Il doping e il (non) senso del ridicolo
Pochi giorni fa due trafiletti, quasi come fossero notizie di colore: il “re” delle Granfondo nostrane Fabio Cini trovato non negativo a un controllo dopo la vittoria alla gara amatoriale Ricordando Pantani, che vuol dire positivo ma bisogna scrivere così; in Spagna sempre in una gara amatoriale su 182 partenti 130 si ritirano appena scorgono gli ispettori antidoping.
Più che la presenza del doping a inquietarmi è che questi due episodi si riferiscono a gare amatoriali.
Non che giustifichi il doping se presente nel mondo professionistico: è questa massiccia presenza in gare che dovrebbero essere una festa a lasciarmi basito. Si, massiccia perché questi sono solo due episodi, gli ultimi in ordine di tempo: le cronache ne son piene e ne son piene da anni.
Mi ricordo ancora lo scalpore che fecero i controlli otto anni fa, in occasione della Granfondo Campagnolo Roma e la Tre Valli Varesine.
Smascherati i disonesti ci fu la solita sequela di proclami con le misure che sarebbero state prese, la solita sequela di ipocrite dichiarazioni sulle poche mele marce, la solita finta sorpresa nello scoperchiare il Vaso di Pandora.
A distanza di anni vediamo che nulla è cambiato, che il doping nelle gare amatoriali è presente e diffuso.
Qui alle falde del Vesuvio lo definiamo un segreto di Pulcinella, cioè un segreto di pubblico dominio e non è un ossimoro.
Eppure sarebbe facile sradicare il problema alla radice, se ci fosse la volontà.
Certo, servirebbero almeno nei primi tempi decisioni drastiche, come la squalifica a vita per i positivi.
Si potrebbe pensare a controlli obbligatori per i primi 20 o 50 o 100 classificati, le spese sostenute da un minimo aumento del costo di iscrizione. E per non penalizzare gli onesti basterebbe far firmare l’autorizzazione a prelevare dalla carta di credito il prezzo del controllo a chi risulterà positivo, come avviene per esempio in strutture turistiche per eventuali danni o in tanti casi di noleggio.
Si potrebbe modificare radicalmente la formula delle Granfondo, che ormai è chiaro non funziona, prendendo a prestito quanto vediamo già in Nord Europa o in tanti eventi gravel, ossia senza classifica o una classifica stilata solo su alcune tratte (brevi) cronometrate, lasciando che a vincere sia solo la voglia di pedalare insieme.
Si potrebbe accendere un faro sulle associazioni che organizzano, molte per statuto senza fini di lucro e capire che fine fanno i soldi in eccesso, se ci sono, perché a pensar male si fa peccato ma pochi potrebbero avere reale interesse ad adottare formule capaci di far calare il numero dei partenti.
Ho sempre detto che essere ciclisti non ci rende persone migliori, a volte e non sempre solo più magri.
Il nostro mondo a pedali è solo una porzione del più vasto mondo e troviamo identici vizi e virtù.
Ci si potrebbe interrogare su cosa spinga un ventenne a doparsi per battere un quarentenne che magari oltre agli anni ha pure i chili raddoppiati.
Ci si potrebbe interrogare sui cosa spinga uno qualunque a doparsi per vincere una coppa, spesso di suino.
Ci si potrebbe interrogare se esista un vantaggio concreto, economico, nel posizionarsi in zona alta della classifica
Ci si potrebbe interrogare sull’arroganza di chi mena vanto di doparsi, perché esistono.
Ci si potrebbe interrogare sulla pochezza di queste persone, sulla loro assenza di dignità e senso del ridicolo.
Ma sarebbero tutte domande le cui risposte non ci aiuterebbero, lasciandoci a concentrarci sul problema e non la soluzione.
Non sono un agonista, non mi sentivo tale nemmeno quando gareggiavo, ho sempre avuto come unico obiettivo battere me stesso, non gli altri.
E fu proprio la massiccia presenza del doping una delle cause per cui mi allontanai.
In questi anni nulla è cambiato se non le sostanze.
Ogni volta ripetiamo che è il momento di agire, di compiere scelte.
Ormai la fama delle Granfondo è compromessa da anni, eppure la partecipazione, almeno ad alcuni eventi, ancora alta.
Non spetta a me cercare soluzioni, io sono solo il cronista: ma un cronista appassionato che, malgrado tutto, ancora ama questo sport.
Buone pedalate
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.