Tante bici, poco usate: e non servirebbero grandi sacrifici…

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Usare una bicicletta in sostituzione dell’auto per piccoli spostamenti quotidiani sappiamo tutti noi significa migliorare la salute nostra e del pianeta.

Ma noi siamo appassionati, la bici è presenza costante nelle nostre vite e la usiamo sia per allenarci che per le lunghe uscite domenicali che per quelle breve in città, per andare al lavoro o al supermercato.

Insomma, per noi pedalare è normale.

Lo facciamo per piacere, innegabile; molti tra noi lo fanno perché credono che sia un gesto importante per tutti, pure quelli che non pedalano.

E sorridiamo nel vedere l’enorme numero di bici vendute, col dubbio però che a giudicare dai numeri dovremmo vedere molti più pedalatori sulle strade.

Cosa che effettivamente sta avvenendo negli ultimi tre anni, grazie soprattutto a due fattori a cui nelle ultime settimane si sta aggiungendo un terzo.

L’emergenza sanitaria che ci ha colpito e l’insufficienza del trasporto pubblico a coprire tutte le esigenze, anche a causa dei pochi posti disponibili per rispettare il distanziamento, ha spinto molti a scegliere la bici; con tanti Comuni pronti a creare ciclabili d’emergenza, non sempre ben fatte è vero, ma vista la situazione di quel momento possiamo essere comprensivi.

L’offerta al pubblico di biciclette a pedalata assistita di prezzo contenuto, reperibili per lo più presso la grande distribuzione e/o negozi non specializzati; mezzi che si rivolgono a chi non è appassionato del nostro mondo a pedali, vuole potersi spostare agevolmente ma non accetta o non può gestire fatica, sudore e tutti quei fastidi che ben conoscono quelli tra noi che al lavoro ci vanno in bici.

L’aumento vertiginoso, che sia speculativo o strutturale qui non importa adesso, dei prezzi dell’energia, quindi del carburante, per cui quei pochi chilometri spesso coperti in auto iniziano a incidere pesantemente sui bilanci familiari e inducono all’uso della bici.

Ma in questi ultimi anni abbiamo assistito è vero a un aumento delle vendite: però di bici ne vendevano tante anche prima, il boom degli ultimi mesi, soprattutto in Italia, è “drogato” da quanto appena scritto e da quel bonus bici che ho sempre ritenuto una misura sbagliata.

Questa lunga premessa per spiegare meglio ciò che sto per dire.

E’ stato pubblicato un interessante studio su una nota rivista scientifica che ha anche il suo sito: nature.com.

Uno studio che analizza una quantità di aspetti interessanti, con decine di spunti originali e di cui vi consiglio la lettura, è in inglese ma facilmente comprensibile. Un poco meno, per me, le equazioni, io che al liceo sfuggivo l’ora di matematica…

A fine articolo vi lascio il link.

Uno studio che però, come ogni studio che si rispetti, deve tener conto di un limite temporale necessario per poter disporre di dati certi e verificati. Quindi, partendo dal 1962 deve fermarsi al 2015, che per le ragioni elencate prima è un gran peccato, credo che se fosse stato possibile arrivare al 2021 forse avremmo avuto considerazioni diverse.

Uno studio che analizza il globo intero, difficilissimo considerando che le bici non hanno immatricolazione e molti Paesi nemmeno creano statistiche di vendita.

Limiti che, lo dico da giornalista con qualche decennio di esperienza sulle spalle, aumentano ai miei occhi il rispetto per i ricercatori, si sono infilati in un ginepraio dove conservare il rigore scientifico era pressoché impossibile: riuscendoci.

Qui non voglio trattare tutti gli aspetti presi in esame nell’articolo, mi limito a qualche considerazione, alcune persino ovvie per noi pedalatori seriali.

Cito, e perdonate se ho commesso qualche errore di traduzione: “La produzione mondiale di biciclette è aumentata da 20,7 milioni di unità nel 1962 a 123,3 milioni di unità nel 2015, con un tasso di crescita annuale composto del 3,4% superiore a quello della produzione mondiale di automobili (3,0% da 14,0 milioni di unità a 68,6 milioni di unità) nel stesso periodo. La produzione globale di biciclette è particolarmente prospera dagli anni ’70, con un tasso di crescita molto più elevato rispetto alla produzione di automobili, e dopo un periodo di stagnazione negli anni ’90, è ripresa dopo il 2000 e si è stabilizzata a un livello elevato di 111 milioni di unità negli ultimi anni. La quantità aggregata della produzione globale di biciclette dal 1962 al 2015 è di 4,65 miliardi di unità, ovvero 2,4 volte la quantità aggregata della produzione mondiale di automobili.

Abbiamo quindi più bici che auto.

Però le abbiamo ferme in garage: le bici, non le auto, di queste ultime ce ne sono ben di più sulle strade.

Posso capirlo per gli spostamenti più lunghi, non puoi esigere che tutti si facciano 30+30km al giorno, anche con il freddo e la pioggia, magari pure con qualche primavera di troppo sulle spalle. Non demonizzo l’auto, che resta spesso l’unica scelta possibile per tanti.

Soprattutto per mancanza di alternative valide di trasporto pubblico locale, sulle brevi e medie distanze.

Ma anche per politiche sociali, economiche, strutturali che indirettamente ma poi di fatto impediscono, tarpano ogni buona volontà.

Vi faccio un esempio di queste cause indirette.

In estate, lo sanno i lettori di più vecchia data del blog, cerco di passare quanto più tempo posso al mio minuscolo rifugio estivo. Che è anche il campo base per i test e le relative foto.

E siccome io e mia moglie una estate serena non la possiamo passare, anche quest’anno ci è toccata la visita al pronto soccorso e successivo passaggio in ortopedia.

Ma in due ospedali diversi, perché la radiografia la fai in uno, l’ortopedico ti visita in un altro.

Certo, non avrei potuto mettere mia moglie in bici con una frattura al braccio, quindi l’auto è necessaria. Però parliamo di un caso di pronto soccorso, mentre ho scoperto, in questo nostro vagare da un presidio all’altro, che questo sdoppiamento, questo flipper che un paziente deve compiere, succede quasi per tutto. 

Una pratica la presenti nell’ufficio A posto nel presidio X; la prenotazione la fai nell’ufficio B posto nel presidio Y; la visita la fai nell’ambulatorio C posto nel presidio Z e così via chilometrando in giro per tutta la provincia.

In assenza di collegamenti diretti tra i vari presìdi, perché nel frattempo quella piccola stazione ferroviaria è stata chiusa, quella tratta con l’autobus soppressa e così via.

Significa che tutti coloro che vivono al di fuori di una metropoli o di una città di media grandezza, nel nostro caso la maggioranza degli italiani, è obbligato all’uso dell’auto anche se non volesse.

Cioè proprio coloro che a noi cittadini sembrerebbero in realtà favoriti nell’uso della bici, visto il contesto in cui vivono, certamente migliore di quello densamente urbanizzato.  

E che nella realtà sono sfavoriti da scelte non direttamente legate alla mobilità ma che su questa incidono, pesantemente, in modo sbagliato.

Cito ancora: “…sebbene le disponibilità di biciclette fornisca una base per la mobilità delle persone a breve distanza, la reale relazione tra la disponibilità e l’uso di biciclette su larga scala rimane sconosciuta. Ad esempio, in paesi come gli Stati Uniti, c’è spesso una mancanza di corrispondenza tra la proprietà della bicicletta e l’uso per il trasporto […] dalla salute ai trasporti all’ambiente e alla pianificazione, la letteratura esistente sulle biciclette e sull’uso della bicicletta è ricca ma si concentra solo su una manciata di città e regioni (ad es. Stoccolma in Svezia, Fiandre in Belgio, Londra nel Regno Unito, e alcune città negli Stati Uniti) e si basa principalmente sui dati di sondaggi sui viaggi. Uno studio recente ha combinato i dati dei contatori di biciclette e delle piste ciclabili di 106 città europee per 4 mesi nel 2020.

Il possesso elevato di biciclette non comporta necessariamente un uso elevato della bicicletta, che è invece ancora marginale negli spostamenti giornalieri in tutto il mondo (<5% per la maggior parte dei Paesi). Una politica mondiale a favore della bicicletta e lo sviluppo delle infrastrutture ha consentito il trasferimento modale come nei Paesi Bassi e la Danimarca e può portare a significativi benefici per il clima e la salute, ma non è ancora pienamente sfruttata“.

Quindi adesso abbiamo conferma che troppe bici sono ferme e che mancano, tranne in alcune Nazioni, conoscenza e volontà di investire concretamente in politiche che possono (indicativo, qui non voglio il congiuntivo…) realmente migliorare salute pubblica e salute del Pianeta.

Una conferma che fa ancora più rabbia se continuiamo la lettura.

Cito: “Il settore dei trasporti è responsabile di un quarto delle emissioni globali di gas serra legate ai combustibili e la metà di queste emissioni proviene dalle autovetture. Non solo, le previsioni indicano che la domanda globale di trasporto su strada aumenterà di circa tre volte entro il 2050. Con queste prospettive, riuscire a mitigare l’effetto climatico dei trasporti risulta difficile“.

Però, continuo senza citare e sintetizzando, ci sono Paesi dove abbiamo un elevato possesso di bici (più di una procapite), trasporto pubblico efficiente e comunque un elevato uso della bicicletta per gli spostamenti quotidiani.

Questo perché si è investito, saggiamente, in infrastrutture e in educazione; e perdonatemi se l’ultima suona pedagogica.

Parliamo di Olanda e Paesi Bassi, dove l’uso della bici per gli spostamenti quotidiani è molto diffuso.

Fin qui direi che sto scoprendo l’acqua calda.

Ok, datemi qualche altro minuto del vostro tempo.

Sempre lo studio che sto saccheggiando, ma c’è autorizzazione, stima che se tutti noi ci comportassimo come i Danesi avremmo un risparmio di 414 milioni di tonnellate di CO2 emesse, ossia quanto prodotto dal regno Unito nel 2015.

Se fossimo tutti virtuosi come gli Olandesi avremmo ben 686 milioni di tonnellate di CO2 in meno, ossia l’86% di quanta ne ha prodotta la Germania sempre nel 2015. Che è, la Germania, nazione attenta all’ambiente ma anche fortemente industrializzata. A cui riconosco notevoli progressi negli ultimi anni, giocoforza non presi in esame nello studio citato per i motivi descritti in apertura.

Ora, e mi avvio a concludere, sapete quanti chilometri in media percorrono in bici danesi e olandesi? Ossia quanto pedalano, e quindi, di conseguenza, quanto dovremmo pedalare noi per ottenere questi bei risultati?

1,6 chilometri al giorno.

Unovirgolasei chilometri. Tutto qui.

Meno della metà della distanza che mi separa dal piccolo market dove vado a fare la spesa ogni giorno.

Un terzo della distanza che mi separa dal mio abituale luogo di lavoro, dove vado in bici senza alcuna difficoltà.

Va bene che non possiamo chiedere a un fattore australiano di farsi i suoi 1500 km in bici per andare a trovare il vicino, ma noi?

Va bene che non possiamo chiedere a una persona anziana di fare la pallina da flipper in bici per passare da un ufficio sanitario all’altro, per rifarmi all’esempio di prima, ma noi? 

Spostarsi in bici è difficile per tanti motivi.

E’ giusto pretendere una politica, una visione, realmente capace di affrontare le sfide non più future ma drammaticamente attuali.

E’ doveroso da parte nostra comportarci di conseguenza.

Abbiamo visto che basta un modesto spostamento quotidiano, non è certo un sacrificio.

Noi ne facciamo di ben più lunghi, quindi non è a noi e voi che lo chiedo.

A voi, a me, chiedo: prendiamo questi dati, facciamoli nostri e usiamoli per far comprendere agli altri, a chi magari spende qualche migliaio di euro l’anno per andare in palestra: in auto, però.

Vi lascio il link all’articolo, ma ne sfrutterò altre parti, è una miniera di informazioni e offre infiniti spunti.

Historical patterns and sustainability implications of worldwide bicycle ownership and use

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Stefano</cite>

    Dipende molto anche dal contesto geografico. Io abito in un paese di pianura, piccolo ma pur sempre di 20.000 persone, e qui si impara ad andare in bici ancora prima di stare in piedi. La bici è usata tantissimo per qualsiasi ragione, da tutti. I professori arrivano a scuola in bici insieme ai ragazzi, e gli anziani vanno in bici finchè i figli si incazzano e gliele sequestrano. Se rimango nell’àmbito del mio paese uso la macchina per un solo motivo: i pacchi di acqua da prendere al supermercato una volta ogni tanto. Altrimenti mai; troverei assurdo uscire in auto per andare in un posto, cercare un parcheggio nelle vicinanze, e poi dovere andare a piedi nel luogo target; vado in bici e arrivo davanti a dove devo andare. Ok, ma è un paese, e le distanze non sono mai grandissime. E’ in pianura, la pianura più piana che ci sia. Chi abita in luoghi montuosi come fa? E di montagne in Italia ce ne sono tante, mica solo le Alpi. Ci sono montagne ovunque in qualsiasi entroterra. E ci sono posti di mare (es: Liguria) dove appena fai 100 metri in direzione opposta ci sono delle salite inaffrontabili.

    Sei tu anche nella foto con la Brompton? Bellissimo colore. Bellissima bici, un gioiello. P.S. Io ho una Dahon.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Stefano, sappiamo che ogni realtà locale è diversa, sono anni che lo dico.
      L’importanza di questo studio sta ne fatto che per la prima si analizza il fenomeno a livello globale, così da cogliere meglio le differenze sia politiche che di abitudini.
      Poi è ovvio, e lo dicono anche i ricercatori, non puoi mettere tutti sullo stesso piano, proprio perché esistono enormi differenze e non ho usato a caso l’iperbolico esempio del fattore australiano.
      Detto questo, chiedi chi abita in montagna come fa e io aggiungo le città collinari, come la mia, dove spostamenti tra centro e altura sono impegnativi.
      Beh, ci sono le ebike, ormai si trovano a poco, che sono validissimi mezzi di trasporto. Noiose per un appassionato ma noi non dobbiamo mettere in sella i ciclisti: noi dobbiamo mettere in sella gli automobilisti…

      Fabio

      ps; no, la foto è stata scattata durante il test della Brompton, non è mia

      • <cite class="fn">Enzo</cite>

        A me tutto questo “wishful thinking” comincia a saturarmi gli zebedei…

        Chi sta in montagna basta che si compra una ebike e sta apposto!

        Sai che potrebbe piovere (come diceva il buon Aigor) e se sei una mamma che deve portare a scuola i bimbi la mattina presto cioè al buio fino a primavera inoltrata, quanto voglia hai di essere l’apripista per cambiare il mondo? E poi con che ci vai? Finché sono piccolini potresti comprarti una cargo bike (che non costa 800€ come un’olandese elettrificata) ma se hanno 8-10anni dove li metti in un risciò oppure li convinci a pedalare sotto la pioggia? Auguri!
        Il marito poi, che magari ha un lavoro normale ed ha un orario di ingresso anche lui sul presto freddo & pioggia 4 volte al giorno (se non ha modo di fermarsi a pranzo o fa l’orario spezzato) dai e dai ti ammali o arrivi in ritardo.
        Lo sai che se in una ditta fai ritardo o troppe assenze ci sono le lettere di richiamo ed alla terza sei fuori?

        Abito in una zona leggermente collinare a non troppa distanza dal mare, l’unico che conosco che va al “lavoro” in bici è un imboscato statale messo lì da un sindaco una decina di anni fa per il fratello del tizio ha venduto un terreno al comune dopo anni di insistenze. Si fa gli orari suoi ed in media si presenta nella funzione di messo comunale 4 giorni la settimana.

        In sostanza il bike-to-work in Italia è tutto da dimostrare a livello di penetrazione nella vita reale.
        Tutti i single o le famigliole con prole felina/cucciolosa faranno molto hype ma non sono affatto lo specchio di una azione che ha bisogno di praticità ed indipendenza.

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          “Abito in una zona leggermente collinare a non troppa distanza dal mare, l’unico che conosco che va al “lavoro” in bici è un imboscato statale messo lì da un sindaco una decina di anni fa per il fratello del tizio ha venduto un terreno al comune dopo anni di insistenze. Si fa gli orari suoi ed in media si presenta nella funzione di messo comunale 4 giorni la settimana.”

          Tutto questo (e anche il resto) dimostra solo l’enorme arretratezza culturale in cui ci troviamo.

          Fabio

  • <cite class="fn">Marco Socci</cite>

    Beh Fabio, arretratezza, i fannulloni nella PA ne trovi a carriolate!
    Quello magari eccedeva con il fatto che magari si faceva pure il giro in bici a spese di tutti noi…

    Comunque Enzo mi ha fatto ridere perchè mi son immaginato mia moglie in risciò che porta a scuola i figli in una giornata di piovosa, ne abbiamo 3 uno alle elementari, una alle medie e la grande frequenta il primo ginnasio, io attacco in officina alle 6e30 quindi non la posso aiutare; ho detto tutto.
    Abitiamo nella periferia di Ancona e lei dopo molte insistenze è riuscita a farsi concedere di entrare a lavoro alle 8e30 in modo da non dover rischiare multe o peggio per essere in orario; da casa nostra le fermate degli autobus sono quasi a metà strada con le scuole e siamo obbligati a portarli 2 su 3 direttamente a scuola.
    Per non parlare di fare la spesa come diceva Stefano all’inizio, impensabile frazionare la spesa settimanale solo per andarci con le bici.La nostra cerchia di amici, conoscenti e parenti è nella medesima situazione, tranne “i ‘rmasti” come si dice da noi, gli zitelli e zitelle che non hanno pensieri.
    Questo per testimoniare che le grandi città fanno storia a sè, è molto bello & nobile pontificare di lasciare l’auto e prendere le bici.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Beh, ma io non chiederei ad altri di fare qualcosa che non faccio io. E se lo faccio io che ho anche il 68% di invalidità, possono farlo molti.
      Piuttosto mi chiedo se in realtà avete letto l’articolo, visto che gli interventi sono parecchio lontani dal tema centrale.
      Magari rileggendo con più attenzione, potreste arrivare a prendervela con chi non solo non fa nulla per non rendere difficile spostarsi in bici ma anzi fa di tutto per ostacolarlo.
      E non con chi da anni li denuncia.

      Fabio

      PS mi sfugge perché tu abbia voluto postare due commenti fingendoti due persone diverse (hai fatto ridere te stesso? Mah). Ho eliminato la verifica dell’indirizzo mail perché qui non c’è censura e non voglio creare difficoltà a chi interviene, quindi va bene che usi indirizzi inventati, ma l’indirizzo IP è sempre visibile (come ovunque in rete) ed è lo stesso. Ma questo lo sai già. Comunque come vedi ho usato il plurale, così non vai in confusione.

      fabio

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