Le bici costano troppo?

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Entro in un terreno minato, lo so. E so che quanto sto per dire non vi troverà d’accordo.

Ma se avrete la pazienza di leggermi fino in fondo, forse mi perdonerete.

Le bici top di gamma hanno da tempo sforato la soglia psicologica dei 10000 euro, ora si viaggia fino a 15000 e oltre con facilità.

Quando nel 2014 ho acquistato la mia ultima bici da corsa, rompendo la sequenza per cui la cambiavo ogni due anni (ma col blog da gestire ho dovuto), presi quella che era quasi il meglio disponibile di quel marchio, me la feci dare con due ruote medie perché poi avrei messo quelle di altra marca (anche loro, all’epoca, il meglio disponibile), trovandomi un animale da gara, sul filo dei 6kg senza pedali e che sarebbe potuta scendere ancora se avessi scelto la trasmissione più leggera. Ma avevo finito il budget.

Che era basso paragonato ad oggi. In tutto, upgrade delle ruote compreso, spesi 3500 euro. A cui sottrarre i 2000 avuti per la bici precedente. 

Era una top di gamma, come usa dirsi; eppure paragonata alle bici attuali era ed è di una semplicità disarmante.

Un telaio in composito, trasmissione meccanica, freni a cerchio. 

Nessuna soluzione prodigiosa, solo un attento studio nella disposizione delle fibre e loro composizione che, unite alle geometrie, formavano una bici velocissima.

Tutt’oggi è una bici velocissima, persino troppo per me nello stato attuale, ampiamente competitiva coi prodotti moderni se in sella c’è un ciclista amatoriale.

Ma adesso è vista come roba del paleolitico, un ferro vecchio che nessuno vorrebbe.

Una attuale bici da corsa top di gamma è un concentrato di tecnologia come non si è mai visto nella storia del ciclismo. Pur facendo la tara, appunto, allo stato dell’arte di ogni epoca, quello che vediamo oggi appare fantascienza.

Studi avanzatissimi sui materiali e quindi sui processi produttivi; sperimentazioni di mesi (a volte anni) in galleria del vento; sistemi di smorzamento; elettronica, integrazione e così via.

Soluzioni mai viste prima anche nella foggia dei telai, per rispondere al meglio alle sollecitazioni della guida, tutta roba che solo a pensarla costa un botto, figuriamoci sperimentarla.

Tutto questo giustifica un prezzo finale così elevato? Si, in rapporto al prodotto finito.

Tutto questo serve a noi, pedalatori per passione? No, non è necessario ma è bello averlo, se il conto corrente ce lo permette.

Fino a qualche anno fa, come vi ho da poco raccontato, con una spesa tutto sommato modesta, potevi avere la bici dei professionisti.

Ora i professionisti pedalano su queste astronavi e la nostra emulazione ci costa troppo, spesso dobbiamo rinunciare.

Ma è qui il nocciolo della questione: l’evoluzione è stata così ampia e veloce che nel giro di pochissimo ci siamo ritrovati bici dalle prestazioni elevatissime, con conseguente innalzamento dei costi, da rendere le top di gamma oggetto del desiderio. Nel senso che molti di noi possono solo desiderarle.

Prima di menarmi, seguitemi un altro poco.

Vi porto in un altro mondo a due ruote e alla mia gioventù.

Non sono mai stato un fan di Honda, non mi piaceva la tendenza alla costruzione di moto “facili”, roba che a portarle al limite in pista ci riuscivano un poco tutti. Ero tipo da Ducati vecchia maniera, da GSX-R prime serie, quelle che o avevi il pelo o il gas lo chiudevi.

Insomma, ero un insopportabile presuntuoso snob, forse persino peggio di quanto sia adesso.

Poi un giorno, ero proprio agli inizi, non avevo ancora la tessera di giornalista e nemmeno l’età per guidare su strada moto oltre i 350cc, mi trovai davanti la Honda RC30.

Bellissima, curatissima, velocissima, costosissima.

Una vera e propria replica della moto superbike, solo coi fari in più.

Ho dovuto attendere qualche anno per poterci finalmente fare un giro sopra, nessun Direttore sano di mente avrebbe mai affidato un simile gioiello a un ragazzetto esaltato.

Prima di quel giorno avevo ormai accumulato abbastanza esperienza e il giusto timore, ma fu lo stesso una esperienza sconvolgente.

Che mi costrinse a rivedere tutti i miei parametri di giudizio, mettere in discussione le certezze di cui ero pieno.

Era, e secondo me lo è anche adesso, lo stato dell’arte della moto sportiva. Alla portata di pochi, non solo per il costo. Sono ragionevolmente convinto, a distanza di anni perché all’epoca mai lo avrei ammesso, di averne sfruttato meno della metà del suo reale potenziale. E sono generoso con me stesso.

Non ricordo la cifra esatta, ma credo orbitasse intorno ai 22 milioni di lire all’epoca della sua commercializzazione.

Che significava oltre 10 milioni in più di quella belva non addomesticabile che era la Suzuki GSXR 1100 e oltre 12 milioni in più della 750.

Più del doppio di una altra iconica sportiva, la Suzuki RG 500.

Moto sulle quali non solo non sfiguravi ma che erano prestazionalmente superiori alle capacità di guida del motociclista medio, amatoriale diciamo così.

Quello a cui stiamo assistendo oggi nel mercato ciclistico lo possiamo rapportare a quella RC30.

Che all’epoca era un esemplare replica, unico, per molti inarrivabile. Lo stato dell’arte, appunto.

Le attuali top di gamma tra le bici da corsa (e anche tra le Mtb) sono il meglio che sia possibile avere con le attuali tecnologie, un livello sopra ogni altra bici. Lo stato dell’arte anche loro ma non più esclusive, se non per il prezzo.

Sono di serie, se vogliamo.

Resto ancora nel settore moto per un altro paragone, perché l’obiezione che sento ripetere più spesso è che una bici costa più di una moto.

Vero.

Però, senza star lì a citare le economie di scala, i costi di progettazione e produzione, vi racconto un altro aneddoto.

Ricordando prima che un concessionario non guadagna sulla vendita, ossia guadagna poco. Guadagna sull’assistenza. Cosa che con le bici non avviene. Giusto per inquadrare meglio la questione prezzi.

Andiamo avanti.

Questa estate ho usato una moto cinese, una sport touring di media cilindrata come se ne facevano una volta e che adesso sono sparite, soppiantate dalle crossover.

A parte qualche sciocchezza elettronica, tipo uno scomodissimo per me quadro strumenti Tft (meglio i classici orologi) salire in sella è stato un tuffo nel passato.

Mi è sembrato in tutto e per tutto di guidare un’ottima moto di 20 anni fa.

E costa meno della gravel che ho da poco finito di testare.

Ma il punto è altro: motore, ciclistica, sospensioni, freni, assetto, tutta la moto insomma è perfettamente calibrata per le esigenze e le capacità del motociclista medio. Con un parallelo: del ciclista amatoriale.

Mi sarebbero serviti per forza i 150 e passa cavalli di una moto moderna per divertirmi? No.

Avrei avuto, oggi che non ho più né fisico né riflessi di prima, la capacità di gestire tanta potenza? No.

Avrei usato la moto superpotente al 20% massimo delle sue potenzialità.

E qui arriviamo alla nota dolente, quella su cui temo non sarete d’accordo, se mai almeno su qualcosa di quanto detto fino ad ora lo siate stati.

Le moderne top di gamma, sia strada che fuoristrada, sono ben oltre le nostre capacità atletiche.

Bello possederle, senza dubbio: ma abbiamo tutti noi la capacità di sfruttarle appieno? No.

Allora dove si crea il corto circuito?

In quello che ho detto all’inizio: prima potevano goderci il meglio sul mercato con una spesa ancora abbordabile e fa nulla che tanto non le sfruttavamo al massimo.

Ora il meglio ha subito una evoluzione tale che il suo costo è salito in proporzione.

Eppure alla fine sembra andiamo uguale sulla top odierna come su quella di quasi 10 anni fa, o poco più veloci, come mai?

Perché il motore della bici siamo noi, la bici ci aiuta (si, una top aiuta, senza dubbio) ma oltre un certo limite non andiamo.

Prima potevamo gratificare noi stessi nel permetterci la migliore bici sul mercato; ora per farlo dobbiamo avere molti più soldi da spendere.

Ma c’è una distanza siderale tra le bici top di prima e quelle moderne, e questo dobbiamo accettarlo. Non sono paragonabili.

Che poi a noi manchi la capacità di portarle al limite non significa sia colpa loro.

Che poi per divertirci non ne abbiamo realmente bisogno è un fatto che dobbiamo imparare ad accettare.

Se puntiamo solo alla top di gamma incappiamo in delusioni sicure.

La prima, statisticamente più probabile, è che tanti di noi non possono spendere 15000 euro per una bici. Che pure al netto di inflazione, aumento del costo delle materie prime, dei trasporti e caro vita in generale, sono un botto di soldi in più.

La seconda, difficile da ammettere ma reale, è che non abbiamo gamba per andare a tutta come quelle bici permettono.

E ripieghiamo, per ragioni economiche e non tecniche, su modelli più abbordabili.

Che sono godibilissimi e perfetti per noi.

Però ci manca la gratificazione di avere la bici dei nostri sogni.

Cosa che un poco fa girare le scatole pure a me, sia chiaro. Quando presi la mia ultima bici da corsa lo dissi che da un punto di vista tecnico non mi serviva e manco avevo gamba per usarla al limite: mi gratificava averla.

Insomma, i denari guadagnati onestamente, non sottratti alle necessità della famiglia, me li spendo come voglio. Ma non avrei però potuto permettermi, in proporzione, una attuale top di gamma. 

Tutto questo ci porta a due problemi, uno reale, l’altro solo potenziale.

Quello potenziale è la graduale scomparsa dai listini delle bici semplici, quelle medie.

In pratica l’allargarsi del divario tra la fascia più economica e quella top.

Non credo avverrà, sarebbe una politica suicida, i profitti si fanno sulle bici nella parte medio bassa del listino.

Le top generano poco in termini economici, molto in prestigio che pure è un valore.

Quello reale è l’eccessiva velocità all’innovazione, spesso fine a se stessa (la storia del ciclismo è piena di flop tecnologici, spacciati per soluzione definitiva alla loro presentazione), unita a una inutile volontà di aggiornare ogni anno la gamma.

Con interventi secondari, cambia un colore, un dettaglio, una scritta.

E siccome tutti vogliono l’ultima arrivata, hai un deprezzamento del modello dell’anno precedente che spesso il negozio ti ritira ma per amicizia, tu ci perdi un sacco di soldi, il mercato finisce col drogarsi e ci perdono tutti.

A iniziare da quelli che credono di guadagnarci.

Dove invece c’è un reale problema di costi elevati in proporzione al prodotto è nella fascia medio alta, quella appena un gradino sotto le top per capirci.

Abbiamo molte aziende che propongono una doppia versione di quel dato modello: telaio in materiale meno pregiato, allestimento globale più economico, prezzo al pubblico imbarazzante.

Qui manca una seria giustificazione, non ci si può trincerare dietro l’aumento dei costi delle materie prime o dei trasporti o la svalutazione.

Oggettivamente ci sono bici che per quello che offrono costano troppo. Punto.

Non puoi darmi una bici da 6000 euro con il sellino da 20 euro al pubblico, la piega in alluminio che manco al supermercato e le ruote da 2,5 kg.

Senza nemmeno la giustificazione di un nuovo telaio, che almeno significherebbe dover rientrare nei costi di progettazione, gli stampi per la produzione e così via.

Cambi colore e font della scritta sul telaio ma la bici è la stessa di due anni prima. Alcuni marchi nostrani sono maestri in questa pratica…

Chiudo con l’ultima notazione.

In generale questa situazione non mi piace, temo prima o poi scoppierà la bolla. Io da qui, da un osservatorio privilegiato, registro ciò che avviene e ve lo riporto ma non significa che sia d’accordo.

Ci sono innovazioni realmente utili a tutti i ciclisti amatoriali e con una corretta programmazione potrebbero nel tempo essere ammortizzate e divenire abbordabili.

Altre che stanno lì solo per vedere se c’è mercato o per crearne uno dal nulla, ma se lo fa Tizio, poi Caio si butta dietro per timore di essere tagliato fuori e noi stiamo cinque anni a sorbirci una scemenza finché non ci ripensano. L’abbiamo già passato.

Inoltre tanta velocità, come mai prima, sta facendo arrivare sul mercato prodotti non pienamente maturi. Mai come in questi ultimi 2/3 anni mi stanno capitando componenti con evidenti errori di progettazione, cosa inimmaginabile prima, vista anche la relativa semplicità della bici.

A volte a correre troppo veloce non si vede la svolta giusta al momento giusto…

E non dimentichiamo che il telecomando alla fine lo abbiamo noi in mano: se cambiamo canale e scegliamo con cognizione, cambia il programma.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Federico</cite>

    Letto fino in fondo e concordo in tutto!
    Avanti così e grazie per questo blog

  • <cite class="fn">Diego</cite>

    Sante parole!

  • <cite class="fn">Stefano Storoni</cite>

    I prezzi sono troppo alti, i ciclisti si sono stancati di aumenti (ricordo personalmente di avere acquistato una coppia di pinze freno nell’estate del 2021 su aliexpress a 200 euro, ora stanno a 300, identiche) e le vendite sono già in calo. Non è che la bolla prima o poi scoppierà, lo sgonfiamento è già in corso, vedi la crisi finanziaria di Wahoo ad esempio. Forse nel corso dell’anno vedremo una bella scrematura del mercato, e capiremo chi sono gli operatori che sanno interpretare il mercato e chi no.

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Per vedere l’ora uso un contatempo da 9,99 di decathlon. C’è chi ha un meccanico rattrappante da mille mille euro. Bene! Per il mio gusto (non esigenza, per quella basterebbe l’ora sul cell) mi basta quello che ho ma capisco a chi piace quello da mille mille! Piace anche a me ma non abbastanza da impiegare i miei soldi su di esso. Ma sono contento di avere il mio e di sapere che esistono altre opzioni a salire, bellissime e ingegnose che mi stupiscono con piacere. Tutto il resto sono congetture…

  • <cite class="fn">Lorenzo</cite>

    Bell’articolo….anche se ci mette un po’ ad arrivare alla parte interessante! Che è, e sul punto concordo a più non posso, quello in cui indichi il vero problema dei prezzi nella ipervalutazione della gamma media. Che la bici con il telaio in versione superfibramegapiù e il gruppo top del top che pesa 120 gr in meno dell’altro costi 10.000, 14.000, 16.000 € ci sta e non me ne frega niente. Ci sta perché chi è disposto a pagare per il massimo del massimo ci sarà sempre (e i produttori fanno bene a guadagnare quanto possono su questo tipo di cliente) e non me ne frega niente perché non spenderò mai una cifra simile (ma anche molto meno di una cifra simile) per una bici. Si tratta in sostanza di un mercato che ai più di noi non deve interessare. Il problema, come scrivi, e che poi ti trovi bici inequivocabilmente di fascia media che costano 6.000 €. E questo è inaccettabile. E siccome è inaccettabile io finché posso non compro una nuova bici. Se tutti, o quantomeno tanti di noi, faranno così state pur sicuri, qualcosa cambierà di certo.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Lorenzo, il fenomeno è destinato a sgonfiarsi, o almeno a ridimensionarsi.
      Lo stiamo assistendo nel mercato auto (non ci sono grosse differenze nelle dinamiche), le principali banche d’affari stimano una decrescita dei prezzi intorno al 10% già dal prossimo anno, di conseguenza anche l’usato dovrebbe calmierarsi (quello in negozio, tra i privati è una altra storia) e, infine, le case iniziano già ad avere un plus di produzione perché hanno fatto previsioni credendo che il boom sarebbe durato.
      Una bici nuova è sempre un bello sfizio da togliersi, aspettiamo…

      Fabio

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