L’armonia
Una bicicletta deve essere bella da pedalare
e bella quando è ferma.
Scrivere richiede tante diverse capacità, molta dedizione e il risultato non è garantito; però ogni tanto spunta una frase particolarmente riuscita senza sforzo. In realtà chi scrive sa che l’impegno c’è stato, ma precedente, nel tanto continuo lavoro. In quel momento però finalmente emerge, naturale, d’istinto; sfugge via dalle dita ai tasti, compare sullo schermo, la leggi e ti compiaci. Piccole soddisfazioni di noi pennivendoli.
Una delle parti che più mi piace del libro “La bici perfetta” è quella poi scelta (dall’editore) per la sinossi; perché racchiude in poche parole la mia visione delle bicicletta.
La citazione in apertura di questo articolo è mia, credo condivisibile per i più. Tutti siamo d’accordo che una bici bella è meglio, ci mancherebbe: nessuno di noi è d’accordo sull’idea di bellezza.
Io mi incanto osservando un Caravaggio, quando vedo un Picasso passo oltre senza un secondo sguardo. Un altro snobba Caravaggio e si commuove con Picasso. Succede, è nell’ordine naturale delle cose e non mi scandalizzo; né sostengo che se non ti piace Caravaggio sei uno che di arte capisce nulla. E poi l’arte si gusta, non si analizza.
Volando più basso, alla fine questo è un blog di biciclettine, è normale che una bici che io trovo bellissima ad altri dica nulla e viceversa.
Però, quale sarà il risultato finale, per arrivare a una bella bici non basta acquistare i componenti più affascinanti, ci vuole altro: l’armonia.
Una bici è una bella bici quando è armoniosa.
Che significa? Significa che nessun componente o accessorio deve stagliare rispetto ad altri, l’occhio non deve essere catturato solo da quello ma lo sguardo posarsi sempre sull’insieme. Poi con calma ognuno scoprirà i tanti piccoli dettagli preziosi.
Questo vale ovviamente per biciclette più o meno accessoriate; diverso se il progetto è di una bici minimale, ruote, telaio a tenerle insieme, sella e pedali. Qui utilizzare un componente dal forte impatto estetico, qualcosa intorno cui far ruotare tutta la personalità della bici, ci può stare. E in fin dei conti l’equilibrio lo raggiungiamo lo stesso, nel contrasto tra un componente fascinoso e capace di catturare subito l’attenzione e il resto della bici a fare da supporto.
Se però la bici è destinata a ricevere accessori e ninnoli allora è necessario muoversi con attenzione sul crinale tra il buon gusto e la pacchianeria.
Quando parte qualche progetto qui in microfficina mai impongo le mie scelte; cerco di capire insieme al ciclista cosa vorrebbe ottenere garantendo il mio aiuto, proponendo un ventaglio di soluzioni ma lasciando al proprietario la decisione finale, anche se non è quella che avrei preso io. Tranne il caso di marcata impossibilità tecnica, non intervengo (o quasi…) a orientare alcuna opzione. E se alla fine ne vien fuori una bici come non avrei fatto o voluto conta nulla, perché non ci dovrò pedalare io. Importa solo che il suo compagno si trovi bene e sia felice.
Le uniche bici quindi dove ho “carta bianca” sono le mie, e sarebbe bizzarro il contrario.
Guardiamo Elessar: la bici si lascia ammirare nell’insieme (si, ammirare, perché per me è bellissima anche se a qualcuno può non piacere) senza che lo sguardo mai venga catturato da un particolare rispetto ad un altro.
Ogni singolo pezzo che la compone è bello di suo, è vero; dalle sinuose leve Campagnolo ai luccicanti portapacchi, dai mozzi al trittico, dai parafanghi alla guarnitura e così via.
Ma il risultato non è la semplice somma delle singole bellezze: è l’insieme armonioso.
Dove è il trucco, se trucco c’è? Nella attenta scelta, nella capacità di visualizzare la bici finita quando è ancora tutto solo su carta e nella estrema cura del dettaglio.
Avrei potuto, per esempio, scegliere congiunzioni più elaborate, come quelle in stile Colnago Arabesque. Da vedere sono uno spettacolo, ma l’occhio ci sarebbe subito caduto sopra. Avrei potuto optare per leve freno Trp, quelle forate da abbinare a comandi bar-end tirati a lucido: ma ogni sguardo avrebbe perso l’insieme posandosi solo su di loro. Tante le scelte diverse che avrei potuto fare, senza sacrificare le prestazioni e magari alleggerendo anche la bici, oltre il portafoglio.
Ma non sarebbe stata più lei; ne sarebbe venuto fuori qualcosa di sbilanciato. Non la mia bici.
Bici che io vedevo già completa mentre ancora stavo lì a studiare misure e geometrie. E quando Taverna, l’artigiano telaista, mi inviò le foto del telaio, accompagnandole con un “…è venuto davvero bello!” io di quelle foto avrei potuto fare a meno perché sapevo esattamente quale sarebbe stato il risultato finale.
Scegliere i componenti è stato facile, l’unica difficoltà cercare i prezzi migliori. La bici era davanti a me, completa, non dovevo fare altro che alzare lo sguardo verso la parete vuota contro cui io solo vedevo la mia Elessar stagliarsi; e comporre la lista.
La cura del dettaglio mi ha fatto considerare pazzo da più di un ciclista capitato in quei mesi in microfficina. Dalla lucidatura a specchio delle brugole (a testa bombata, un macello trovarle) alle protezioni sulle guaine ottenute lavorando delle sottili strisce di cuoio di uguale tonalità di sella e nastro manubrio; anche la loro chiusura è stata ottenuta usando lo stesso nastro telato adoperato per fissare la nastratura alla piega; nastratura eseguita garantendo la perfetta simmetria dei fori a vista tra destra e sinistra. Particolare questo, per esempio, impossibile o quasi da notare ma che a livello inconscio rende tutta la piega gradevole alla vista senza che uno si renda nemmeno conto perché. E potrei continuare per pagine e pagine…
Anche questa è armonia, quando chi guarda apprezza ma senza piena consapevolezza del dettaglio proprio perché nulla risalta rispetto ad altro ad orientare sguardi e attenzioni.
Non c’è stato componente o accessorio, più o meno piccolo, più o meno visibile che non è stato curato, ottimizzato e reso al massimo delle sue capacità estetiche. Persino un particolare invisibile come uno spessore che si è reso necessario costruire per montare al meglio il parafango posteriore l’ho verniciato in tinta col telaio, rendendolo “invisibile”, un tutt’uno con la bici.
Quando mi fermo e qualche ciclista si avvicina per dare uno sguardo alla bici ognuno, sempre, arretra di qualche passo: per avere la visuale completa della bici.
Poi si avvicina e scorre i tanti dettagli, ogni occhiata una scoperta.
Nessuno ha mai puntato dritto a qualcosa e basta.
Ecco, questo per me significa armonia.
Certo, qualcosa cambierei, soprattutto da quando ho in microfficina (in custodia) la bella roba di Velo Orange; in mente ho più di una idea e so, perché riesco già a vedere la bici che sarà, che ne verrebbe fuori un bello spettacolo. Mi frenano solo i costi, non la fantasia.
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Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Ciao Antos, nessuna dote soprannaturale, solo esperienza nei montaggi e la passione per i dettagli spesso sconosciuti che però memorizzo “perché potrebbero tornare utili”.
Tanta curiosità, quella è indispensabile.
Poi montando varie bici, alla fine sai cosa serve e dove cercarlo.
Fabio
É la frase del libro (e del blog) che preferisco; una semplice verità. Semplice com’è una bici.
Più e più volte l’ho fatta mia discutendo (a vuoto) con i soliti fanatici di turno.
Millemila tecnologie e complicazioni più o meno costose ma alla fine ciò che conta è solo quello: l’armonia. É vero e ne sono fermamente convinto.
Quando guardo la mia nuova bici che (molto) piano piano prende forma sul cavalletto, penso: c’è armonia? Sembra disegnata da “una sola mano”? Oppure è solo un pasticcio di colori e forme? Manca poco ormai. Quando sarà completa staremo a vedere.
Per ora attendo con ansia gli ultimi componenti e già immagino che, quando avrò finito, avrò un po’ di nostalgia per i bei momenti passati con le brugole in mano.
Ma si può sempre ricominciare… 😉
Daniele
No Daniele, non ricominciare… 😛
Fabio
Ciao Fabio, nonostante i temi prettamente tecnici da te trattati sul blog mi vedano lettore passivo, poiché ne capisco quanto un matteo salvini qualsiasi di politica (ho imparato da poco cos’è una guarnitura), vorrei invece aggiungere alcune considerazioni in merito al tuo interessante articolo, nel quale hai disquisito sull’idea di bellezza, arrivando all’equazione, se ho ben compreso, che armonia è sinonimo di bellezza, o viceversa. Un concetto che mi trovo di condividere in parte. Certamente la proporzione, la simmetria, l’armonia dell’insieme, genera gradimento in chi osserva; un dipinto, un pezzo musicale, possono essere impeccabili dal punto di vista stilistico, tecnico, esecutivo, però non per questo necessariamente riuscire a coinvolgere o appassionare. Spesso la troppa armonia, la maniacale cura del dettaglio, potrebbe sfociare nella convenzionalità. Ci vuole secondo me la piccola imperfezione, il guizzo che spiazza lo spettatore, che rompe gli schemi e che non ti aspetti. Insomma, l’imperfezione intesa come complemento dell’armonia, che riesce a dare forza e, soprattutto, carattere alla bellezza. Un volto soltanto bello, come direbbero alcuni, “non buca il video”.
Non è certo armoniosa la voce Dylan o Neil Young, l’orologio di plastica al posto del rolex che spunta dal polsino dell’abito di cerimonia, le pennellate rabbiose di Van Gogh, il sorriso della Morante, però… Erano forse fuori luogo Alice o Vita Spericolata arrivate ultime nelle rispettive gare canore, o il -Salga a bordo cazzo!- intimato a Schettino? Per rimanere nello specifico, siamo proprio sicuri che un sellino rosso (tanto per dire) su un telaio bianco di una bici non possa conferirgli più carattere di uno in cuoio? La mia, naturalmente non è una critica all’ammirevole impegno e cura che uno ci mette nella realizzazione di un qualcosa (ci mancherebbe), ma come detto in precedenza, vuole essere soltanto un piccolo elogio all’imperfezione, all’accordo stonato di jazz, inteso come esaltazione della bellezza.
Tanto poi, alla fine, come hai tenuto a precisare e come dite voi a Nord (come vedi anche la posizione geografica è relativa), l’importante è che “ogni scarrafone sia bello a mamma soja”.
Ciao e complimenti per il tuo blog
Luigi,
Ciao Luigi, sono d’accordo.
Però non confondiamo la simmetria o la perfezione stilistica con l’armonia, altrimenti degeneriamo nel manierismo del XVII secolo.
Certo, entriamo nel campo delle valutazioni strettamente personali sul concetto di bellezza, e ovviamente ognuno di noi ha il suo.
Ma armonia non deve essere mancanza di carattere o personalità. La perfezione è fredda, asettica. Di maniera, appunto.
Torniamo coi piedi per terra, ché qui si parla di bici 🙂
E riportando alle bici il concetto, la mia (ex) Rose è semplicemente perfetta. Ma proprio qui sul blog lamentai questa perfezione, rifacendomi, con tono leggero più consono al mio livello, al neo di Cindy Crawford: una perfetta imperfezione. E con questo pongo una pietra tombale a ogni mia velleità intellettuale…
Elessar gioca la sua carta sulla discrasia tra un telaio costruito con metodi antichi, che sfoggia le sue luccicanti congiunzione come usava una volta; e le sue forme classiche.
Ma poi ti spiazza con la moderna tecnologia della guarnitura o dei comandi.
Si ispira al ciclismo di un tempo, non scimmiotta finto vintage come è moda adesso.
Ecco, lì c’è il mio neo di bellezza. Non potendo giocare con quello della Crawford, mi accontento…
Fabio
Questa sera – pedalando verso casa con la mia ultima creatura urbana “tanti nei e poco Cindy” – riflettevo sull’armonia e su come, scartata la possibilità che coincida con la perfezione, sia invece declinabile in infinite personali interpretazioni. Leggere un velocipede – in senso visuale – non è comunque prerogativa di tutti indistintamente, immaginarla prima ancora di realizzarla ancora meno. Un abito può essere perfetto nel suo insieme con anche quel giusto difetto che ne enfatizza l’eleganza e l’esclusività: poi ti metti un banale paio di jeans e ti senti meglio. L’armonia è un fatto personale.
Oibò Claudio, a citare Goethe (anche se ormai è diventata frase da baci perugina, ma oggi è san valentino, pare…) la bellezza è negli occhi di chi guarda.
Forse persino quella zucca a pedali con cui vai in giro a te sembra bella 😛
Non so invece se la capacità di “vedere” una bici quando è ancora sulla carta sia qualcosa che hai e basta oppure è semplicemente frutto di esperienza.
Propendo, almeno nel mio caso, per la seconda ipotesi, bici bruttine nel fare esperimenti mi sono venute fuori. Le immaginavo meglio, davanti agli occhi la bici finita mi faceva un poco schifo. Il fatto non accada più da qualche anno (non sono però tutte belle, alcune che ho fatto continuano a non piacermi ma se il ciclista la vuole così, io così gliela faccio) significa che ho semplicemente accumulato esperienza, non che ci vuole qualche potere nascosto.
Forse alla fine è un misto delle due cose, perché comunque quando mi sottopongono la lista, oltre la compatibilità tecnica di solito un “sarà bella” oppure “sarà una schifezza” mi viene da commentare, effettivamente quella bici io la vedo già montata in ogni dettaglio.
Devo preoccuparmi oppure ormai i danni son fatti, lascio perdere?
Fabio
…se mai farò un blog sarà “La Zucca a Pedali” ™.
Non puoi, la definizione è mia.
Vabbè, te la cedo, và…
fabio