Bike Economy: mai visto un maggio così

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E non parlo del meteo ma del mercato bici.

Storicamente maggio e giugno sono i mesi principi per le vendite, quelli dove ci si reca in massa nei negozi, non sempre è disponibile proprio la bici che vogliamo (a causa della grande richiesta si esauriscono in fretta), non becchi uno sconto manco a pregare in ginocchio mentre porgi il vassoio con le sfogliatelle.

Che qualcosa quest’anno sarebbe stato diverso lo anticipai tempo addietro, tra lo scetticismo di alcuni, la consapevolezza di pochi altri.

Che la mia fu facile profezia lo hanno testimoniato i dati di vendita, che hanno visto si un incremento di fatturato ma un calo di vendite di bici classiche. Il mercato ha “fatto i soldi” con le e-bike, come spiego in questo articolo.

E’ probabile che il 2023 si chiuderà peggio, lo scopriremo a febbraio/marzo del prossimo anno, perché oltre il calo nei numeri di bici classiche ci saranno i minori introiti delle e-bike.

Già da aprile assistiamo a campagne di sconti a tappeto, e ancora ancora ci può stare, magari per svuotare i magazzini per far posto ai modelli di nuova gamma.

Ma io non ricordo campagne di sconti a maggio e giugno. 

Campagne che propongono i negozi, e non per liberarsi del vecchio in attesa del nuovo ma per vendere il nuovo.

Campagne proposte direttamente dalle aziende, anche da marchi che mai nella loro vita hanno fatto una promozione che fosse una.

Perché?

Facile rispondere che le bici hanno raggiunto prezzi esorbitanti, soprattutto nella media e bassa gamma di listino, quella che appunto fa numeri e fatturato, e la gente due conti in tasca se li fa.

Ma non sarebbe del tutto veritiero.

Piuttosto concorrono più elementi, tra errori di valutazione, errori di strategia, poca lungimiranza di tutte le parti in causa.

Si è gridato al boom delle bici per troppo tempo, il boom è vero che c’è stato ma nulla lasciava presagire che sarebbe stato di lungo periodo.

Ci sono stati i noti problemi di approvvigionamento durante la pandemia, un periodo tra l’altro drogato da noi dal bonus bici.

C’è stato il ritardo e/o l’accavallamento nella presentazione di nuovi modelli e soluzioni tecniche che hanno ingolfato il settore lasciando molti negozianti con un palmo di naso, con la bici arrivata la settimana prima già snobbata in favore di quella aggiornata.  

C’è stata l’errata valutazione della domanda, che sembrava ben superiore quando in realtà era lo stesso ciclista che faceva il giro delle sette chiese per cercare una bici qualunque quando i negozi erano vuoti.

Si è voluta vedere la cuccagna quando la realtà era diversa, a guardarla nella giusta ottica.

Innegabile la voglia di bici sia elevata, che a questo nostro mondo a pedali si stanno avvicinando nuovi utenti, attirati dalle e-bike, e che molti decidono di tornare in sella dopo anni.

Non sono però così tanti come si credeva.

E in questo, a errori si aggiungono errori, come il fiorire di campagne promozionali.

Che sono un vantaggio effimero, nella pratica un danno per le aziende e per noi pedalatori.

Un danno per le aziende giacché, pur senza volerlo, è come legittimassero la convinzione che i prezzi siano troppo gonfiati.

Un danno per i ciclisti che hanno pagato la bici l’anno prima un bel pacco di soldi e ora se la vedono svalutare ben oltre il fisiologico calo di valore solito.

E poi c’è un problema più filosofico, se così mi permettete di definirlo: la bici non è più percepita come quel veicolo semplice e alla portata di tutti che era prima.

La parcellizzazione delle categorie, il creare di continuo nuove nicchie, il susseguirsi a ritmo forsennato di tecnologie non sempre realmente utili, il massiccio avvento dell’elettronica, e tutto in un lasso di tempo mai così breve nella storia della bici, stanno mandando in confusione i ciclisti normali, quelli che pedalano per gusto senza troppe fisime. Quelli che hanno sempre mosso il mercato, perché i numeri li fanno loro, non quelli con la specialissima da 12.000 euro.

Una buona fetta di responsabilità la posso attribuire a marketing poco accorti, persone abituate a misurare col metro dei like e dei follower, che hanno alzato sempre più l’asticella della finzione social contro la realtà quotidiana.

Ma anche noi che ne scriviamo abbiamo le nostre colpe, con troppe testate alla ricerca di facili sensazionalismi e, soprattutto, troppo leste a cavalcare le onde emotive del momento, fomentando inutili dibattiti tra fautori e contrari dei dischi, dell’elettronica, del carbonio o dell’alluminio, insomma, soffiando sul fuoco dei luoghi comuni piuttosto che dedicarsi, come sarebbe nostro dovere, a fare informazione leale.

Ancora: mancano le nuove generazioni, e non certo perché i ragazzi non hanno voglia “di far fatica”, come sento ripetere fino alla nausea dai matusa miei coetanei che incontro nelle mie quotidiane pedalate.

No, mancano le bici adatte a loro, manca la sicurezza per usarle.

Si sta replicando quanto successo negli ultimi anni nel mercato motociclistico, con modelli sempre più costosi e performanti, e mi sta bene, non voglio fermare il progresso, ma accompagnato dalla progressiva sparizione dai listini di moto economicamente abbordabili e dalle prestazioni e allestimenti decenti.

Quando comprai la mia prima moto da maggiorenne, 350cc ché quella all’epoca la cilindrata che mi ero permesso guidare (per legge, due mesi dopo era più che raddoppiata di cubatura…) mi costò meno della bici in acciaio su misura montata al top (dell’epoca) che usavo per gareggiare. 

Ora ci stanno pensando i costruttori cinesi a proporre ottime moto adatte ai neopatentati, di buona fattura, esteticamente coinvolgenti e con costi di acquisto e gestione più alla portata di un giovanotto.

Nel mondo delle due ruote a pedali sono quasi del tutto sparite dai listini per troppo tempo bici oneste, ben fatte e montate, con componentistica decente e offerte a prezzi decenti.

Quel poco che c’era magari ti dava un discreto telaio ma poi una sella che manco un fachiro, le ruote due piombi, cockpit scadenti. Che vediamo anche su bici di fascia media, che significa al momento bici comprese tra i 3000 e i 5000 euro, mica poco.

Ossia più o meno quanto serve a un diciottenne per portarsi a casa una onesta moto per patente A2: la tentazione c’è…

Ben vengano le novità, il progresso, le nuove tecnologie.

Ma se non si torna a proporre bici buone intorno ai 1500 euro e fino al limite dei 2000, ed è una soglia fattibile con pochissime rinunce, è difficile invogliare un ragazzo a pedalare. 

Serve anzitutto rinunciare al messaggio sbagliato che una bici senza una infinità di pignoni sia scarsa, smetterla con questa sciocchezza dell’entry level che è sbagliato declinare come sinonimo di scarsa qualità, smetterla di fomentare le guerre di religione sui social, smetterla di pubblicare sciocchezze tipo “i prof cadono perché usano i dischi”.

Perché se noi appassionati invecchiamo senza avere alle nostre spalle chi ci sostituirà, la ruota smetterà di girare.

Non credo sia iniziato il declino della bici, questo no.

La salita è stata troppo rapida, naturale che adesso la discesa sia veloce.

No, però la discesa c’è, meno ripida ma c’è. Ed è destinata a proseguire se non si interviene per tempo, senza inseguire solo le mode del momento.

Qualcosa si sta muovendo, lo vedo da alcuni modelli presentati da poco e trasmissioni pure.

Sempre che nel frattempo qualche governante poco illuminato decida di assestare il colpo di grazia al nostro mondo a pedali per un paio di punti percentuali alla prossima elezione…

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">emiliano</cite>

    concordo al 100% con l’ultimo paragrafo. ci mancavano solo i geni a Roma che vogliono mettere targhe e assicurazioni sulle bici….

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