nostro portafoglio; le esperienze estere hanno dimostrato che incentivare la mobilità a pedali fa bene anche alle casse delle Stato. Chiedo: quanti denari non incassati di IVA rientrerebbero nelle casse statali sotto forma di minori oneri sanitari e sociali? Di preciso non lo so, però so che altrove l’investimento è stato produttivo, non vedo perché non dovrebbe esserlo pure in Italia.

Questo per quanto compete lo Stato centrale; il che non esonera le amministrazioni locali dall’adoperarsi per aiutare il diffondersi del ciclismo, inteso come mobilità sostenibile. Cosa che non avviene.

Infatti, fatemi chiudere con una considerazione polemica, in questa che è la settimana europea per la mobilità sostenibile assisto nella mia bella e maltrattata città alla chiusura manu militari di un tratto della già misera (per estensione e fattura) ciclabile per far posto alle panche dell’ennesima sagra strapaesana. Tant’è.

COMMENTS

  • <cite class="fn">andymcnab4</cite>

    Caro Fabio
    Hai descritto bene, più che un popolo strano oserei dire che siamo un popolo malato.
    La descrizione che fai nel tuo articolo dell’italiano medio è perfetta, ma tu pensi veramente che se qualcuno regalasse una bici per ogni abitante della tua città, questo ne comprenderebbe il valore? Ne dubito! Anche se le piste ciclabili sono raddoppiate, resta comunque pericoloso girare in bici, anche se, se ne parla poco sono molti i ciclisti che vengono investiti da una macchina. Fautore di una strafottenza nel rispettare il prossimo, ma soprattutto delle regole. Frutto dell’ego malsano ch’è insito in molte persone, anche i molti ciclisti più che comprende la filosofia della bici ne hanno fatto una moda, con il solo scopo di sfoggiare la bici più costosa e l’abbigliamento più griffato del momento. Hai citato i nostri ex vicini della Ue anglosassoni, mi ritorna alla mente un vecchio film di Alberto Sordi, dove fatto prigioniero dal esercito inglese, l’ufficiale al comando gli intimò di rispettare le normali norme di igiene… Sordi rispose che il suo popolo usavano i bagni prima ancora che loro diventassero una nazione… E con questo concludo per non spostare la discussione altrove.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Andy (uso questo nome in mancanza di firma), alla fine cosa credo io conta nulla. Ho chiuso l’articolo con una nota polemica sulla mia città ma c’entra poco cosa avviene qui all’ombra del Vesuvio. Il mio è un discorso più generale. In tanti usano il ciclismo e la mobilità sostenibile come facile slogan ma nei fatti vedo poco. Molto interessanti i progetti delle ciclovie da poco licenziati: aiutano ma lo fanno in un settore specifico che è quello del cicloturismo. Io invece auspico una seria politica di investimenti a favore del ciclismo inteso anche come strumento per la salvaguardia del pianeta. Sicuramente ci sono tanti altri settori su cui lavorare però questo è un blog a pedali e quindi di ciclismo si parla.
      Pericoloso andare in bici? Certamente. Ma chissà, magari con ciclabili vere e dedicate solo alle bici (trentino e liguria mostrano ottimi esempi) qualcuno si convince più facilmente. Lo studio di Legambiente smentisce questa mia convinzione, eppure io ci spero.

      Fabio

  • <cite class="fn">pedalandocontrovento</cite>

    Ciao Fabio, la realtà è che in Italia la mobilità sostenibile non esiste! é inutile che raddoppino i chilometri di ciclabili ma che siano tutte frammentate (dal centro del paese al cimitero) ma per arrivare al paese successivo devo prendere la statale.
    Non credo qui possano funzionare incentivi simili al cycle to work, quella che manca è la mentalità, al 90% della gente di quanta co2 emette solo per portare a scuola i figli, interessa la comodità.
    Sarà che ho visto le ciclabili di Copenaghen, purtroppo il nostro paese è indietro anni luce e qualsiasi amministrazione comunale se ne frega.
    Pensa che il sindaco della mia provincia ha ben pensato che mobilità sostenibile sia mettere 20 rastrelliere per bici allo stadio, già peccato per la maggior parte di noi sia impossibile usarla visto che dovremmo passare la tangenziale.
    Sul progetto ciclovie ci crederò quanto effettivamente esisteranno sono anni che si parla della Vento (venezia-Torino) ma tutt’ora ne esiste solo una minima parte.
    L’ unica scelta che abbiamo è continuare ad andare in bici al lavoro nonostante i pericoli e cercare di insegnarlo ai nostri figli, vicini amici.
    (scusa il post lunghissimo)

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Beatrice, anzitutto nulla di cui scusarsi. Ogni vostro intervento è sempre prezioso e non ci sono limiti di spazio. A maggior ragione quando sono interessanti come il tuo.
      Hai ragione, troppo spesso gli interventi a favore della mobilità a pedali si traducono in effimere esibizioni, una medaglia che qualche amministratore decide di appuntarsi perché così fa vedere di essere al passo coi tempi. Purtroppo per essere eletti servono i voti e non la competenza…
      Però non condivido anche se comprendo il tuo pessimismo. Sarà che ho sempre cercato di vedere il lato buono delle cose anche quando tutto va male, però se è vero che qui da noi manca la mentalità è anche vero che questa mentalità non è un moloch incrollabile.
      Le nostre azioni e soprattutto il modo, come efficacemente sottolinei, con cui educhiamo i nostri figli sono fondamentali. Non sai con quanto piacere lessi lo scorso anno un ordine del giorno del liceo di mia figlia dove tra i vari punti in discussione c’era la richiesta di spazio per parcheggiare le bici. Io sono fiducioso, credo molto nelle generazioni future. Lo vedo nel loro rapportarsi con il quotidiano, come rifiutino confini e diversità di razza e religione sentendosi cittadini di un mondo sempre più piccolo che vogliono tutelare. Quando avevo la loro età c’era il muro di Berlino ancora in piedi, se mi avessero detto che da lì a poco sarebbe crollato non ci avrei creduto. Eppure…
      Si, la mentalità attuale è sbagliata ma cambierà, di questo ne sono sicuro.

      Fabio

  • <cite class="fn">Franci79</cite>

    Caro Fabio,
    moloch incrollabili non esistono in temi di ciclabilità. Praticamente tutti gli esempi virtuosi che citiamo vengono da situazione di assoluto caos automobilistico (si pensi all’Olanda anni 70 ).
    Sono stato a Londra un paio di giorni e fa piacere vedere le molte bici in giro per andare al lavoro, pur essedno il traffico veramente pesante e pericoloso.
    Non so se qualcuno dei lettori del blog l’abbia visitata di recente ma alle 17 potrete notare un notevolissimo numero di bici da corsa tornare a casa , con ciclissta in tenuta da gara e pedali a gancio rapido. In alcuni momenti non ci sono che bici da corsa.Tensioni ciclisti automobilisti sono all’ordine del giorno e talvolta violenti , ma la quota ciclistica è ben più alta di 10 anni fa .
    Una nota: ondra benchè abbia fatto investimenti importanti non è una città dove si può girare con la bici come su una ciclabile lungo i navigli.Anche nelle corsie ciclabili bisogna avere l’occhi allenatissimo.
    Quello che mi fa rabbia a volte in Italia è ridurre la mobilità ciclistica alle sole piste ciclabili protette, separate fisicamente dalla strada.
    Ci sono omoltissimi altri interventi più utili ed efficaci (le corsie protette servono solo in particolari circostanze, ovunque sono assurde)
    Ciao a Fabio e ai lettori del blog
    Francesco

  • <cite class="fn">Pio</cite>

    le ciclabili separate sono assurde fino ad un certo punto, a Copenhagen la città più ciclabile del mondo sono sempre e solo separate, a Parigi dove è nata la rivoluzione ciclistica non lo sono mai. È questione di competenza, opportunità ed approccio. Non sempre la stessa soluzione va bene dappertutto.

  • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

    Infatti; non credo una ricetta miracolosa applicabile a qualunque realtà. Ogni città e territorio dovranno studiare la soluzione più idonea. L’unica cosa in comune deve essere la volontà di investire in un progetto di lunga durata, avere una visione di lungo periodo. Non interventi spot su piccoli e inutili tratti, giusto per appuntarsi una medaglia al petto a favor di telecamere.

    Fabio

  • <cite class="fn">gfdsaorg</cite>

    Quello che spesso dimentichiamo e’ che la sicurezza di ciclista’ serve solo se il ciclista viene. Inutile costruire ciclabili per proteggere ciclisti se le ciclabili sono inutili o inutilizzabili. E se non vengono non ci sono i numeri e senza avere i numeri non si cambiano comportamenti. Olanda e Danimarca sono sicuri per ciclisti fuori le piste ciclabili uguale come sulle piste perche’ sono tanti i ciclisti e ogni automobilista e’ anche ciclista. Perche’ fa piu’ comodo. Dobbiamo distruggere parcheggi e costruire ciclabili che ci portano da qualche parte dove vogliamo andarci e non dove ci permettono andare le macchine. La pigrizia, la convenienza quotidiana sono le chiavi e non un incentivo economico difficilmente comprensibile da una persona media. Gli 500 euro che lo danno tramite rimborso spese … gli spende in un mese ma al lavoro deve andare ogni giorno.

    Questo articolo interessante di Bike Portland tocca l’argomento di approccio sbagliato che abbiamo: https://bikeportland.org/2013/08/16/why-our-focus-on-safety-holds-us-back-92432

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Il titolo dell’articolo, di conseguenza il suo oggetto, indica un programma ben specifico: che è di fatto un incentivo economico. Altri provvedimenti, possibili, impossibili, futuristici o utopici troveranno spazio in altri articoli.
      Qui si è voluto sottolineare un singolo aspetto di un problema che richiede più soluzioni; e come ho già detto in altra risposta, non esiste una sola ricetta valida a ogni latitudine. Ci sono troppi fattori di cui tener conto e anche se per esempio tutti possiamo essere d’accordo che il bike sharing è nei fatti una ottima cosa, lo stesso progetto di bike sharing non è applicabile in toto in qualunque città. Perché c’è da fare i conti con innumerevoli variabili, a iniziare dall’orografia per cui un tipo di bici che è adatta nella città X nella città Y finirebbe con l’essere inutilizzabile.
      Il programma Cycle to work si è rivelato, alla prova dei fatti, un ottimo incentivo. Non l’unico e non risolutivo ma è comunque una delle soluzioni. Che insieme ad altre potrebbe risolvere del tutto il problema.

      Fabio

      • <cite class="fn">gfdsaorg</cite>

        Si, vero, siamo d’accordo su un programma complessivo per raggiungere l’obiettivo. Volevo solo sottolineare per l’ennesima volta il motivo di differenze nei numeri di ciclabili e ciclisti 🙂
        Chiaro che non può funzionare una ricetta per tutti, ma già che citiamo Cycle to Work, proviamo anche la Vision Zero visto che da tutti i sondaggi risulta la sicurezza stradale il maggior blocco per il cambiamento.

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          Sono assolutamente d’accordo con te; scriverei anche il nome, ma quando non vi firmate mi è difficile… 😀

          Fabio

          • <cite class="fn">Michael</cite>

            Allora firmo 😉

            • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

              Ottimo Michael; non per altro ma scrivere “Ciao gfdsaorg…” non è che suoni bene, sembra che sto rispondendo a un marziano di un film anni ’60 (o al catalogo Ikea, suona uguale) 😀 😀 😀 😀 😀

              Fabio

          • <cite class="fn">Michael</cite>

            Non e’ che posso dire che non mi sento a volte un marziano. Anzi … Pero’ anni 80, sono del 78 🙂
            E a fare parte di catalogo Ikea credo che per me sarebbe la più grande impresa della vita fin ora.

            • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

              ahahaha bella questa Michael, mi è piaciuta 😀

              Ecco, pensa come suonava “bella questa gfdsaorg, mi è…”. Insomma… 😀

              Fabio

  • <cite class="fn">Sandro</cite>

    E il problema del furto delle bici? Ogni giorno faccio 35 km per il tragitto casa-lavoro e ritorno. La bici è moderatamente costosa. Se non avessi la possibilità di tenerla al chiuso in luogo sicuro avrei continuato a viaggiare in corriera (impiegandoci lo stesso tempo).
    Altro problema che vedo è che la gente non vuole arrivare a lavoro sudata. Ciao.
    Sandro

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Sandro, come ho già avuto di dire rispondendo a Michael, qui si è voluto trattare un solo aspetto. Altrimenti si finirebbe con lo scrivere una enciclopedia se si volessero affrontare con un unico articolo tutti i problemi che vivono i ciclisti pendolari.

      Comunque sul blog ho già trattato sia come difendere, nei limiti del possibile, la bici dai furti presentando alcuni lucchetti e sia come pedalare e/o modificare la bici per limitare al massimo il problema di arrivare sudati. Una cosa alla volta, altrimenti si capirebbe nulla.

      Fabio

  • <cite class="fn">sonia</cite>

    credo ,Fabio, che tu abbia sottovalutato uno dei rischi più grandi per il ciclista che esista in Italia: la mancanza del senso civico.
    E’ proprio l’incoscienza, l’irresponsabilità, l’indisciplina di chi guida auto e moto, che scoraggia l’uso della bici.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Sonia, non ho sottovalutato: semplicemente, come già ripetuto in altre risposte, qui ho preso in esame UN SOLO aspetto dei possibili modi di incentivare l’uso della bici. Arriveranno articoli sulla sicurezza stradale nonché alcune delucidazioni di Cds, spesso ignorato anche da noi pedalatori. A ogni argomento il suo spazio.

      Fabio

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