Crisi del mercato?

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Lo scorso autunno pubblicai un articolo in cui sostenni che il mercato bici si sarebbe contratto; se non nel fatturato, sicuramente nei numeri.

Più di un addetto ai lavori mi diede della Cassandra, ignorando che la maledizione della signorina non era predire sventure ma imbroccarle.

A maggio tornai sull’argomento, perché mai si era vista a memoria una primavera ricca di sconti e promozioni, proprio nel periodo in cui le vendite di solito decollano e manco un portaborraccia in omaggio riesci a scroccare.

Qualche settimana prima avevo accennato al fatto che il fatturato era alto a dispetto delle minor vendite, identificando questa apparente contraddizione nel mercato delle e-bike, che portando più soldi in cassa hanno tenuto a galla la barca.

Oggi, a un mese di distanza dal successo di pubblico dell’Italian Bike festival, segno che le fiere di settore sono sempre gradite dai pedalatori checché ne dica qualcuno solito questuare pubblicità, le previsioni per molte aziende non sono rosee malgrado l’interesse.

Sento spesso ripetere che il problema, anzi, la causa del problema, risiede nel prezzo troppo alto delle bici.

In uno scambio di idee con altri colleghi della stampa io ho preferito focalizzare l’attenzione su altre cause, questa del costo è solo indiretta e comunque marginale.

Anche se inizialmente poco convinti, rilevo che poi quegli spunti sono stati ripresi in parte, seppure cavalcare l’onda dei prezzi alti aiuta i click e qualcuno ci è cascato.

In sintesi, riassumendo quanto scrissi tempo fa, c’è stato anzitutto un clamoroso errore di valutazione perché ci si è basati sulle richieste del mercato durante un periodo eccezionale: quello della pandemia.

Il mercato tirava abbastanza fino al 2019 poi una serie di eventi si sono abbattuti a valanga.

Il Covid, la chiusura sanitaria, la necessità di evitare i trasporti pubblici, la sciocchezza del bonus: da qui una impennata della domanda di bici.

Bici che però nei negozi non si trovavano, o perché proprio chiusi i negozi o perché, successivamente, era impossibile per le aziende assemblarle e trasportarle: perché molte fabbriche erano chiuse o a scartamento ridotto sempre a causa della pandemia, le materie prime (alluminio in testa) scarseggiavano, di quelle plastiche manco a parlarne (tutto dirottato sulla produzione di siringhe per i vaccini), i trasporti via mare sempre più difficili e cari e così via.

Chi voleva una bici, riassumo quello che scrissi all’epoca, faceva il giro delle sette chiese tra negozi, siti e chiunque potesse vendere una bici.

Col risultato che non erano venti ciclisti a volere venti bici ma un solo ciclista che girava per venti negozi cercandone una.

Qualche saggio uomo del marketing intravide il problema, tacitato da altri che, chiusi nel loro mondo per lo più social e lontanissimi dalla realtà che dovrebbero promuovere (o almeno conoscere), intese quella domanda come una moltiplicazione su cui gettarsi.

E via ordini su ordini per la produzione, una produzione che però andava a rilento perché oltre i problemi noti se ne stavano aggiungendo altri, dalla crisi energetica alla guerra in Est Europa.

Disponibilità in negozio ancora scarsa, domanda sostanzialmente analoga ma sempre “drogata” dal fatto che i ciclisti, o meglio, la voglia di bici stava si aumentando ma non così come poteva sembrare dai segnali trasmessi dalla rete vendita.

Nel frattempo lo sviluppo tecnologico è andato avanti, le materie prime hanno visto costantemente aumentare i prezzi, l’inflazione generata da una lunga serie cause concomitanti ha impennato il costo di tutto, il risultato è che quando la produzione è potuta entrare a pieno regime o quasi in negozio sono arrivate bici nuove (favorite anche dalla presentazione, in ritardo, di moltissime novità tecniche), sono arrivate bici top con soluzioni avveniristiche, tutto con un listino decisamente alto.

Giustificato per le top di gamma, meno per le bici medie, quelle che l’anno scorso si collocavano nella fascia tra i 4 e 6mila euro, sparite invece o quasi quelle a meno, soprattutto le buone bici tra i 2 e 3mila euro. Che però, almeno una buona notizia, stanno tornando.

Questo in estrema sintesi quanto avevo pronosticato e che poi si è avverato.

Ma non ne sono contento, nemmeno un poco. Mai stato uno che si crogiola nell’aver avuto ragione.

Anche se mi consolo vedendo che ho avuto ragione su un altro punto: il ritorno a listino di buone bici a prezzo abbordabile.

Perché alla fine sono loro che fanno i numeri.

Però il punto, anzi i punti sono altri.

Iniziamo dalla battagliata questione del prezzo troppo alto.

Non è vero.

Non lo è perché anzitutto non possiamo paragonare le attuali top di gamma a quelle di cinque anni fa. Troppe soluzioni tecniche, materiali, studi e investimenti sono ben oltre quelli del lustro passato per rendere il paragone sensato.

E poi perché non è vero che prima costassero poi tanto di meno, altrimenti si finisce per cadere nello stupido giochino che ancora gira sui social di quante cose potevamo fare con 50.000 lire.

Proprio qualche giorno fa ho raccontato sul blog che la mia ultima bici da corsa in acciaio, era il 1985, la pagai un botto: spesi quasi 4 milioni delle vecchie lire. Rigorosamente su misura, nella cifra era compresa la progettazione ma sempre tanti soldi erano.

Per farsi una idea, con la stessa cifra ti compravi una utilitaria, che però non aveva certo il climatizzatore, i vetri elettrici, l’ABS, i sensori e tutta la tecnologia e i materiali di oggi. Insomma, se volevi il top per gareggiare, lo pagavi tanto pure prima.

Piuttosto ci si dovrebbe interrogare se l’attuale media gamma abbia un buon rapporto qualità prezzo: e su questo rilevo che non ci siamo. Dove per media gamma dobbiamo qui intendere le bici che orbitano tra i 4 e 6mila euro.

Pur al netto di inflazione, aumento delle materie prime, energia e trasporti, siamo comunque troppo oltre.

E infatti le aziende sono corse ai ripari riproponendo bici in una fascia di prezzo più bassa ma con materiali e assemblaggi decenti. Sono ragionevolmente sicuro che con l’inverno a venire ne vedremo comparire parecchie.

Senza dimenticare che a questi prezzi diventa anche più lontano nel tempo il cambio della bici: mentre prima ogni due anni uno sportivo tendeva a sostituire con la nuova, ora ovviamente tende a tenerla più tempo. E questo spiega anche parte dell’invenduto nei negozi, ma ne parlerò in altro momento.

L’altro punto sempre foriero di guerre di religione è quello delle e-bike.

Inutile girare la testa dall’altra parte: sono il futuro.

Ci piaccia o no, anzitutto sono loro che hanno retto il mercato, lasciando sul terreno meno vittime di quante la crisi avrebbe mietuto.

Ci piaccia o no è un mercato nuovo, ricco, trendy direbbero quelli bravi, in cui si stanno affacciando nuovi competitors. E con questa frase sembro proprio uno fighetto.

Avete presente Porsche? Si, quello delle auto? Bene, ha annunciato che produrrà un motore per e-bike

Toyota? Ecco, in partnership con la francese Douze Cycles è entrata nel mercato delle cargo bike a pedalata assistita, una tipologia di bici (o chiamatela come vi pare) su cui sempre più piccole e medie imprese stanno investendo per la loro logistica e per le consegne.

Del resto la micromobilità elettrica è l’unica via al momento percorribile, allo stato delle conoscenze tecnologiche attuali, per avvicinare se non centrare gli ambiziosi obiettivi europei di cui vi ho parlato in questo articolo

Ci piaccia o no la bici sportiva, sia da strada che fuoristrada, rivolta agli appassionati duri e puri è destinata a divenire nicchia.

Basta uscire una qualunque domenica e valutare l’età media dei gruppi che incrociamo: persino io a volte mi sento giovane al confronto.

Le nuove leve stanno sparendo e non perché i ragazzi non vogliono faticare, come ripetono i matusa brontoloni: usano la bici in modo diverso, più consapevole se vogliamo, e hanno ben chiari i pericoli della strada.

Se allenarsi in strada è sempre più rischioso viene meno uno dei requisiti fondamentali per avvicinare nuovi ciclisti al nostro mondo. Non è che ti arriva l’illuminazione in sogno e la mattina dopo pedali: esci, scopri, ti appassioni, continui.

Ma se eviti proprio di uscire perché non sai se poi torni a casa, beh, forse questi ragazzi non hanno tutti i torti. E infatti anche su questo l’Europa si è resa conto della necessità di intervenire, come racconto nell’articolo indicato poco sopra.

I temi sono tanti però non voglio affrontarli tutti in una unica volta, quindi mi avvio alla chiusura con un ultimo punto: il modello di vendita delle bici.

Se la bici come oggetto (e soggetto) della nostra passione non scomparirà ma diverrà comunque marginale, se il gusto di possederla, curarla, coccolarla direi, sarà sempre più retaggio di una fascia minore di amanti della bicicletta, ha senso l’attuale rete di distribuzione e vendita?

Oppure un possibile futuro potrebbe essere il noleggio? Pago, pedalo, restituisco. La volta successiva prendo una bici diversa e così via.

Sembra impossibile? Non tanto se guardiamo all’andamento dello scambio di merci e servizi a livello globale, non pensiamo di essere noi il centro del mondo.

Il noleggio a breve o lungo termine sta prendendo sempre più piede in una moltitudine di settori. Non più il possesso ma l’uso diviene il valore.

Se persino un bene feticcio come l’auto ha visto affermarsi questa tipologia di scambio, perché le bici no?

E, ripeto, non pensiamo al pubblico di appassionati, quelli che se un estraneo poggia solo una mano sulla sella o, peggio, la solleva “perché voglio sentire quanto pesa” impugnano un’arma e la usano con soddisfazione. 

I numeri non li facciamo noi, li fanno quelli che considerano la bici un oggetto: comodo, pratico, salutare, ecologico, quello che volete ma non certo oggetto di passione.

In questa fascia moltissimi sono quelli che propendono per una bici a pedalata assistita: e infatti è qui che già stiamo vedendo affermarsi per primo il fenomeno del noleggio.

E forse potrebbe essere la via per evitare la crisi, perché molte piccole aziende hanno chiuso, tanti grandi store online sono in evidente crisi economica, le grandi aziende stanno facendo fronte con campagne di sconti mai viste prima.

Certo, fare pronostici adesso, in un momento in cui il mondo sta vivendo profonde crisi sociali ed economiche, con fronti di guerra nuovi e il rinfocolare di vecchi, con una sotterranea (ma non troppa) competizione a tutti i livelli per la supremazia geopolitica nei continenti ridisegnando le sfere di interesse, è difficile.

Ma chissà, sono comunque spunti di riflessione, magari utili anche agli addetti ai lavori che per una volta potrebbero distrarsi dal domandarsi quanti like riceve quella foto e interrogarsi invece sul futuro del nostro mondo a pedali.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Federico</cite>

    Le nuove leve stanno sparendo perché vengono pagate con stipendi da fame e, giustamente secondo la piramide dei bisogni di Maslow, dirottano quei pochi spiccioli sulle necessità impellenti e primarie.
    Non si spiegherebbe altrimenti la loro disaffezione verso le automobili, settore che, tra rincari dei prezzi di vetture, carburanti e assicurazioni, cambi di paradigma delle motorizzazioni tutt’altro che scontati e duraturi, autovelox e furti di plance, fari, catalizzatori e addirittura portiere, regala agli automobilisti più preoccupazioni che soddisfazioni.
    Per il resto concordo con le tue considerazioni, però sottolineo ancora che, a mio parere, il rapporto costi/benefici di essere un ciclista si sta sempre più spostando verso i primi rispetto ai secondi. Bici “medie” da 4k o 6k di euro (il costo di alcune moto valide) iniziano a mettere l’ansia a potenziali acquirenti spaventati da furti, incidenti all’ordine del giorno (io ho smesso di pedalare su strada la domenica, troppi merenderos ubriachi in circolazione) o anche semplici cadute dai potenziali risvolti economici significativi.
    La passione per la bici si è diffusa nel mondo per la sua semplicità, il marketing moderno la sta uccidendo!!!

    • <cite class="fn">Max</cite>

      Perfettamente d’accordo, i soldi sono sempre meno, una bici da 4/6 Mila euro non può essere considerata “media”. Stesso discorso per le auto sempre più costose e sempre più piene di orpelli e soluzioni inutili. La bicicletta sportiva o meno rimane una “bicicletta” non deve travalicare la sua stessa natura e lo scopo per il quale è stata inventata. Ma chi se ne frega di soluzioni tecniche ipersofisticate destinate forse ai pro, ma ci rendiamo conto degli stipendi medi dei lavoratori dipendenti ? Dei tassi di interesse ? Ben vengano le soluzioni tipo Dacia anche nel mondo delle bici….

      • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

        Mi cito: “Giustificato per le top di gamma, meno per le bici medie, quelle che l’anno scorso si collocavano nella fascia tra i 4 e 6mila euro, sparite invece o quasi quelle a meno, soprattutto le buone bici tra i 2 e 3mila euro. Che però, almeno una buona notizia, stanno tornando.”
        Come ho avuto modo di scrivere in altri articoli, i link in questo, quello delle “medie” è stato il grande errore, a discapito di una fascia di bici che era sparita e ora sta tornando.

        Fabio

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao, non pensare alle nuove leve solo a livello agonistico. Prima di arrivarci un ragazzo deve usare la bici tutti i giorni e solo così potrà scoprire se gli piace o meno. Ecco, il problema è qui, sono queste le nuove leve che mancano e non per colpa loro. Ci tornerò con un approfondimento.

      Fabio

  • <cite class="fn">Federico</cite>

    Assolutamente, non mi riferivo all’agonismo che segue tutte altre dinamiche e dove il prezzo pagato è tendenzialmente correlato a un aspettativa di risultato.
    Come nuova leva intendo il neo ciclista curioso di salire in sella anche solo per andare al lavoro o per godersi una bella giornata di sole nel weekend.
    Davanti a lui si pone il muro creato dal marketing fatto di infinite varianti specialistiche che disorientano e impauriscono (costassero poco uno potrebbe anche cambiare genere spesso, ma essendo tutto dettato da mode mordi e fuggi la paura di rimanere col cerino in mano è alta). Queste sterminate variabili rendono inoltre il percorso di autoformazione propedeutico alla scelta della bici tutto in salita.
    Quando ero adolescente e dovevo scegliere la bici per la promozione della terza media c’era la Graziella, la Bmx, la mtb e la bdc. Fine.
    Fatta la scelta, saltavi in sella e pedalavi con un sorriso da orecchio a orecchio senza alcun grillo per la testa!

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Scusa, non avevo compreso.
      Non sono d’accordo però che sia tutto marketing, la possibilità di scelta è un plus per noi.
      Certo, richiede un minimo di studio, di conoscenza: ma è decisamente meglio di quando scelta ne avevamo poca.
      Ho trattato la cosa in questo articolo, e ai miei tempi mancavano bmx e mtb…

      Perché battagliare su tutto se possiamo scegliere?

      Fabio

    • <cite class="fn">Max</cite>

      Infatti..! chi corre, fa gare o si sente agonista fino a sessant’anni e ha le possibilità economiche potrà anche comprarsi il capolavoro tecnologico, ma con duemila euro o poco più si può assemblare un’ottima bici per il 90% dei fabbisogni “normali”, che sia lo sportivo domenicale non agonista con la pancetta, il ciclo viaggiatore o il semplice pendolare che fa commuting….quindi è su questo tipo di biciclette che deve puntare la produzione e il marketing….più democrazia meno esclusività…

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