Supply Chain Act in dirittura d’arrivo?

Tempo di lettura: 4 minuti

La proposta della commissione Europea sugli obblighi di sostenibilità aziendale sta per passare al vaglio del Parlamento della UE.

Il 23 febbraio 2022 la Commissione presentò la sua proposta di legge, denominata Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD).

I Paesi europei avevano a loro volta concordato una legge sulla catena di approvvigionamento a livello dell’UE nel dicembre 2022 e ora, maggio 2023 è il turno del Parlamento europeo. Primi di giugno in realtà ma il calendario è questo.

La proposta mira a obbligare le imprese a gestire con attenzione gli impatti sociali e ambientali lungo tutta la loro catena di approvvigionamento, comprese le proprie operazioni commerciali, e va ben oltre la legislazione vigente a livello nazionale. Nella maggior parte dei casi, il diritto nazionale si concentra su specifiche violazioni dei diritti umani, come nei Paesi Bassi, dove si concentra sul lavoro minorile, o nel Regno Unito, dove mira alla schiavitù moderna.

Sebbene in quest’ultimo caso parliamo di Nazione non (più) UE, il pregio di questa normativa è quello di intervenire sull’intera filiera.

Significa che non importa dove la violazione avvenga, se alla fine il prodotto è commercializzato da una azienda UE, questa ha obbligo di verificare ogni passaggio.

Infatti la bozza del European Supply Chain Act richiede alle imprese europee di sottoporre ad audit i propri fornitori lungo l’intera catena di approvvigionamento globale, comprese tutte le relazioni commerciali dirette e indirette.

L’obiettivo della nuova normativa è quello di garantire il rispetto degli standard applicabili in materia di diritti umani e tutela dell’ambiente al fine di promuovere un’economia globale più equa e sostenibile, nonché un governo societario responsabile.

Nell’introdurre la bozza lo scorso febbraio, il Commissario Europeo per la Giustizia Didier Reynders ha dichiarato: “solo le aziende che non danneggiano l’ambiente e rispettano pienamente i diritti umani dovrebbero operare nell’UE”.

Se approvata, gli Stati membri dell’UE avranno quindi due anni per recepire la direttiva nelle loro proprie leggi nazionali.

I Paesi con leggi proprie sulla sostenibilità produttiva, come la Germania con la Lieferkettengesetz (abbreviata in LkSG) entrata in vigore nel gennaio 2023, dovranno rivedere e inasprire la legislazione.

Al momento in cui scrivo la normativa in via di approvazione dovrebbe riguardare le aziende con più di 500 dipendenti e un fatturato di almeno 150 milioni di euro.

E questo sembrerebbe un limite, perché taglierebbe fuori le PMI. Non del tutto però, perché se queste sono a loro volta fornitrici di aziende grandi, che rientrano nei parametri della legge, sono indirettamente coinvolte nella due diligence della catena di approvvigionamento.

Gli obblighi sono: identificare gli effetti negativi effettivi o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente. Adottare, quindi, misure appropriate per prevenirli, mitigarli e rimediare. Per i settori ad alto rischio ciò dovrebbe applicarsi solo a gravi violazioni dei diritti umani e dell’ambiente all’interno del rispettivo settore.

La due diligence deve essere integrata nelle politiche e nei sistemi di gestione aziendali.

Le aziende devono stabilire una modalità/strumento per effettuare segnalazioni e assicurare che tutti lungo la filiera possono accedervi.

Devono essere fornite informazioni trasparenti e pubbliche sull’adempimento degli obblighi di due diligence di un’azienda, inclusa una relazione annuale.

Le aziende sono obbligate a controllare e monitorare l’efficacia di queste misure.

Se il fatturato annuo supera i 150 milioni di euro, le aziende devono allineare le proprie policy interne all’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento del pianeta a 1,5 gradi Celsius.

Introduzione forse eccessivamente tecnica, ma credetemi se dico che ho sintetizzato al massimo, e apparentemente fuori tema per un blog di biciclettine.

No, non credo.

Già qualche mese fa ho sollevato la questione della sostenibilità nella catena di produzione, in un articolo in cui mi domandavo se la bici fosse davvero così ecologica.

Già, proprio perché la bicicletta è presa a simbolo per antonomasia della sostenibilità, trovai giusto interrogarmi se nel produrre e mettere in strada questo nostro amato veicolo non si producessero eccessivi danni ambientali e ci fossero adeguate condizioni di lavoro.

Sarebbe un controsenso.

E infatti nell’articolo che vi ho linkato raccolgo proprio i “comportamenti virtuosi” di alcune aziende.

Che avvengono su base volontaria diciamo così, senza obblighi di legge ma perché ci credono; e io con loro.

Adesso che il Parlamento Europeo è chiamato a legiferare si stanno scontrando opposte visioni.

Perché, ovviamente, rispettare parametri produttivi sostenibili ha un costo, costo che si riverbera sul prezzo finale e rende le aziende sottoposte al regime del Supply Chain meno competitive sul mercato rispetto a quelle scevre dagli stessi obblighi.

Aggiungo: diversamente da quanto si potrebbe pensare, il problema non è solo con il far est ma anche con far west…

Ci sarebbe da chiedersi se tanti che a parole si dichiarano amici del pianeta e delle giuste condizioni di lavoro (ché anche questa è sostenibilità), quando acquistano badano solo al prezzo e mai si domandano come mai è così basso, ma è inutile. Già conosciamo la risposta.

Comunque, il pericolo che passi una normativa annacquata è concreto, tanto da impensierire una azienda come la Vaude che da anni persegue una politica di sostenibilità nella produzione, motivo per cui io ho le loro borse e non altre. Perché, come detto, io ci credo.

Vi copio qui il loro comunicato.

VAUDE accoglie con favore la prevista due diligence obbligatoria per le aziende nell’Unione europea. “Ci impegniamo per standard ambiziosi, ad azione rapida e vincolanti per una maggiore sostenibilità a livello dell’UE per il maggior numero possibile di aziende”, afferma Antje von Dewitz, amministratore delegato di VAUDE. Il 1° giugno 2023, il parlamento dell’UE dovrebbe adottare l’EU Supply Chain Act, noto come Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDD). “Questa è una decisione importante che mi sta molto a cuore. L’EU Supply Chain Act può diventare un vero punto di svolta perché ora tiene conto dei fattori ecologici e mira a rendere più aziende responsabili rispetto all’attuale legge tedesca. Vedo una grande opportunità, soprattutto, affinché più attori intraprendano azioni congiunte e promuovano miglioramenti reali nelle catene di approvvigionamento”, afferma Antje von Dewitz. Pertanto, VAUDE fa appello ai membri del parlamento dell’UE affinché votino a favore del progetto di legge e non consentano che venga annacquato.

Da anni VAUDE sostiene pubblicamente la legislazione sulla catena di approvvigionamento e promuove l’assunzione di responsabilità nelle catene di approvvigionamento globali. La mancanza di disposizioni di legge per standard minimi sociali ed ecologici non solo sostiene lo sfruttamento delle persone e della natura; crea anche svantaggi competitivi per aziende come VAUDE che da anni si battono volontariamente per condizioni di produzione eque e rispettose dell’ambiente in tutto il mondo.

“Per noi è ovvio che le aziende sono pienamente responsabili dell’impatto delle loro attività economiche”, spiega Antje von Dewitz. Pertanto, VAUDE sta investendo nello sviluppo e nella produzione di prodotti rispettosi dell’ambiente, utilizzando materiali a basso consumo di risorse, fornendo formazione sulla gestione ambientale nella catena di approvvigionamento, calcolando il suo bilancio climatico e utilizzando energia rispettosa dell’ambiente, ad esempio. Il marchio outdoor va volontariamente ben oltre i requisiti legali. “Tuttavia, questo significa anche che il nostro impegno comporta costi e svantaggi maggiori rispetto alla concorrenza. Requisiti legali più severi e incentivi governativi efficaci per la protezione del clima aziendale e dell’ambiente possono garantire una maggiore equità”, spiega Antje von Dewitz.

Nonostante i costi più elevati, VAUDE si impegna da tempo a standard sociali e ambientali più elevati nella catena di fornitura. “Stiamo dimostrando che è possibile assumersi responsabilità e avere successo economico allo stesso tempo”, afferma Antje von Dewitz.

Lavorare insieme per realizzare il cambiamento

Stabilendo standard vincolanti per tutte le aziende, le leggi sulla catena di fornitura offrono opportunità significative, soprattutto, per affrontare insieme sfide globali come il cambiamento climatico, il consumo di risorse e altro, e per trovare soluzioni sostenibili. “Se ci uniamo tutti, possiamo ottenere molto e condividere i costi, gli sforzi e i rischi. Siamo stati a lungo coinvolti in vari comitati insieme ad altri marchi e abbiamo visto che questo è un modo efficace per promuovere soluzioni e innovazioni che alla fine avvantaggiano le aziende stesse!” riferisce Antje von Dewitz. Ad esempio, VAUDE collabora con altri nove marchi outdoor dal 2021 nel progetto di decarbonizzazione della catena di approvvigionamento (SCDP) dell’European Outdoor Group (EOG) per ridurre le emissioni di gas serra nella catena di approvvigionamento e aumentare l’uso di energia rinnovabile. Nel progetto pilota Environmental Stewardship, VAUDE ha fornito formazione sulla gestione ambientale a una serie di fornitori di materiali nella gestione ambientale, con conseguenti risparmi energetici significativi nella produzione.

La responsabilità civile rafforza l’attuazione

La legge sulla catena di approvvigionamento dell’UE prevede il controllo normativo, comprese sanzioni pecuniarie e responsabilità civile. Ciò significa che le aziende devono essere ritenute responsabili se non adempiono ai propri obblighi di dovuta diligenza, con conseguenti violazioni dei diritti umani o danni all’ambiente. VAUDE sostiene la responsabilità civile, non per punire le aziende, ma per stabilire strategicamente la responsabilità aziendale al più alto livello. “In questo modo, creiamo le condizioni per integrare la sostenibilità al più alto livello nelle aziende e farne una competenza di core business”, sottolinea Antje von Dewitz.

L’impatto è più importante delle dimensioni dell’azienda

VAUDE sostiene l’ambito delineato nella bozza della Commissione UE che richiede che a partire dal 2026 le grandi aziende (almeno 500 dipendenti e un fatturato minimo di 150 milioni di euro) si conformino e a partire dal 2028, le aziende dei settori a rischio con almeno 250 dipendenti e fatturato minimo di 40 milioni di euro. Per cui, dal punto di vista di VAUDE, il potenziale di rischio di un’azienda sarebbe il parametro più significativo delle sue dimensioni: anche aziende molto piccole possono avere impatti significativi su gruppi vulnerabili o aree naturali sensibili come le zone umide.

La protezione del clima è un dovere di cura

La Commissione UE stabilisce che le aziende devono allineare i propri modelli di business e strategie aziendali con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 °C in conformità con l’accordo sul clima di Parigi. VAUDE lo accoglie espressamente e chiede inoltre che le aziende nei settori ad alto rischio, indipendentemente dalle loro dimensioni, integrino obiettivi climatici basati sulla scienza nelle loro strategie. Oltre alla protezione del clima, richiede anche l’inclusione della biodiversità e della protezione dell’acqua potabile tra le responsabilità di due diligence aziendale.

Unire le forze per un’Europa forte

“In VAUDE, vorremmo che tutte le forze in Europa unissero le risorse e adottassero un efficace EU Supply Chain Act. Chiediamo alle associazioni industriali di tutti i settori di contribuire in modo proattivo, costruttivo e creativo a questo sforzo. Il nostro obiettivo comune deve essere per l’Europa aziende capaci di contribuire in modo misurabile al rispetto dei diritti umani e alla protezione delle nostre risorse naturali. Si tratta di un importante contributo alla futura sostenibilità e competitività dell’economia europea”, si appella Antje von Dewitz.

I maligni potrebbero pensare a un ingiustificato allarmismo, i cinici a una preoccupazione di perdere quote di mercato, i disincantati a semplice green washing.

Io che non appartengo a nessuna delle tre categorie condivido la dichiarazione di Vaude, altrimenti non l’avrei pubblicata.

Credo che ormai ci sia spinti troppo in là, che il problema del repentino cambiamento climatico non sia risolvibile solo pensando alla mobilità ma debba investire ogni ambito della vita, dai comportamenti del settore industriale ai nostri gesti quotidiani.

Credo che sostenibilità non sia solo energia pulita e mobilità dolce ma anzitutto qualità della vita: che parte da condizioni di lavoro eque, giuste, nella remunerazione come nei diritti come nella sicurezza.

Il nostro attuale modello di sviluppo sta mostrando tutti gli errori del passato, le incongruenze del presente, avvisa sul disastro del futuro.

Ho affrontato molte volte questi temi negli ultimi mesi, anche a costo di una certa impopolarità. Ma non importa, non sono qui a raccattare like come un ministro qualunque: credo, ancora una volta uso questo verbo, che chiunque di noi ha la responsabilità coi propri comportamenti di cambiare l’attuale situazione, ma anche che chi ha un minimo seguito, sia capace di farsi ascoltare, debba con tutte le sue forze darsi da fare perché vi sia sempre attenzione. Pure se significa perdere lettori. 

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Franco</cite>

    Il like ė pienamente meritato ! Bici o non bici, dobbiamo con ogni mezzo aumentate la cultura in materia di sostenibilità che, come hai ben spiegato, non è solo ambientale

Commenta anche tu!