Un uomo solo è al comando
Il ciclismo metafora della vita? Ma si, gli ingredienti ci sono tutti e non sono il primo a dirlo. Impegno, fatica, dedizione, disciplina, sacrifici. Difficoltà da affrontare, mete da raggiungere, obiettivi da superare. E la gioia di avercela fatta: cos’è tutto questo se non la vita?
Da anni si dibatte se il ciclismo sia uno sport di squadra o individuale: nessuno dei due. Uno taglia il traguardo ma tutti vincono.
Nel ciclismo moderno una fuga eroica come quella di Coppi e resa celebre dalla radiocronaca di Mario Ferretti “Un uomo solo è al comando; la sua maglia è bianco-celeste; il suo nome è Fausto Coppi” (per inciso, a me vengono i brividi anche solo a scriverla) non sarebbe attuabile. Oggi è impensabile e impossibile che un uomo di classifica venga lasciato libero di andare in fuga. Né verrebbe in mente a un uomo di classifica provarci.
Ma ieri come oggi quel capitano, quei capitani avevano una squadra; uomini pronti a coprirgli le spalle, a soccorrere, ad aiutare, a tirare se necessario, a spezzare il gruppo alla bisogna. Fatica e sudore in pochi o molti chilometri per scivolare poi nelle retrovie e nell’anonimato.
La stampa li ha chiamati in vari modi; gregari, portatori d’acqua, sherpa, scudieri e via così nella inutile ricerca di metafore per non volere usare l’unica parola che li renda onore: compagni.
Alla pari col loro capitano, perché senza di loro non esisterebbe un capitano. Ma questo sfugge ai più, a chi osserva dall’esterno.
Un capitano degno di questo nome salirà sul podio alzando la coppa in favore dei fotografi e in posa giusta affinché il marchio dello sponsor sia in buona vista. Un capitano degno di questo nome mentre alzerà la coppa al cielo in cuor suo sta rendendo omaggio ai suoi compagni, consapevole che senza di loro non sarebbe lì.
Se i ricchi alpinisti stranieri possono celebrarsi nella conquista dell’Everest è perché ci sono Sherpa che rischiano la vita durante la notte lungo i versanti della loro Sagarmatha per rifornire l’ultimo campo base, quello da cui altri partiranno per completare l’ascesa. Ma non potrebbero mai partire senza i rifornimenti che questi uomini scevri dall’ansia di gloria gli hanno assicurato.
E per favore, lasciatemi continuare in questo mondo fantastico in cui lo sport è pulito e gli uomini ancora assumono valore alla parola data.
Torniamo al nostro capitano. Che avrà ringraziato i suoi compagni, gli avrà reso l’onore che meritano e poco importa se è qualcosa che dall’esterno non si percepisce. Il capitano e i suoi compagni sanno che c’è, tanto basta.
Perché esiste un rapporto di fiducia che nulla dovrebbe scalfire. Il capitano pedala a mente sgombra perché sa che ha i suoi compagni pronti ad aiutarlo; e i compagni si sacrificano ben volentieri perché sanno che il loro capitano darà tutto se stesso quando arriverà il suo momento. Se la fiducia viene meno crolla tutto come misero castello di carte, la scenografia rovina al suolo rivelando i fragili puntelli.
I galloni però, come suol dirsi, si conseguono sul campo. Sono le azioni che rendono il capitano tale e spingono i compagni a dare l’anima per seguirlo. Nessun direttore sportivo, sponsor o manager potrà imporre un capitano incapace di sacrificarsi e pronto a concedere tutto se stesso quando arriva il momento. Chi ci ha provato ha fallito.
Come destinato al fallimento è qualunque capitano non sappia circondarsi dei giusti compagni e rendergli l’onore che meritano. La fiducia non è dovuta per contratto, si conquista.
Ma la fiducia non è mai a senso unico: i compagni dovranno saper conquistare quella del loro capitano. Dovranno dimostrargli che potrà concentrarsi sull’obiettivo a mente sgombra perché saranno loro a tenere d’occhio cosa accade in gruppo pronti a intervenire. Lo terranno tranquillo e al sicuro, consentendogli di fare al meglio quello che è chiamato a fare: vincere.
Un buon capitano non chiederà ai compagni nulla più di ciò che hanno promesso: il loro massimo. Un buon capitano non darà ai compagni nulla di meno di ciò che ha promesso: il suo massimo.
Ma più di ogni altra cosa, sopra qualunque gerarchia un buon capitano non si sentirà mai un capitano: si sentirà uguale ai suoi compagni, alla pari. Altrimenti sarà un pessimo capitano, i gradi solo un orpello cucito alla maglia privi di valore.
Ancora una volta cos’è tutto questo se non la vita?
Solo uno stupido può avere la presunzione di poter fare tutto da solo e bene; stupido e quindi presuntuoso o presuntuoso e quindi stupido? Bah, dilemma futile, le due cose viaggiano indissolubili. E io che sono sia un poco stupido che un poco presuntuoso credo di potermi imbarcare pronto a salpare verso qualunque porto sconosciuto senza saper manovrare una vela.
E’ quello che ho fatto come capitano di questo blog quando decisi di lasciare il porto sicuro della piattaforma gratuita che, si, aveva i suoi limiti grafici ma era scevra da ogni necessità di gestione tecnica, per solcare le onde del mare sconosciuto dell’autonomia in rete.
Nella sua vecchia forma il blog aveva in me il suo capitano e negli ingegneri di WordPress i suo compagni che provvedevano a sua insaputa a ogni problema di funzionamento; così che potessi concentrarmi solo su quello che so fare meglio: i contenuti.
Per alcuni le difficoltà che incontro possono sembrare poca cosa; ma per uno che mai ha capito come si programma(va) un videoregistratore o ha tenuto lo smartphone in un cassetto mesi perché gli sfuggiva che per rispondere a una chiamata e chiuderla dovesse sfiorare lo schermo con un pollice, vi assicuro sono scogli insormontabili.
Ancora una volta torna il ciclismo come metafora della vita: un ciclista non molla, mai. I muscoli in fiamme, la bocca spalancata e cercare aria, il sudore a bruciare gli occhi ma la vetta si conquista, cavolo! In cima esplode la gioia, si riprende fiato ma lo sguardo già volge a cercare altre cime, altre vette più difficili da conquistare. Un ciclista, per definizione, non è mai fermo, domo. Raggiunto un obiettivo ne cerca un altro.
Una volta consigliai ad un amico a capo dell’ufficio personale di una grossa multinazionale di accertarsi se i candidati fossero ciclisti: “Se lo sono prendili, non ti deluderanno. Se incontreranno un ostacolo non saranno soddisfatti finché non lo avranno superato”. Mesi dopo mi disse che aveva messo in pratica il mio consiglio e ancora lo fa, mai una delusione.
Eppure alle volte, come in questi giorni, ho voglia di mollare. Non sono abbastanza ciclista? Può darsi. O forse sono stupido si ma non fino al punto di non rendermi conto che non posso gestire ciò che non comprendo e non so fare. Io so scrivere e curare le bici; e poi scrivere di come ho curato le bici. Tutte queste cose strane di codici, formattazioni, segni incomprensibili, vocaboli a me ignoti mi portano via una quantità enorme di tempo anche solo per tentare di comprendere a cosa servono e se servono. Tutto tempo che sottraggo a ciò che invece mi riesce bene.
Ha senso continuare? Non lo so. Davvero. Ho cercato di migliorare costantemente questo blog, renderlo sempre più ricco di informazioni. E per farlo ho necessità di strumenti che non so comprendere, figuriamoci gestire. Ma se devo cercare di comprendere e gestire questi strumenti non ho più tempo per curare i contenuti, in una involuzione del blog invece che una sua evoluzione.
Non sarebbe meglio tornare nel guscio protettivo e esente da problemi della piattaforma gratuita? Minimale nelle funzioni, spazio di archiviazione nullo (ma potrei rimediare acquistandolo? Non lo so, non capisco come funzionano queste cose) e quindi articoli molto più poveri di immagini. Sarebbe un passo indietro o avanti? Meno grafica, meno foto ma più tempo per me per scrivere? Eppure senza le funzioni aggiuntive che mi consente questo “girare” per mio conto, gli articoli potrebbero essere ugualmente efficaci? I lettori più anziani ricorderanno le differenze tra gli scritti attuali e quelli antecedenti alla migrazione e cosa è meglio balza subito alla vista.
Il blog mi sta aprendo molte porte, il duro lavoro di questi anni è stato notato. Riuscì a farsi notare persino il vecchio blog, con pochi articoli pubblicati e dalla pessima impaginazione; eppure suscitò la curiosità del più grosso gruppo editoriale italiano che mi propose la stesura di un libro.
Col tempo ho guadagnato la fiducia di voi lettori e autorevolezza in questo ambiente. Sono due ingredienti fondamentali per farlo crescere ancora, perché senza la fiducia di chi legge è inutile che scrivi; e se nessuno ti prende sul serio è inutile che provi a espanderti lanciandoti in altri progetti, come quello della mia bicicletta.
Realizzare la bici in sé è piuttosto semplice; sto valutando alcune opzioni tecniche, perché anche se mi assumo l’onere della decisione finale io ascolto tutti e faccio tesoro di ogni parere. Il difficile per me viene dopo.
Come venderla? Quali strumenti ci vogliono? Devo creare una qualche struttura fiscale ad hoc?
Ma anche difficoltà pratiche, a iniziare dall’imballo. Procurati le scatole di cartone e ce la metti dentro. Sembra facile. Mica vai lì e ti danno lo scatolone a misura. Te lo devi far fare, minimo 100 pezzi. E che me faccio? Li conservo per quando traslocherò?
Non sarebbe meglio anche qui un passo indietro e fare solo ciò che so fare meglio: progettare e montare le bici, lasciando sia il ciclista a comprare tutto il necessario che gli indico?
Come ho già scritto, in questo progetto più che i denari rischio di perderci la faccia. Non per il risultato bici, quella andrà una meraviglia e posso metterci la mano sul fuoco già da ora. E il dopo che mi spaventa. La gestione degli ordini per il materiale, le fatture, i rapporti coi fornitori, queste e tante altre cose che sono terreno ignoto per me. E che richiederebbero un impegno che non sono in grado di garantire. Anche qui sono un capitano senza compagni. Forse perché sono un capitano molto esigente e pretendo impegno e professionalità. Ma sono anche un capitano che lavora 16 ore al giorno quando è il suo turno, come ora. Io non mi risparmio se ho dato la mia parola.
C’è bisogno che mi fermi e decida di affrontare una cosa alla volta. Metto in stand-by qualunque altro progetto: voglio anzitutto capire che strada prendere con questo blog, come gestirlo sul piano tecnico in modo possa tornare a occuparmi solo dei contenuti senza perder tempo a colorare un link, cambiare un font o scovare un plugin malevolo.
Voglio tornare a divertirmi a scrivere e ad andare in bici. Sono stanco di battagliare, di chiedere, di elemosinare il favore di una riga di codice mai concessa. La vita è troppo importante per prenderla sul serio e perder tempo in ciò che non ci piace.
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Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Leggo da poco il blog, sul quel sono capitato per caso e del quale mi sono invaghito, ma ho notato i tuoi ,permettimi di darti del tu, sempre più frequenti sbottamenti conto la piattaforma usata e i suoi “scogli” tecnologici.
Non vorrei sembrare presuntuoso, ma mi permetto di darti un consiglio: cambia supporto tecnico affidandoti a uno specialista del settore, o cambialo in caso tu ne stia già pagando uno.
Il compito di chi imbastisce una piattaforma WEB è quello di consegnare un prodotto funzionante e chiavi in mano al cliente sia che lo faccia per amicizia (e sarebbe il caso di capire quando lo sforzo trascende le nostre abilità) sia che lo faccia per denaro.
Esistono innumerevoli servizi a pagamento, talvolta davvero poco, che uniscono la facilità dei sistemi free alla flessibilità di una piattaforma proprietaria: tanti che ormai hanno superato wordpress in semplicità d’uso e funzioni.
Mi sono permesso non tanto per smania di protagonismo ma perché vorrei tornare a leggere i tuoi splendidi scritti d bici.
Grazie
Luca
Ciao Luca, saggi consigli e giuste osservazioni le tue. Grazie, davvero
Fabio
….e comunque vada gli articoli vanno più che bene anche scritti sulla carta della pizza, per quanto mi (ma credo ci) riguarda!
ok, ma la pizza prima di scrivere chi se la magna? Sai com’è, da buon partenopeo e vivendo in una zona dove nel raggio di 800 metri ho la più alta concentrazione delle migliori pizzerie della città, diciamo che è pietanza che gradisco 🙂
Fabio
Luca mi ha anticipato levandomi le classiche parole di bocca. Se fossi nei tuoi panni (permettimi), mi affiderei per la gestione del blog a chi lo fa in maniera professionale e che lo fa con competanza in modo tale che tu possa occuparti di produrre i contenuti che noi amanti di ciclismo e di bici attendiamo sempre con piacere.
Quando più ostacoli o difficoltà si presentano tutte nello stesso momento viene la voglia di lasciar stare tutto, perchè stiamo gettando un sacco di energie fisiche e mentali in un “qualcosa” che vediamo non progredire, ma non mollare, sei un capitano, i risultati arriveranno e saranno pienamente appaganti. Ti chiederai e i gregari ? Non li vedi perchè sei in fuga !
Ciao