Il mio (personale) podio dei test

Tempo di lettura: 2 minuti

Ogni test è un racconto, ogni racconto è fatto di tante storie che si fondono; alcune sono qui, pubblicate, altre restano nella mia memoria.

E a volte nel cuore.

Perché alla fine sono solo un semplice appassionato, non un santone, non un guru e meno che mai un influencer.

Pochi, anche tra coloro che mi conoscono da anni e mi sono vicini, comprendono sino in fondo cosa faccio e perché.

C’è chi crede ne ricavi guadagni, chi è convinto sia un accumulatore seriale di componenti e bici, chi mi vede un fondamentalista.

Nulla di tutto questo.

Ho qualche conoscenza tecnica, riesco a usare le parole in modo tale da farmi quasi sempre comprendere, ho accumulato discreta esperienza in tanti anni, di tenere tutto questo per me non mi interessa.

Ho piacere a condividere, tutto qui.

E poi c’è un piacere più intimo, più personale: riuscire ad appassionare le giovani generazioni.

Purtroppo qui separa non solo l’anagrafe ma anche la mia incapacità di usare linguaggi e media a loro più consoni.

Però ogni tanto ci riesco.

Poche settimane fa mia figlia mi ha girato una foto della bici di un suo compagno di classe, venuto a scuola con quella.

Gliela ha mostrata dicendole: “L’ho restaurata seguendo il blog di tuo padre”.

Mia figlia era perplessa, ovviamente: conoscendomi, le risulta strano possa ispirare qualcuno.

Per me è stata una grande soddisfazione, da sola capace di ripagare il tanto lavoro che serve a tenere in vita questa pubblicazione fuori dagli schemi.

Se con gli articoli tecnici e con i test riesco a far appassionare anche un solo ciclista mi sta bene; se è pure delle nuove generazioni, ancora meglio.

Anche se i test sono un discorso per certi versi differente.

Qui più che intercettare le nuove leve, mi rivolgo ai ciclisti già “formati”.

Appassionati come me, che usano la bici senza dogmi e pregiudizi, la vivono quotidianamente senza averne fatto una ragione di vita.

Quando mi occupavo di altri test, sempre a due ruote ma con il motore in mezzo, non sono mai stato quello che faceva scoppiare il cronometro. Anzi, manco lo avviavano.

Ero quello che vagava per provinciali, usando una moto come l’avrebbe usata il normale motociclista, perché anche lì quello ero: una persona normale.

Con solo il vantaggio di aver ricevuto in dono una buona sensibilità, messa poi a frutto con studio ed esperienza.

Ogni singola recensione è per me importante, perché ognuna è stata vissuta; che sia l’accessorio da pochi spiccioli o la costosa bici fatta a mano, ogni volta mi sono impegnato. Proporzionalmente alle verifiche necessarie.

Verifiche che superano il puro dato tecnico: la maggior parte del lavoro è immedesimarmi nel potenziale ciclista che trarrebbe giovamento da quell’oggetto e capire se fa o meno al caso suo.

Spesso mi viene facile, non devo guardare troppo in là; a volte è complicato, troppo lontano dal mio modo di vivere la bici.

Dicono che i figli per un genitore sono tutti uguali; non lo so, io ho una sola figlia.

Però credo che una preferenza ci sia sempre, perché ci sono figli con maggiore affinità, con cui è più facile andare d’accordo.

I test sono tutti figli miei, voglio bene a ognuno, ho le mie preferenze.

Parto dal vincitore del mio personale podio: l’attacco manubrio ammortizzato Redshift Shockstop.

Scovai lo stem quando questa azienda statunitense era appena nata, in Europa sconosciuta, distribuzione del prodotto ancora da lì a venire.

Non avevano il 90mm, manco sapevano se lo avrebbero fatto; li indussi ad approntarne uno per me, spiegandogli che se avessi modificato il mio assetto in sella non sarei riuscito a svolgere bene il mio lavoro.

Li convinsi, lo Shockstop convinse me, credo non ci sia un solo ciclista che lo abbia usato rimanendone deluso.

Averlo scoperto, diciamo così, aver dato a molti la possibilità di godere un uso della bici prima improponibile è stata la mia soddisfazione.

Al secondo posto un test più recente, quello del gruppo Shimano GRX a 10v: proprio perché a 10v.

L’uscita della trasmissione GRX è stata una gran cosa per il mondo gravel, come dico sempre avessi avuto venti o trenta anni fa la disponibilità di questa roba quando le gravel le costruivo in casa ricavandole da telai da ciclocross o trekking, sarebbe stato fantastico.

Memore dei tanti esperimenti che conducevo all’epoca, arrivato il GRX non ho preso in considerazione né il di2 ne l’11v, tanto l’avrebbero trattato in molti, una recensione in più nulla avrebbe cambiato.

Spiazzando la comunicazione Shimano (ma non tanto, col tempo ha capito la mia filosofia…) ho chiesto per me la ignorata dai media versione più semplice.

E questo mi ha permesso di apprezzare le qualità di questa trasmissione ma soprattutto offrire ai ciclisti informazioni che nessun altro ha pubblicato. Colmando un vuoto.

Il terzo posto è un ex equo, con due bici ad occuparlo seppure per motivi diversi: la Trek Checkpoint e la Triban RC 520.

Della Checkpoint ho apprezzato la poliedricità, quel suo saper cambiare carattere in un attimo offrendoti un ciclismo a tutto tondo, senza rinunce.

Sono felice del suo test perché mi ha permesso di parlare di un modo di vivere la bici che a me piace.

Per la Triban RC 520 è diverso.

Al di là delle doti dinamiche, comunque di buon livello, c’è l’aver voluto il test di un marchio snobbato se non deriso dai tanti leoni da tastiera e averlo scritto e lavorato pensando sempre al suo pubblico di riferimento.

Un pubblico di riferimento che significa non solo per potenziale uso ma soprattutto per ipotetica preparazione tecnica.

Quindi va bene il test di come va la bici, ma il lavoro maggiore è stato farla comprendere e far comprendere il perché di certe cose a chi in bici non va da anni, non segue ogni pubblicazione o è alla sua prima bici.

Senza timore di smentita posso affermare che è il miglior test pubblicato su questa bici e uno dei migliori in assoluto per impostazione e scrittura.

Questo mio ipotetico podio dovrebbe avere molti più gradini, perché con centinaia di test sono tanti quelli in cima alla classifica.

Se però mi avessero obbligato al gioco della torre, beh, questi tre (quattro) di sicuro non sarebbero finiti di sotto.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Roberto Vezzola</cite>

    Grazie per il lavoro svolto, il tuo blog è fonte d’ispirazione e di nozioni tecniche non indifferenti, ho conosciuto questo luogo virtuale proprio grazie al test della RC520 ed ho letto avidamente ogni articolo pubblicato.
    Ora sempre grazie al tuo lavoro ed alla passione che metti nel descrivere minuziosamente ogni passaggio, ho capito che posso rimettere in strada la bicicletta che mi regalò mio padre circa trent’anni fa, di questo ti ringrazio moltissimo.
    Mi sto documentando sulle varie operazioni che dovrò svolgere e credo di riuscire nell’impresa. La mia è una vecchia signora, indicativamente degli anni ’80, ha un telaio in acciaio, la piega da strada e le leve del cambio sul tubo obliquo, nulla di valore per gli altri ma tanto per me.
    Spero di riportarla in strada il prima possibile, ma sono un maniaco dei dettagli e so che mi servirà il giusto tempo. Mi piacerebbe documentare le varie fasi del recupero, vedrò cosa riesco a fare. Grazie ancora e buona continuazione.
    Ti ringrazio per ciò che fai, per il tempo che hai dedicato e che dedichi al blog, al canale youtube ed al libro.
    Un saluto, Roberto

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Roberto, come già detto via mail, lavora sia sulla bici che sull’articolo (mi raccomando le foto, la parte più rognosa) che sistemiamo tutte e due.

      Fabio

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