Il 25 aprile della bicicletta

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Oggi, 25 aprile e Festa della Liberazione, è giusto celebrare anche lei: la bicicletta.

Perché fu strumento fondamentale nella lotta contro il nazifascismo.

Tanto importante da indurre le forze di occupazione naziste, con la fattiva collaborazione dello Stato fascista, a proibirne l’uso.

Perché?

Perché la bicicletta fu essenziale ai partigiani, alle staffette, per mantenere vive a attive le linee di comunicazione.

Il divieto imposto non fu mai o quasi rispettato, la bici era mezzo di trasporto delle classi operaie, fermarle avrebbe significato fermare loro e quindi la produzione, necessaria allo sforzo bellico.

Con gli uomini al fronte o in montagna furono le donne a sobbarcarsi il lavoro nelle grandi industrie.

Quale miglior sistema di mimetizzazione se non la bici per spostarsi da un luogo all’altro?

Bici che finiva col diventare indissolubile compagna, spesso meritandosi affettuosi soprannomi.

Donne e uomini che balzavano in sella per portare messaggi, viveri, munizioni se possibile.

A rischio della vita, perché questo significava lottare per la libertà.

Solo molti anni dopo si è saputo di Bartali staffetta partigiana; e da profondo cattolico conosceva la pietas, salvando molti ebrei dalla deportazione e meritandosi il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni.

Ma furono le donne le vere protagoniste, tante, tantissime che a ricordarle tutte è impossibile.

Cito alcune.

Onorina Brambilla detta “Sandra” ebbe un importante ruolo nella diffusione della stampa clandestina e ha poi raccontato: “Quando optai per combattere in città rinunciando all’idea, coltivata in un primo momento, di andare in montagna a fare la partigiana, non sapevo sparare, cosa che imparai con il tempo a fare, ma sapevo perfettamente andare sulla bicicletta, qualità decisiva per una gappista…. Facevo lunghi percorsi come se fossi una studentessa a spasso, vestita con camicette e sottane di seta, confezionate da mia madre che non so dove trovasse il denaro e il tempo per prepararle”.

Onorina pagò il suo impegno con l’arresto e la tortura, per fortuna fu liberata nel ’45, il 30 aprile. Ritrovò la sua bici, balzò in sella e poté godersi la sua Milano finalmente liberata. Anche grazie a lei.

Stellina “Lalla” Vecchio fu staffetta tra Milano e la Valsesia, portando materiale di propaganda, armi e munizioni. Insieme a Norina Brambilla ciclostilava volantini. Quando le affidarono l’incarico di staffetta di collegamento tra Milano e la Valsesia, ricorda: “La Valsesia per noi era già un luogo mitico, un posto dove erano forti e organizzati i gruppi partigiani, e allora dissi di sì….”Così iniziarono anche i miei eterni viaggi in bicicletta”. Durante una delle missioni rimase uccisa una sua compagna. Stellina di quell’episodio ricorda: “Sopraffatta da una tempestosa ondata di sentimenti, rabbia, dolore, sdegno, rimasi come impietrita. Riuscii a fatica a rimettermi in sella…Fatti una decina di metri dovetti però fermarmi perché non riuscivo più a pedalare. E fu allora che scoppiai in un pianto a dirotto e lacerante”.

Tiziana “Bianca” Bonazzola, studentessa dell’accademia di Brera pedalava su una Bianchi, teneva i collegamenti tra il centro e la periferia di Milano. Tiziana ricorda: “La bicicletta? Un mezzo mirabile…Infatti i gerarchetti locali, spiazzati dal partigianato su due ruote, avevano emesso delle ordinanze di sequestro”. 

Giovanna Zangrandi, la staffetta delle brigate comuniste, faceva la spola tra Cortina d’Ampezzo, dove insegnava e il Cadore, dove si erano concentrati i partigiani: i nazifascisti misero una taglia di 50 mila lire, tale era la sua abilità.

Tante altre meriterebbero di essere ricordate, ringraziate: perché se oggi abbiamo una donna per la prima volta alla Presidenza del Consiglio, se quella donna proviene da un retroterra che trova il suo humus proprio in quel regime che altre donne combatterono a rischio della vita e spesso perdendola, lo deve a loro.

Ma l’uso della bicicletta come strumento di lotta ha radici ancora più lontane alla lotta di Liberazione.

Trent’anni prima fu essenziale per i Ciclisti Rossi, che grazie alle due ruote ebbero un ruolo di fondamentale importanza per l’informazione ai contadini durante l’occupazione delle terre in Romagna e nelle Marche.

Naturale quindi divenisse poi necessaria ai partigiani.

Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, leggendario comandante dei Gap di Milano, così si espresse a proposito delle biciclette partigiane: “Senza le biciclette i combattenti delle Brigate Gap nelle città, durante la Resistenza, non avrebbero potuto esistere. Come avrebbe potuto operare a piedi un gappista in una città resa semideserta dalla guerra e presidiata dai nazifascisti? Senza la bicicletta tutta l’attività clandestina non avrebbe potuto muoversi con tutta quella relativa scioltezza con la quale si muoveva“.

Il 24 aprile del 1945 a Milano l’annuncio dell’insurrezione fu trasmesso ai vari punti della città grazie alle staffette in bicicletta.

Ricorda ancora Onorina Brambilla: “Ero giunta all’altezza di Porta Lodovica a Milano, quando vidi un posto di blocco fascista. Io ero in bicicletta e provenivo da Mazzo nei pressi di Rho, dove operava un gruppo di bravissimi gappisti. Grassi, uno di loro, mi veniva incontro ai limiti di un bosco e mi consegnava quello che avrei dovuto far avere ai compagni. In genere dinamite, rivoltelle, detonatori e bombe a mano. Avevo percorso viale Gian Galeazzo. Nel cestino di vimini, posto sul manubrio avevo due rivoltelle. Non potei certo cambiare strada, avrei dato nell’occhio, decisi di proseguire, ero impaurita, ma non avevo alternative. Giunsi in piazza, i marò erano ragazzi di 21-22 anni, volti da bambini, uno mi sorrise, risposi a mia volta, l’altro disse ’vai bella’. Restai inebetita, stentai a pedalare, ci volle un momento perché rientrassi in me e per riprendere a pedalare“. 

Uomini e donne che hanno combattuto per un ideale di libertà, per dare a noi venuti anni dopo un bene così prezioso della cui importanza troppo spesso perdiamo memoria.

Si, è vero, la bici fu una scelta anche obbligata, il modo migliore per passare inosservati sotto gli occhi del nemico, che non era solo straniero.

A me però piace pensare che la bicicletta, che porta in sé la libertà, fu scelta per questo.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Ezio Donati</cite>

    Ciao Fabio, seguo il tuo blog da tempo ma non avevo mai commentato. Mi sono deciso oggi perchè sono appena tornato da un cicloviaggio dedicato proprio al tema delle staffette partigiane. Eravamo una ventina di ciclisti, abbiamo pedalato tre giorni da Montefiorino (MO) a Bologna, Conselice e poi Ferrara, incontrando persone che con passione tengono viva la memoria delle radici della nostra Repubblica. Al piacere di pedalare insieme condividendo fatica, sole e pioggia, si è aggiunta la meraviglia della scoperta della ricchezza culturale che si nasconde anche in località sperdute della provincia. Ho apprezzato perciò particolarmente il tuo articolo, come al solito ben ragionato e ben scritto. Un saluto.

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