Fuoristrada proibito, si muovono le associazioni di categoria

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Grande clamore per il divieto di guida in fuoristrada, per fortuna arrivano anche le buone notizie.

Il mio primo allarme non è stato un gridare “al lupo al lupo” ma ha evidenziato un reale problema.

Resto convinto sia un problema non voluto né cercato ma comunque concreto.

E infatti a distanza di poche ore se ne sono accorti via via tutti, sia della stampa di settore che generalista.

[Potete leggere un approfondimento tecnico a questo link]

Non mi consola averci visto giusto, mi consola però che stavolta sembra partita una decisa mobilitazione per “sterilizzare” le conseguenza pratiche di una norma scritta molto male.

Uno dirà: potevano pensarci prima.

E vabbé, è normale, ormai.

Comunque, senza tediarvi ché sull’argomento ho già scritto troppo, rilevo come le associazioni di categoria abbiano sollevato la questione del divieto in palese ritardo, a giochi fatti diciamo così.

Da un lato lo comprendo: non siamo al cospetto di una legge discussa in Parlamento, mancano quindi i lavori parlamentari. Ossia tutti quei documenti preparatori, relazioni, interventi in commissione eccetera che precedono una norma da discutere in Aula. 

Insomma, nessuno aveva indizi per scoprire prima cosa sarebbe successo poi.

Al momento attuale brancoliamo nel buio, io me ne sono accorto a pubblicazione in Gazzetta avvenuta e solo perché consulto la rassegna ogni volta, in automatico visto che lo devo fare per tenermi costantemente aggiornato per il mio lavoro.

In assenza di lavori parlamentari, che avrebbero permesso non solo di capire in anticipo ma soprattutto capire la ratio di questa norma, cioè perché è stata pensata e cosa vuole effettivamente tutelare, restiamo per ora nel campo delle ipotesi.

Quella più probabile è che non è stata pensata per colpire gli amanti del fuoristrada ma per fornire una classificazione univoca e generale a cui poi le Regioni dovranno fare riferimento nel creare una mappatura omogenea sul piano nazionale delle strade boschive e pastorali.

Una attività che servirà poi per il futuro piano di tutela idrogeologica e, sembra, diverse altre attività legate al PNNR. 

Se così fosse, c’era al Ministero una certa fretta.

Che però non aiuta; già in tempi normali vengono promulgate leggi scritte coi piedi, se uno corre pure ne salta fuori il guazzabuglio attuale.

Con troppa leggerezza (a essere buoni) si è introdotto un divieto molto generico, talmente vasto da comprendere tutto, senza aver chiare le conseguenze pratiche. Cosa sarebbe cioè successo nella vita di tutti i giorni.

Un aspetto a me sfuggito, preso com’ero dal divieto e basta, me lo ha fatto notare un collega: derogando alle norme del Codice della strada, che succede se uno ci cappotta col trattore?

Perché, ovviamente, il fatto che sulla quella strada ci fosse un divieto, che noi lì non dovevamo esserci, non autorizza a triturarci con la trebbiatrice.

Una volta in Aula di Tribunale, al momento di stabilire la dinamica che regole andranno applicate? Se non possiamo attingere al Codice della strada dovremo limitarci alla normale diligenza generica del codice civile? E il concorso di colpa come dovrà essere graduato? In termini più pratici, come stabilire la percentuale della nostra colpa per esserci trovati su una strada preclusa, percentuale che si riverbera nella quantificazione del danno da risarcire?

Questo è solo uno dei problemi che si potrebbero presentare nella vita quotidiana, perché possiamo discutere mesi sulla teoria di una norma ma poi c’è sempre da applicarla in concreto e lì son dolori.

Al momento in cui scrivo si sono mossi FMI, preoccupata per gli enduristi ed ANCMA, preoccupata per l’intero comparto delle due ruote, a motore e no. Dire che abbiano preso un abbaglio mi sembra ingeneroso.

Spero arriverà anche una presa di posizione della Federazione ciclistica, perché si parla di divieto di transito, ossia si è scelto un verbo che nella sua accezione tecnica significa divieto per qualunque veicolo. Anche la bici lo è, ha la sua definizione nel Codice della strada.

A meno che in un eccesso di faciloneria i tecnici del Ministero abbiano pensato che il “transito” riguarda solo i veicoli a motore, commettendo però un errore.

Non è un bizantinismo il mio, l’applicazione concreta di una norma passa anzitutto dalle parole usate, dai termini con cui la legge è scritta.

Purtroppo il suo essere un decreto ministeriale con forza di legge priva chiunque voglia provare a fare chiarezza di tutti quegli atti prodromici che avrebbero aiutato a capire dove la norma vuole andare a parare.

Non credo che questa sia una tempesta in un bicchier d’acqua, come detto da qualcuno.

E’ una tempesta che si profila all’orizzonte le cui reali conseguenze non sono chiare né prevedibili.

Per questo è necessario che tutte le associazioni di categoria interessate intervengano prima che si scateni. 

Mi aspetto a breve la solita nota ministeriale, come sempre avviene in questi casi dopo essersi accorti dell’errore, che getterà acqua sul fuoco.

Però anche se arriverà non potrà cancellare quella che è una legge dello Stato al momento in vigore, quindi è su questa che bisogna intervenire.

Far calmare le acque con una rassicurazione serve solo a procrastinare il problema che prima o poi arriverà.

L’ipotesi più probabile è far scemare l’attenzione con la solita nota che nessuno ha compreso lo spirito della norma, cambia nulla rispetto a prima (e in parte è vero ma solo perché mancano gli ulteriori passaggi fondamentali) agire modificando come necessario e chiuderla col solito “ok, visto che non c’è problema?”

Perché le ricadute a cascata possono essere drammatiche per interi comparti economici senza che vi sia un reale beneficio a compensare. Le Regioni sono state depotenziate da questo decreto nel senso che possono modificare solo in senso più restrittivo.

A questo punto possiamo solo attendere gli sviluppi. 

Buone pedalate.

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