Voglio atleti, non gladiatori

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La recente morte di Gino Mader ripropone alla cronaca la sicurezza di chi pratica questo sport. 

Un evento evitabile? Non lo so, alle volte penso che quando è il momento che Atropo recida il filo non importa cosa stai facendo, lei taglia.

Ma di solito preferisco credere che siamo noi gli artefici del nostro destino e qualcosa possiamo fare per distrarre l’inesorabile Parca.

Di sicuro possiamo far qualcosa per non farle puntare lo sguardo su di noi.

All’ultimo Giro d’Italia grande clamore ha suscitato la protesta dei corridori che si sono rifiutati di correre con quel tempaccio.

Tappa annullata, subito si è scatenata la battaglia sui media e sui social.

Io ho preferito tenermene lontano, non ho mai amato le guerre faziose, e quello che avevo da dire oltre interessare pochi era di segno del tutto opposto alla vulgata maggiore.

Lo dico adesso, perché la morte di Mader impone riflessioni.

Con l’annullamento della tappa del Giro è stato tutto un fiorire di immagini più o meno d’epoca con ciclisti sotto la neve, la pioggia, in condizioni sfavorevoli a essere ottimisti.

E tutti a rimarcare la loro eroicità contro la “fifa” dei moderni professionisti, impauriti e infreddoliti.

Bene, per me l’annullamento è stato giustissimo.

Io voglio vedere atleti che gareggiano al meglio delle loro capacità, non voglio uno spettacolo gladiatorio, non bramo il sangue nell’arena.

Troppo drastico? Facciamoci qualche domanda.

Tutti parliamo di sicurezza sul lavoro, una piaga tutt’oggi inaccettabile che una persona debba morire per il lavoro che fa.

E guardiamo a ogni nuova tutela come una conquista, un progresso, un miglioramento.

Ora qualcuno mi dice perché le stesse tutele non possono essere applicate anche ai ciclisti professionisti?

Ah, ma l’operaio rischia per 1500 euro al mese (se gli va bene…), questi bambocci guadagnano fior di quattrini!

Quindi? E’ solo una questione di soldi? Di quanto valore vogliamo attribuire a una vita?

Qualcuno vede mai operai edili sulle impalcature quando la pioggia è forte e il vento fa oscillare quelle esili strutture? No, ed è giusto così.

O vogliamo definire eroine le operaie dell’800, loro si che non si lamentavano? Ma scherziamo?

Perché per i ciclisti dovrebbe essere diverso? Perché loro devono rischiare?

Per il nostro piacere, il nostro gusto mentre siamo mollemente stesi sul divano e vogliamo vedere la tappa in tivvù?

Questa stucchevole retorica dei tempi eroici, del ciclismo, del motociclismo, dell’automobilismo e così via, mi ha francamente sempre infastidito.

Pasolini e Saarinen adesso forse starebbero a godersi nipoti e pronipoti se all’epoca ci si fosse interrogati sulla sicurezza dei piloti.

Una volta cadere in moto durante una gara era una roulette russa, adesso ci si alza e via.

Cosa è meglio? Io non ho alcun dubbio.

E se poi in quella tappa un ciclista, ma non dimentichiamo tutta la carovana che si sposta in una grande corsa a tappe, ci avesse lasciato le penne, il nostro senso dell’eroismo ne sarebbe stato appagato? Il mio no.

L’incidente è sempre possibile, inaccettabile specularci su.

Tante cadute nel gruppo e subito ti spunta il tecnico in cerca di pubblicità, per lui e per il sito che lo ospita, ad accusare i freni a disco. Giusto, perché fomentare discussioni aumenta i click.

Il telaista che fa telai che non vuole nessuno ti spiega con dovizia di particolari che tutte le bici, tranne le sue ovviamente, hanno geometrie sbagliate e quindi i professionisti cadono.

Che poi mi chiedo: 1. Non c’è un solo ingegnere tra le millemila aziende che producono bici che ne capisca qualcosa? 2. Sono le stesse bici normalmente in vendita, perché non cadiamo pure noi?

Ma tanto è solo una vecchia strategia di comunicazione, dire qualcosa che sei il solo a dire, smuovere le acque con una tesi ardita e lasciare che se ne parli. Perché, appunto, l’importante è che se ne parli. Soprattutto di te.

Ho letto addirittura che Mader è caduto perché messo male in sella, come tutti i professionisti sostiene l’autore.

Che è ottimo argomento per scatenare sui social gli amatori pronti a prodigare consigli ai professionisti su come si sta correttamente in sella.

Non uno che si sia posto il dubbio sulla scelta dei percorsi, sulle misure di sicurezza spesso inesistenti, sugli arrivi scelti perché quel Comune ha offerto di più, anche se il percorso è oggettivamente pericoloso.

Abbiamo visto scene assurde nell’ultimo Tour dei Pirenei femminile, con le atlete costrette a gareggiare tra le auto, non sono state chiuse le strade. E sempre qualcuno pronto a soffiare sul fuoco delle polemiche, perché a noi mica le chiudono le strade quando andiamo in bici. E che c’entra?

Lo sport è una sfida, sempre.

Ma è una sfida ai propri limiti: e solo quelli.

Buone pedalate

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