E’ il momento della responsabilità

Tempo di lettura: < 1 minuti

Nessuno tra noi, non dico un mese fa ma cinque giorni fa, immaginava un tale rapido precipitare degli eventi.

In tanti ne abbiamo riso, scherzato, e tra questi mi ci metto pure io.

Non lo abbiamo fatto in malafede: semplicemente non eravamo preparati.

In questi ultimi giorni ho cercato di spiegare il perché e il per come dei recenti provvedimenti governativi, senza sparare a palle incatenate sulle inevitabili falle e incongruenze.

E’ una situazione straordinaria, nessuno sa effettivamente come affrontarla, non c’è un collaudato protocollo o esperienza accumulata a cui attingere.

La sera la Protezione Civile dice una cosa, la mattina dopo il Viminale la modifica.

In altra occasione avrei parlato di dilettanti; oggi no.

Comprendo le difficoltà, comprendo la oggettiva necessità del Ministero degli Interni di fornire una interpretazione più “larga” sulle limitazioni alla mobilità.

Che non si possa, allo stato attuale, obbligare a stare a casa, abbiamo già letto.

Che si sia scelto di allentare le maglie risponde a due evidenti necessità: stemperare la tensione e non impegnare le Forze dell’Ordine in estenuanti e infiniti controlli.

Non c’è divieto ma non uscite di casa, questa da ieri pomeriggio l’interpretazione del Ministero.

Seppure apparentemente contraddittorio, in realtà il comportamento del Viminale non lo è.

Non potendo, oggettivamente, obbligare tutti in casa né tantomeno schierare migliaia di uomini in divisa per i controlli, si è scelto, come da diversi giorni a questa parte, di fare appello al senso di responsabilità.

Quindi il fatto non esista un esplicito divieto a uscire per una passeggiata non significa né che la situazione va normalizzandosi né che l’emergenza sta calando.

Semplicemente di più non si può fare, uomini e mezzi servono ad altro che verificare chi sta facendo cosa.

Appello alla responsabilità: ero scettico, oggi lo sono meno.

Siamo uno strano popolo, spesso vigliacco, sovente egoista, bellamente menefreghista.

Eppure quando siamo chiamati a fare la cosa giusta alla fine la facciamo. E la facciamo meglio di quanto sarebbe necessario.

Ci mettiamo forse un poco di tempo a elaborare ma al traguardo ci siamo sempre arrivati.

Stiamo capendo, anzi, abbiamo capito che non serve la minaccia della galera o la pistola puntata alla tempia per fare il nostro dovere.

Abbiamo compreso che quella che sembra una parziale retromarcia del Viminale altro non è che la ovvia necessità di non rendere la situazione ancora più difficile; pensate all’immane carico di lavoro cui sarebbe sottoposta tutta l’amministrazione della Stato tra controlli, denunce e avvio dell’obbligatorio iter processuale. Spreco di tempo, uomini e denari. 

Si denari: perché ogni falsa autocertificazione è un costo per lo Stato. Un costo, letteralmente, sprecato.

In un momento in cui ogni risorsa deve essere convogliata verso un unico obiettivo, sprechi non sono tollerabili.

Nel tempo tra voi che leggete e me che scrivo si è creato un rapporto di fiducia, avete tutti compreso il mio sforzo di informarvi al meglio, senza inutili articoli acchiappaclick. I fatti, conditi dalla passione perché questo un blog di ciclismo è, ma sempre e solo i fatti.

Ho fatto molte eccezioni in questi giorni, facendo entrare su queste pagine argomenti che non volevo trattare e persino facendo appello alla loro condivisione sui social. 

Faccio una ulteriore eccezione: stavolta non vi dico “questi i fatti, fatevi la vostra opinione”.

No, stavolta vi chiedo di fidarvi di me; stavolta vi chiedo di lasciar perdere spiegazioni, norme, cavilli.

Stavolta vi chiedo, semplicemente, di rispettare l’invito a stare a casa, senza aggrapparsi alla recente dichiarazione del Viminale. Non è vietato uscire ma è meglio non farlo. 

Grazie 

Commenta anche tu!