E per meritarla dobbiamo capirla.
Con il precedente articolo, quello sull’armonia, ho puntato a un concetto che mi è caro. Continuo, perché la frase citata era inserita in un contesto più ampio.
E continuo perché quest’articolo era in memoria come bozza, ma aveva scelto di non pubblicarlo. Però mi avete detto che anche le chiacchiere vi fanno piacere, quindi adesso sapete che potete incolpare solo voi…
Mi cito: “Anni di alchimie meccaniche mi hanno insegnato due cose: la prima è che la bici ideale non esiste, la seconda è che la bici perfetta esiste.
Non esiste la bici ideale per tutti, esiste la bici perfetta per ogni ciclista, e io ho trovato la mia. Che a un altro non piacerà, la troverà pesante, leggera, poco sportiva, troppo sportiva, comoda, scomoda, tutto e il suo contrario, perché ogni ciclista è una storia a sé. Brutta, quello no, nessuno l’ha mai detto della mia; bella invece sì, e in tanti. L’ho battezzata Elessar, in onore di uno dei miei scrittori preferiti.
È nata dal mio cuore e dalla mia passione per la meccanica. Ho fatto tesoro dei consigli del telaista, che ha creato l’ossatura intorno a cui ho assemblato ogni singolo pezzo, con le mie mani, dopo scelte meditate e acquisti di impulso, perché d’accordo la tecnica ma… diavolo se sono belli questi freni!
È una bici su misura, e non vuol dire che il solo telaio è su misura: è su misura per me, per come io pedalo, intendo la bici, amo la bici.
Perché la bicicletta non è un oggetto o, peggio, un mezzo di trasporto. Non puoi badare soltanto alla funzionalità, come fosse un frigorifero. Tu le dai il cuore, il fiato e i tuoi muscoli per farla muovere, lei ti restituisce la tua anima.
Una bicicletta deve essere bella da pedalare e bella quando è ferma, è tua non perché la possiedi (ché una bici si compra, ma non si possiede…) ma perché è lei che ti ha scelto. Una bicicletta la dobbiamo anzitutto meritare.
E per meritarla dobbiamo capirla.”
Più che la semplice frase sulla bellezza della bicicletta il mio riferimento nello scorso articolo, quando ho parlato della (rara) occasione in cui scrivendo partoriamo qualcosa di leggibile, era all’intero brano citato. E i periodi finali riassumono il mio credo a pedali e il motivo che mi ha spinto a scrivere un libro. Anzi, ad accettare di scrivere un libro sulla bici.
Perché non avevo un lavoro pronto e poi cercato un editore; è avvenuto l’esatto contrario, con l’editore che mi ha proposto la stesura di un libro, quale avrei voluto diciamo così. Senza vincoli o imposizioni, tranne non eccedere con le immagini per contenere i costi di produzione.
La domanda più difficile in sede di esame è la “domanda a piacere”. Sembra un aiuto, in realtà è cattiveria pura. Almeno per me.
Inizi a pensare a ogni possibile argomento, conscio che se sbagli ti sei giocato la tua carta migliore. Il mio esame di abilitazione alla professione iniziò proprio con una domanda a piacere nella materia in cui ero più forte. Il Presidente me la rivolse non per cattiveria ma perché voleva mettermi subito a mio agio e offrirmi la possibilità di ottenere una buona votazione, io che venivo da uno scritto con punteggio abbastanza alto.
Panico totale!
E siccome io la vita non ho mai saputo semplificarmela, scelsi un argomento unico e raro, qualcosa che prima di allora era stato affrontato solo una volta. Apprezzai il gesto del Presidente, lo ringraziai; ma volevo anche dimostrare che non avevo bisogno d’aiuto. La solita arroganza della gioventù.
Lo stesso panico mi ha colto dopo aver firmato il contratto con l’editore, dove si parlava di un libro sul ciclismo. Punto. Che libro? A piacere, o quasi…
Ho cercato il libro che non c’era e capito che non avrei mai potuto accontentare tutti: potevo solo appropriarmi di un terreno ancora inesplorato e sperare di scontentare meno lettori possibile.
Il mercato offriva già ottimi manuali molto tecnici, e comunque scartai subito l’idea: lo scoglio contro cui si infrangeva ogni velleità era l’alto numero di immagini necessario, incompatibile con l’unica limitazione che mi era stata data. E poi non volevo ridurmi alla sola e arida tecnica, che per quanto affascinante alla lunga annoia.
Così come il mercato offriva già manualetti pratici alla scelta della bici, seppure scritti con la convinzione che i lettori fossero tutti una masnada di incapaci.
Scelsi quindi di attingere alla mia esperienza con i tanti ciclisti che mi rivolgevano domande, cercando di condensare in un libro dalla lettura “maneggevole” quello che maggiormente interessava. Sfatare i luoghi comuni, combattere le troppe leggende metropolitane, donare consapevolezza: perché la conoscenza è sempre la nostra arma migliore.
La prima stesura era enciclopedica, il doppio delle pagine attuali e con una eccessiva impostazione tecnica. Me ne resi conto solo dopo averla completata.
Una semplice combinazione di tasti e tutte quelle parole sparirono dal mio computer. Con la scadenza per la consegna che si avvicinava decisi di riscrivere tutto.
Foglio bianco, mente sgombra dal lavoro precedente, mi venne d’istinto la parte che ho citato all’inizio. E pensai che era una ottima pietra angolare intorno cui far ruotare il libro.
Ma feci anche una altra cosa: presi un libro che consulto spesso e cercai ispirazione. Non un libro sul ciclismo, tutt’altro: “L’arte della guerra” del maestro Sun Tzu. Ingiustamente bollato come guerrafondaio; anche se proprio un pacifista non era, ma nemmeno uno che andava alla guerra a ogni occasione. Tutt’oggi quel manualetto è studiato in molti diversi campi, perché basta modificare l’ambiente alle circostanze e si vedrà che la sua strategia è ancora valida. E utile.
A cosa me è servita la lettura? A capire che la conoscenza è sempre il punto focale di ogni attività. E a chiamare intorno a me specialisti di ogni sorta per ricevere aiuto e consigli.
Scrissi in chiusura, nei ringraziamenti, che la stesura del libro ha significato per me un bellissimo viaggio, dove ho incontrato persone che senza chiedere nulla in cambio mi hanno aiutato in molti modi. Ma è stato anche un viaggio solitario, dove per la prima volta mi sono trovato a mettere su carta quello che penso ma mai analizzato. Perché è vero ci sono parti tecniche, non volevo rinunciarvi del tutto seppure le ho abbondantemente sfrondate. Ma chi lo ha letto ha trovato qualcosa in più della sola tecnica: ha trovato una profonda passione per questo strumento di felicità che con due giri di pedali spazza via gli affanni: quelli mentali, poi arriva la salita e pure l’affanno…
E ha trovato un approccio diverso alla conoscenza, ha compreso una bici.
Mi sono messo nei panni dei tanti che vagano per la rete cercando informazioni che non trovano; o se le trovano le capisce nessuno (perché, scusate, sono davvero scritte coi piedi) oppure rimbalzano da un sito all’altro leggendo all’infinito la stessa cosa che ha prolificato in un “copia e incolla” perpetuo; o cadono inconsapevoli vittime della moltitudine di leggende diffuse a pioggia da persone che si inorgogliscono a vedersi trattati come depositari di verità (che verità non sono) prelevate a casaccio sempre nel mare magnum della rete.
Allora ecco che una bici dobbiamo meritarla, e per meritarla dobbiamo capirla.
Non significa conoscere a memoria tutti gli standard dei vari componenti o qualunque cosa offre il mercato.
Significa sapere come è fatto un telaio, cosa influenza il suo comportamento su strada, come fare a metterci in sella in modo decente ma senza inutili estremismi perché, a noi pedalatori della domenica, il millimetro di differenza, con gioco di parole, non porta differenza.
Significa sapere come è fatta una trasmissione, i freni, le ruote e così via citando tutte le parti di una bici.
Significa sapere perché con sole due ruote in linea non cadiamo o avere una buona base di partenza per scegliere una sella.
Significa soprattutto che nel momento esatto in cui abbiamo piena comprensione di cosa è realmente una bici, apparentemente semplice in realtà complessa, allora la meritiamo.
E la troviamo, finalmente.
Ps Prometto la prossima pubblicazione sarà di tecnica, ho in sospeso i freni idraulici. E profitterò dell’arrivo della Surly KM Ops che deve subire alcune modifiche per mostrare procedure che forse interessano, come per esempio nastrare correttamente una piega o installare i registri a guaina.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
A rischio di alimentare dubbi sulla mia sanità mentale, ti confido che con la bici (e con altri mezzi che ho, o ho avuto, e curato con affetto) ci parlo. Beh, non discorsi lunghi, tanto ci capiamo al volo. E lei, a suo modo, risponde. 😉
A rischio di confermare certezze sulla mia (in)sanità mentale, io con le bici ci parlo sempre e loro rispondono…
Benvenuto nel club 🙂
Fabio