Nuovo assetto in casa Trek, le mie considerazioni

Tempo di lettura: 3 minuti

Trek Italia chiude: è notizia di ieri, io ho scelto di pubblicarla oggi e più avanti capirete perché, seppure già dal titolo è chiaro che ho qualcosa da dire.

Immagino voi abbiate già letto il comunicato, siete persone intelligenti e dubito vi informiate a un’unica fonte.

Comunicato arrivato a inizio mattinata, a me è servito tempo per metabolizzare e poi sapete che raramente pubblico le press release, le eccezioni quando ho valutazioni da fare.

Comunque, se è sfuggito, ve lo riporto in versione integrale.

TREK UNISCE I MERCATI DEL SUD EUROPA

La filiale Trek che gestisce Francia, Spagna e Portogallo ora gestisce anche il mercato italiano con la creazione di Trek South Europe.

Trek annuncia la creazione della sua quinta grande filiale europea, dopo GAS, BLX, Nordics e UK+, denominata Trek South Europe, al fine di favorire le sinergie e migliorarle competitività in Europa.

La sede della nuova filiale è stata stabilita a Madrid e sarà guidata da Olivier Pelous, che negli ultimi dieci anni ha portato avanti le integrazioni di Spagna e Portogallo in Trek Iberia, e dal 2021 la creazione di Trek South West Europe incorporandone la gestione
del mercato francese.

Secondo Harald Schmiedel, VP Trek Europe: “Vorrei ringraziare Davide Brambilla per il suo ottimo lavoro negli ultimi 14 anni. Davide ha aperto la filiale Trek in Italia, ha guidato a grande squadra, e ha creato una forte rete di concessionari impegnati per il futuro del nostro Marchio”.

“Siamo molto entusiasti di riunire l’esperienza e l’energia del team dell’Europa sudoccidentale con il team italiano di successo, per consolidare il nostro marchio in tutti e quattro i paesi”, ha affermato Olivier Pelous, direttore generale Trek Sud Europa.

Con questa fusione, Trek allinea la propria struttura organizzativa per offrire il miglior servizio possibile ai propri clienti, ai rivenditori e attenzione agli amanti del marchio.

Queste poche righe, composte con abilità a sottintendere una strategia migliorativa, nascondono dietro una cortina di nebbia una realtà ben diversa.

Trek è una grande multinazionale, in questo lungo momento di crisi del mercato, che è crisi creata da errori di strategia, non è l’unica a dover operare tagli drastici. Perché l’accorpamento è un taglio, serve a ridurre i costi.

Già un paio di anni fa, quando il mercato tirava, scrissi diversi articoli in cui ponevo l’attenzione su evidenti errori di valutazione, determinati soprattutto dalla domanda non risolta durante il periodo covid.

Quello che sto per scrivere riguarda Trek ma anche altri marchi.

Misi in guardia sulla bolla che sarebbe scoppiata, pochi mi hanno creduto all’inizio, molti l’hanno capito dopo.

Denunciai l’errore delle campagne promozionali in periodi “vivi” per la vendite, che avrebbero drogato un mercato già drogato.

Contestai l’eliminazione delle bici di media gamma, abbordabili e ben fatte e/o l’averle fatte traslare in fasce di prezzo proibitive.

Soprattutto lanciai l’allarme sulla mancanza di visione strategica per il lungo periodo, con blitz per massimizzare il profitto nel breve periodo, mostrare ai top manager il trimestrale positivo e al diavolo cosa succederà fra sei mesi.

Al tempo stesso mentre altri gongolavano nel pubblicare il calo di fatturato di Shimano io scrissi che non solo non era preoccupante ma addirittura salutare, segno che la crisi stava pian piano rientrando e proprio Shimano aveva già previsto la cosa e agito con lungimiranza.

Sono un esperto? No, sono un appassionato di questo mondo a pedali. Conosco i ciclisti, i loro gusti, le loro passioni, le loro esigenze. Spesso so anche quello che loro stessi non sanno di sapere.

Le aziende di bici producono l’oggetto della nostra passione. Non un frigorifero.

Utilissimo, tutti lo abbiamo in casa, ma quanti ne sono appassionati? Pochissimi, se esistono; facile trovare chi si appassiona al suo contenuto ma dell’involucro gli interessa poco, basta che aperto lo sportello lo si trovi pieno.

Ora non me ne vogliano i produttori di frigoriferi, che pure hanno ingegneri di prim’ordine, ma è per fare un esempio.

La bici la acquisti per passione e se pure vogliamo mettere una quota di persone che la comprano come oggetto di arredamento, beh, è talmente risibile che non fa testo.

Quando ti rivolgi a un appassionato devi parlare la sua stessa lingua. E se davanti alla passione non c’è logica che tenga, allo stesso modo non c’è bilancio trimestrale che regga.

Se inganni l’appassionato, lo perdi. Per sempre.

Mettere a capo di aziende che vivono sulla passione persone che questa passione non hanno, non la conoscono, non la capiscono e si preoccupano solo delle aride colonne di cifre significa dare un colpo mortale alle aziende per cui lavorano.

Puoi portare un bell’attivo una volta, due, forse tre: ma sul lungo periodo la strategia da squalo della finanza è perdente in un mondo dove il cuore conta molto di più.

E la cosa più triste, quella che ieri mattina mi ha lasciato basito, è che a pagare gli errori sono gli innocenti, quelli che anzi hanno lavorato bene e meglio di chi stava in cima alla piramide e le ha sbagliate tutte.

La passione, si, è importante. E’ fondamentale.

Questo blog vive di passione, sulla passione: e ha i suoi principi.

Vi ho raccontato spesso durante i test che la mia selezione non è solo sul materiale ma anzitutto sull’azienda. Che deve avere dei principi, un’etica se vogliamo, a me affine.

In Trek l’ho, anzi avevo, trovata.

Basta guardare alla pagina dove l’azienda cita le sue iniziative nel campo del sociale; oppure a favore della sostenibilità.

Raccontandovi un interessante studio che quantificava i chilometri in bici necessari ad azzerare le emissioni per produrre una bici, studio svolto da struttura indipendente ma voluto da Trek, scrissi: “Trek è una di quelle realtà produttive che da anni ha scelto di fare qualcosa per l’ambiente.

Non green washing ma azioni concrete.

Seppure sia un colosso mondiale Trek non ha mai abbandonato una sorta di struttura familiare, di quel (raro) capitalismo illuminato che non sacrifica tutto sull’altare del profitto. Una azienda non è un ente di beneficienza, nasce per creare valore. Ma può farlo anche senza rinunciare a temi etici e sociali, un esempio lo abbiamo avuto da noi con Adriano Olivetti.

L’attuale Ceo John Burke è uno che, come dico io, ci crede.

Invece a smentire le mie parole non questo accorpamento, legittimo se vogliamo ma su cui c’è da discutere, quanto i modi con cui è stata gestita la cosa.

Si, qualcosa era nell’aria; non però che dalla sera alla mattina, come in un film hollywoodiano sugli squali di Wall Street, si presentassero nella sede di Trek Italia e comunicare a freddo il licenziamento a decine di persone.

A persone che hanno lavorato benissimo in questi anni, che hanno il merito di aver creato una struttura vincente, un insieme di teste e cuori che mossi dalla passione ha permesso a noi di vivere la nostra di passione.

I ringraziamenti a Brambilla letti nel comunicato? Aria fritta, Brambilla ha operato benissimo, paga colpe non sue e sono certo che un manager con tale esperienza e capacità non avrà difficoltà a trovare una nuova collocazione.

Gli altri? I meccanici, chi si occupa di logistica, comunicazione, amministrazione e tutto quello che serve a far funzionare una struttura complessa come la diramazione nazionale di una grande azienda, che faranno?

Perché devono essere loro a pagare gli errori di chi la crisi l’ha creata?

A parte che questa tecnica molto yankee di arrivare, chiamare le persone e licenziarle qui da noi non è manco legittima, puoi farlo solo per giusta causa licenziando dalla sera alla mattina e, in linguaggio giuridico, la giusta causa non è l’invenduto per errori dei manager all’estero ma insubordinazione, furto, danneggiamento e così via.

Un simile comportamento a quali principi etici si ispira? Le parole di Burke che leggo sul sito aziendale sono davvero il suo pensiero? O solo specchietto per le allodole, cioè io, che credono, cioè sempre io che ci ho creduto? Dov’è il capitalismo illuminato? Soprattutto, dov’è il rispetto per le persone, le loro vite dedicate a una azienda che ti butta per strada per coprire gli errori altrui?

Vedete, me la prendo a cuore perché mi sento ingannato.

Penso a chi in Trek Italia ha dato l’anima, perché ve l’ho detto, questo è un mondo dove serve passione. La passione che ho visto in donne e uomini che lavorano nel nostro mondo a pedali, l’ho vista e la vedo nei meccanici con cui mi confronto prima degli articoli (perché non improvviso, verifico ogni passaggio con gli esperti), la vedo in quelli che sopportano la mia petulanza a ogni test da organizzare, la vedo persino in quei poveri magazzinieri che tormento con le spedizioni, io che al materiale test ci tengo molto più che se fosse mio.

Questo accorpamento, così come altri avvenuti con differenti aziende e altri ne verranno, non è segno di una strategia di lungo periodo: in questa fase è una dimostrazione di debolezza.

Debolezza di chi fumava il sigaro coi piedi sulla scrivania trastullandosi coi grafici di crescita e al primo e prevedibilissimo cambio del vento ha calato la scure su altri per nascondere i propri errori.

Debolezza di chi ha puntato e punta solo all’immediato, senza una strategia di medio e lungo termine e puntando tutte le fiches sul massimo profitto del momento.

Debolezza di chi ha paura di guardare lontano, di immaginare il futuro, di dover rispondere delle proprie azioni.

Perché vedete, alla fine, non esiste una reale crisi del mercato: hanno prodotto più di quanto era ragionevole vendere, hanno speculato sui prezzi illudendosi di farla franca, hanno riempito i magazzini di bici che nessuno compra.

Loro hanno creato le condizioni per la tempesta perfetta, loro a cercare il capro espiatorio in chi invece ha lavorato bene.

Ultime note in chiusura.

La mia piena solidarietà, per quel che può valere, alle donne e agli uomini di Trek Italia che si ritrovano all’improvviso senza un lavoro.

In queste settimane sto lavorando a un test di bici Trek, è possibile ancorché molto probabile, sarà l’ultimo che leggerete di questo marchio.

Non perché temo le mie odierne parole mi facciano finire in black list (tanto ci finirò..) ma perché il modo in cui è stata gestita questa operazione mi ha deluso.

Ho i miei principi, se li seguissi solo quando è comodo e li accantonassi alla prima avvisaglia di pericolo, varrei poco io e varrebbero nulla loro. E mi assumo le mie responsabilità, non ne faccio pagare ad altri le conseguenze.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">fabio</cite>

    Qualche dubbio su simili discorsi me lo pongo sempre.
    Hanno sbagliato. Chi? Gente che muove mln/mld?!
    Avranno sbagliato solo se Trek dovesse chiuedere. Anzi, neanche. Perchè se dovessero chiudere, i proprietari delle quote di maggioranza lo faranno prima di rimetterci tutto quanto hanno guadagnato “speculando” sui momenti di abbondanza.
    È il capitalismo!
    I problemi li avranno i piccoli negozianti che ha acquistato bici ad un prezzo che con il mercato attuale non permette di guadagnare abbastanza nel rivendere (forse; non sono un esperto di commercio e non conosco il “mercato”), ma se accade è perchè si è fatto coinvolgere, non ha fatto bene i suoi conti, ecc.
    È sempre il capitalismo.
    Dopo una “bolla”, i prezzi tornano alla fase precedente, poi si riparte.
    Il ciclo lascia dietro di sè molti più poveri e pochi molto più ricchi. E tanti altri, più attenti, prudenti, o forse timorosi, che non ne hanno approfittato ma neanche ci rimetteranno.

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Dissentire, dove si può come si può, sempre.

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