Il problema è culturale

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Anzi, sociale; ché la cultura latita.

Il mio breve articolo di ieri in cui ho ripreso la notizia della criminale aggressione a un ciclista solo perché ciclista ha, giustamente, destato indignazione e interesse. Sono contento che poco dopo anche altre testate abbiano, ognuna a modo suo e riportando casi diversi, denunciato comportamenti che non sono più semplici incidenti stradali: siamo dinanzi ad aggressioni criminali, volontarie.

Aggressioni che nascono nel clima di profondo odio che investe i ciclisti e che è esploso negli ultimi mesi.

Due i fattori che hanno trasformato questo italico fastidio verso i pedalatori in odio viscerale: il boom delle bici con molti più ciclisti in strada e le misure prese da molte amministrazioni comunali per favorirne l’uso.

Ed è inutile girarci intorno, gli odiatori hanno una precisa e chiara appartenenza politica: sono sempre simpatizzanti della destra becera e populista, persone che si struggono (sui social) per un cagnolino abbandonato e gioiscono (sui social) per l’annegamento di donne e bambini. E ignorano l’esistenza della lettera H…

Politicizzare la bici è vizio solo nostrano, ché tutto trasformiamo in schieramenti, fazioni, tifoserie.

Siamo un Paese dalla giovane unità, per secoli terra di conquista perché divisa in comuni e contrade, gli uni e le une contro tutti.

Ma se ci avviciniamo nel tempo e nella storia, possiamo scoprire che il regime fascista nella sua massima espressione detestava la bici, un mezzo di trasporto non in linea con quell’idea di modernità e grandezza che cercava di propugnare.

Però la bici era amata dal popolo, un’Italia povera, contadina, semplice. Che in bici si spostava per andare a spezzarsi la schiena nei campi, sfruttata senza diritti e vedeva nei corridori in bicicletta, figli della stessa terra, gli idoli del riscatto.   

L’esercito di occupazione nazista vietò l’uso della bici, seppure per motivi pratici più che ideologici. Era il mezzo preferito dalle staffette partigiane.

A distanza di decenni quell’astio verso la bici, vista come mezzo di trasporto per poveri disgraziati, è rimasto; via via sostituito dalla concezione che sia qualcosa per sfaccendati, perdigiorno, nullafacenti, parassiti.

Dalla storia alla cronaca, i quotidiani son pieni di dichiarazioni rese da amministratori o (aspiranti) politici che si schierano contro le ciclabili, usate, a loro dire, solo da persone che nulla hanno da fare tutta la giornata, obbligando così a perder tempo nel traffico chi lavora. Ovviamente, lavora in e con l’auto.

Ed è cronaca di questi ultimi giorni il fiorire di proclami nell’attuale campagna elettorale, dove praticamente senza eccezioni tutti i rappresentanti del centrodestra hanno nel loro programma l’abolizione delle ciclabili, soprattutto quelle nate durante l’emergenza sanitaria per trovare soluzione al problema del trasporto pubblico, inefficiente e poco sfruttato per timore di pericolosi affollamenti.

Che molti di questi percorsi ciclabili siano malfatti è qualcosa che denuncio da tempo: ma non per chiederne la cancellazione tout court, bensì per pretendere siano fatti bene.

Così non vorrei la cancellazione della parodia di ciclabile della mia città, sono anni che spero sia riprogettata in meglio.

Eppure, malgrado l’astio, l’odio, della destra populista contro le bici abbia radici storiche, da solo non può bastare a comprendere il fenomeno.

Viviamo nell’era dei sondaggi, dei like, dei follower, dell’oggi senza progetto del domani.

Se tutti i candidati di una determinata area politica dichiarano guerra alla bici, accusando i ciclisti di rallentare chi lavora, togliere parcheggi alle auto, causare traffico e ingorghi per lo spazio da loro occupato (!) è perché sanno c’è ampia fetta della popolazione che seppur non schierata ideologicamente accoglie con favore questi temi.

Tradotto: sparare sul ciclista porta voti. Anche tra chi si proclama di sinistra.

Tanto da indurre a imbarazzanti dichiarazioni: “…inseguendo un sogno malato [la mobilità ciclistica, n.d.r], sono stati eliminati centinaia di posti auto per far posto, sul lato destro della strada, alla pista. Ma non basta: subito dopo è stata installata una cervellotica, quanto inutile, pista per i pedoni. Per poi finire in bellezza creando dei parcheggi (pochi!) per le auto. Il risultato di tutto questo è quello di veder parcheggiate le auto proprio nel bel mezzo della carreggiata“.

Imbarazzante invece per me ascoltare ciclisti magnificare tali esponenti politici; e se ribatto che questi i ciclisti li odiano, mi rispondono che è giusto, quelli che vanno in giro in città non sono ciclisti, mica come loro che si sparano 100 km a uscita sulla costosa bici sportiva o da fuoristrada. No, quelli che pedalano per andare al lavoro sono solo sfigati.

E questo dimostra ancora una volta che usare una bici non ci rende automaticamente persone migliori, forse solo più magre.

Traduco anche questa: tra le nostre file ne abbiamo di coglioni.

Potrei lanciarmi nel solito discorso sulla difesa del Pianeta, di quanto spostarsi in bici (e tanti altri grandi e piccoli comportamenti) aiuti la salute di questa palluccella che maltrattiamo e sfruttiamo come ne fossimo padroni assoluti.

Non lo farò; seguirò la stessa impostazione che diedi anni fa, quando occupandomi di molte inchieste sulla sicurezza stradale decisi di cambiare punto di vista. Cinicamente puntai sul vantaggio economico. Su quanto denaro perdeva uno Stato, e quindi noi che lo finanziamo con le tasse, per ogni incidente, decesso, menomazione permanente.

Stavolta con meno cinismo riporterò i guadagni, veri o previsti, lì dove si scelga la mobilità in bici.

Molto già raccontai in altri articoli, per esempio “La bici fa correre l’economia“; ma ce ne sono tanti altri, con micro e macro dati. 

No, mi interessa citare alcuni studi o interventi perché in comune hanno l’appartenenza politica di chi li ha voluti: esponenti dei partiti conservatori. O addirittura di quella che all’epoca l’Europa additò come destra reazionaria.

Ricordate l’austriaco Jorge Haider? Costretto a dimettersi da governatore della Carinzia perché elogiò la politica economica di Hitler? Insomma, non certo un radical chic progressista, giusto?

Bene, fu lui che nel 1990, da Governatore della Carinzia ancora in carica, diede impulso alla mobilità ciclistica, giudicando le ciclabili fondamentali per la sua sicurezza.

Mi avvicino nel tempo, altro politico conservatore: il britannico Boris Johnson, che nel 2020 ha annunciato un programma di spesa per ben due miliardi di sterline (circa 2,35 miliardi di euro al cambio attuale) per la creazione di infrastrutture ciclabili.

Riprendendo una visione che lo vide apripista quando era sindaco di Londra, tanto da guadagnarsi gli elogi anche di molti laburisti che, con inglese pragmatismo, dichiararono come l’importante fosse la sicurezza dei ciclisti, non chi la promuovesse.

Amore per la bici? Beh, sia Haider che Johnson non hanno fatto mancare le pose in bici a favore di camera, d’accordo.

Ma non è certo per questo che si sono schierati.

Le attività commerciali in zone ciclabili, chiuse al traffico dei veicoli a motore, fatturano quasi il 20% in più di chi ha il proprio negozio su strada aperta a tutti. Perché? Perché alla gente piace passeggiare per negozi con calma, senza timore di essere investita e senza (o con meno) smog.

Lo capirono persino qui, all’ombra del Vesuvio, quando il sindaco dell’epoca chiuse due note strade della shopping. Levata di scudi, proteste e poi dopo sei mesi, al momento di fare i conti in cassa, tutti i commercianti felici. Adesso guai a dire di riaprire quelle due strade alle auto.

Torno in terra inglese, la perfida Albione a questo punto per restare in tema storico, con un altro esponente conservatore: David Cameron.

Che commissionò uno studio per calcolare i benefici economici riducendo l’uso delle auto private con contestuale aumento da 2 al 25% degli spostamenti in bici: 42 miliardi di sterline di guadagno, diretto e indiretto, per la collettività.

In Euro? Tanti soldi…

Altro esempio di esponente conservatore contrario alle auto e favorevole alle bici? Mumble mumble…ah si, Erling Lae che 20 anni fa da sindaco di Oslo iniziò a pedonalizzare il centro (ora lo è in pratica tutta la città), ricevendo in cambio non poche minacce dai commercianti che lo avevano votato. E che dopo pochi mesi lo ringraziarono vedendo l’aumento di fatturato. E pochi anni fa la quasi totalità di quegli stessi commercianti si è dichiarata assolutamente contraria alla riapertura alle auto.

Non ne sono sicuro, ma credo che Lae abbia anche la paternità dell’invenzione delle Zone 30, ma dovrei verificare. Forse fu il primo a introdurle, passato troppo tempo…

L’emergenza Covid ha dato ulteriore impulso. Non solo l’Italia si è trovata ad affrontare il problema del trasporto pubblico insufficiente a garantire la sicurezza.

L’aumento della richiesta di mobilità privata ha portato tanti a pedalare ma anche troppi a usare l’auto.

E i sindaci di molte grandi città europee, conservatori o socialisti che siano, si stanno muovendo per disincentivare l’auto e promuovere la bici.

Perché hanno capito che la bici in città fa girare l’economia. 

Senza pregiudizi ideologici, col coraggio di assumere posizioni all’inizio impopolari verso i propri elettori ma con la capacità di guardare al domani.

E alla fine la differenza con questi nostri aspiranti amministratori è proprio qui: abbracciare visioni miopi, fomentare odio e rabbia per guadagnare una manciata di voti.

Quanta pochezza.

Ps; prima che qualcuno mi attacchi perché (oltre il tutto il resto) nell’immagine di copertina nessuno indossa la mascherina, quella è foto di archivio.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Emanuele M.</cite>

    Beh, che dire, hai centrato pienamente. Siamo né più né meno lo stesso popolo che duemila anni fa veniva tenuto a bada con “panem et circense” (pane e giochi), che segue la massa anche senza capirne o condividerne ideali e volontà, che si indigna per la violazione delle libertà per un vaccino, ma che non dice nulla se, indirettamente, lo obbligano per i più svariati motivi, a dipendere da mezzi di trasporto costosi sotto tutti i punti di vista. La maggior parte delle persone agisce seguendo comportamenti ripetuti senza valutare se siano effettivamente i più economici. Vedono una cosa e, ahimè, non riescono a valutare se sia veramente quello di cui hanno bisogno e se sia veramente il meglio. Porto un esempio personale. Nel 2015 a causa di un guasto alla macchina, ho iniziato lo spostamento casa lavoro in bici. Non tutti i giorni, ma il più possibile. Beh riflettendoci i vantaggi sono molti di più di quelli che comunemente possiamo pensare. Il primo è di tempo. Abito a 13 km dal posto di lavoro, faccio i turni, ma comunque, in periodo di scuola, quindi almeno 9 mesi l’anno, da cancello di casa a cancello dell’ufficio in bici ci metto meno tempo, soprattutto se considero anche il tempo che perdo, spesso, a cercare un parcheggio. E ho la fortuna di avere l’auto in cortile e che dove lavoro i parcheggi sono gratuiti. Altrimenti altri costi sia di tempo che economici. Ok, ho la fortuna di poter ricoverare la bici in un posto sicuro e di potermi cambiare, ma se questo comportamento prendesse piede le attenzioni in questa direzione crescerebbero. Aggiungo anche che non ho problemi di danni subiti durante la sosta del veicolo, cosa che prima era quasi ordinaria. Dal graffio alla botta su paraurti o portiere, dalle più piccole a danni anche importanti quasi sempre poi impossibili da attribuire a qualcuno, visto che il comportamento tipico è di andarsene…. In questi 5 anni sto facendo molto più caso ai cambiamenti delle nostre città. Vivo in una delle zone più congestionato ed inquinate d’Europa, ma nonostante i tempi di spostamento aumentino, in molti, ancora, preferiscono aumentare il tempo “regalato” nel traffico piuttosto che spostarsi verso soluzioni alternative. E non diciamo che la bici rallenta il traffico. Molto spesso mi trovo a superare colonne intere di auto ferme che a volte mi raggiungono solo dopo diversi km, altre volte non mi raggiungono proprio. Beh io ci metto dai 25 ai 32 minuti, dipende dal livello di allenamento e da quanto voglio “spingere” (eh si andando al lavoro in bici a volte mi diverto pure), in auto non impiego mai meno di 35-45 minuti. La differenza sono minuti che tolgo a me o ai miei cari. È vero sono pochi, ma sommati insieme e soprattutto sommati agli altri vantaggi, costituiscono un tesoretto. Se solo le amministrazioni pubbliche capissero i vantaggi che ci sono dietro a questo sistema di mobilità…..

  • <cite class="fn">Ciclista Sdraiato</cite>

    Mi scuso in anticipo se il mio messaggio non dovesse essere molto chiaro, ma a quest’ora le mie sinapsi stanno iniziando a richiedere a gran voce il sonno ristoratore; però dopo aver letto ho sentito l’urgenza di esprimere il mio pensiero e non potevo aspettare. Conoscendomi, tra qualche ora non avrei commentato più

    Nel nostro Paese la motorizzazione di massa è stata ed è tuttora incentivata all’inverosimile (incentivi, ricchi premi e cotillon). Non mi stupirei affatto se chi politicizza in questo modo, molto becero e ignorante, un semplice mezzo di trasporto, magari ritenendo pure che basti rinchiudere i ciclisti in qualche parchetto, ovviamente lontano dalle città per non intralciare la “gente per bene” e altrettanto ovviamente raggiungibile comodamente con qualche SUV, sul quale giace la bici top di gamma, per rendere tutti felici e contenti (ciclisti “miopi” compresi), abbia ricevuto qualche incentivo da chi le auto le deve vendere…
    Se si nota questi sono i messaggi veicolati da chi si occupa di pubblicizzare automobili

  • <cite class="fn">fabio</cite>

    Completamente concorde.
    Cultura, o abitudini sociali, indotte da chi con il sistema attuale ha grossi vantaggi.
    Il commerciante sa quanto guadagna non puó essere certo di quanto guadagnerá in una situazione diversa, ma soprattutto i politici/amministratori non hanno alcun interesse a cambiare la situazione che gli ha permesso di essere nel loro privilegiato posto.
    E “noi” siamo uguali agli altri. Gli amatori della BdC che dopo un’uscita formano il gruppone che va a 10orari che “cultura” hanno? E gli amanti della natura che amano visitare i boschi in MTB e poi li riempiono di bustine di gel/barrette?
    Altro che destra, per insegnare l’educazione sociale agli italiani ci vorebbe un “nazista” dietro ad ognuno, con un manganello pronto per ogni violazione (nazista=comportamento ferreo).
    Ma noi siamo italiani, amiamo la libertá… di fare ció che pensiamo giusto per noi, oggi, fregandocene della comunitá.

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