Bitcoin: l’inquinamento che non ti aspetti

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I Bitcoin inquinano come 16 milioni di auto a benzina.

Mentre noi siam qui a discutere di mobilità sostenibile, auto elettriche, trasporti green scopriamo che le navi da crociera sono una sciagura (non solo per il buon gusto) ma pure la criptovaluta più famosa è fonte di inquinamento.

Mi sono imbattuto in questa notizia, sono saltato dalla sedia. Anche perché capirci qualcosa non è facile.

Quindi mi affido, al solito, a studi svolti da chi ha competenza.

Il via libera la scorsa settimana agli Etf (Exchange Traded Funds) sui bitcoin a Wall Street ha fatto scattare il campanello d’allarme: non tra gli economisti ma tra chi si occupa di ambiente.

I nuovi Etf non si limitano a replicare l’andamento di futures, ma obbligano gli emittenti a comprare vere e proprie criptovalute, la cui creazione ha un impatto ambientale pesantissimo, in termini di emissioni di gas serra e di consumi idrici.

Il processo attraverso il quale nuovi bitcoin vengono messi in circolazione e che è fondamentale per convalidare le transazioni, creare nuovi blocchi senza l’intervento di un’autorità centrale e mantenere l’intera rete Bitcoin al sicuro, è chiamato mining.

Il mining di Bitcoin l’anno scorso ha assorbito circa 140 Terawattora di elettricità nel mondo (1 terawattora è pari a un miliardo di KW), calcola Digiconomist: il doppio rispetto al 2022 e più o meno quanto l’Italia intera consuma nell’arco di sei mesi. Secondo lo stesso centro di studi la criptovaluta prodotta per circa il 60% con fonti fossili in dodici mesi ha immesso in atmosfera quasi 77 milioni di tonnellate di CO2: emissioni paragonabili a quelle di 16-17 milioni di auto a benzina e pari a quelle dell’Oman, un Paese petrolifero che estrae oltre un milione di barili di greggio all’anno.

Anche i consumi di acqua legati alla creazione di Bitcoin sono enormi: 2.237 miliardi di litri nel 2023 secondo la stessa fonte, abbastanza per riempire quasi 900mila piscine olimpioniche. O per garantire la sopravvivenza a decine di milioni di persone, in un mondo in cui la siccità – anche per colpa del climate change  – danneggia sempre più spesso i terreni agricoli e dove l’accesso all’acqua potabile è difficile per almeno 2 miliardi di individui, secondo la Banca mondiale.

Una ricerca pubblicata nel 2022 su Nature calcolava che nel 2016-2021 la criptovaluta avesse provocato danni al clima per 12 miliardi di dollari, pari al 35% del suo valore di mercato nello stesso periodo.

Un altro studio, dello United Nations University Institute for Water, Environment and Health (UNU-INWEH), paragonava l’impronta carbonica del Bitcoin nel 2020-21 a quella di 190 centrali a gas. Per compensare le emissioni sarebbe servito piantare 3,9 milioni di alberi, ricoprendo un’area simile a quella della Svizzera. 

A Wall Street gli Etf sul Bitcoi hanno subito visto un boom di scambi, per un controvalore di 4,6 miliardi di dollari nella seduta del debutto, e in due giorni si sono registrati flussi netti positivi per 1,4 miliardi.

Lo strumento facilita l’accesso alle criptovalute, e in qualche modo “legittima” l’investimento, come ha sottolineato Larry Fink, ceo di BlackRock.

Standard Chartered Bank giudica “ragionevoli” flussi tra 50 e 100 miliardi di dollari nel 2024 e un prezzo della criptovaluta che potrebbe quadruplicare entro la fine del 2025, spingendosi a 200mila dollari.

Ma non vi dico questo perché mi sono trasformato in un analista economico o in novello squalo di Wall Street.

Lo dico perché un tale successo potrebbe essere pericoloso non solo per l’ambiente, ma anche per la sicurezza energetica in alcune aree del mondo. In parte è proprio per questo che la Cina due anni fa ha messo al bando le cripto.

Oggi il tema suscita allarme soprattutto in Texas, dove un’alta e crescente concentrazione di “criptominatori” (ossia quelli che si occupano del processo di mining, i miner – minatori, appunto) si scontra con la presenza di reti elettriche inadeguate, che espongono a frequenti blackout. Nei giorni scorsi proprio in coincidenza col lancio dei nuovi Etf Ercot, il gestore della rete texana, chiedeva agli utenti di tagliare l’impiego di energia perché un’ondata di gelo minacciava di mettere il sistema al tappeto.

È ancora vivo il ricordo dell’inverno 2021, quando una tempesta di neve e ghiaccio investì il secondo Stato per popolazione e superficie degli USA, lasciando al buio milioni di persone e paralizzando molte imprese. Con conseguenze anche in Italia per la difficoltà di approvvigionarsi di materie plastiche.

Il Bitcoin preoccupa viene creata con un processo di validazione molto dispendioso in termini di energia: il “Proof-of-Work”, che in estrema sintesi (e semplificando molto) mette in competizione la capacità di calcolo di una serie di super-computer, che in genere si allacciano alla rete elettrica.

Esistono anche metodi di produzione meno energivori, come il “Proof-of-Stake”, adottato dal 2022 da Ethereum, la seconda criptovaluta al mondo. Ma Bitcoin che ha oltre il 40% del mercato globale in termini di capitalizzazione resiste al cambiamento.

L’impiego di energia rinnovabile, vantato da alcuni “produttori” (mica posso chiamarla Zecca…), al momento non rappresenta una soluzione fa notare Ben Hertz-Shargel, global head of grid edge di Wood Mackenzie perché i computer che “fabbricano” Bitcoin, a differenza dei grandi centri di calcolo di Amazon, Meta o Google, oggi non dispongono di impianti di generazione dedicati: “Ogni unità di energia pulita che proviene da centrali eoliche o solari della zona semplicemente viene tolta ad altri utenti. L’effetto netto è che la domanda complessiva sulla rete aumenta e deve quindi essere soddisfatta con il dispacciamento di elettricità da fonti fossili, costosa e con alte emissioni“.

Ho cercato di semplificare al massimo il lato economico, questo è un blog di biciclettine con un focus sempre aperto sui diversi temi ambientali, non un sito di economia e finanza.

Ma l’argomento è rilevante, non solo per il (catastrofico) dato ambientale ma perché ci fa comprendere che la via per (tentare di) salvare il Pianeta si dirama in infiniti sentieri, spesso sconosciuti, quasi sempre sottovalutati.

E così ci rendiamo conto che è tutto il modello di sviluppo da cambiare, non solo i nostri comportamenti. 

Sono tantissimi i fronti di guerra, pochissimi quelli che li riescono a vedere sulla mappa. 

Buone pedalate

Ps. Ero partito con un articolo su come l’escalation in Yemen si rifletterà anche nel nostro mondo a pedali, vi tedierò la prossima volta, questa cosa dei bitcoin mi ha sorpreso e volevo parlarne subito. Tranquilli, fra poco arrivano anche articoli di Officina e test, sempre un blog di biciclettine sono, però sono un blog diverso…

COMMENTS

  • <cite class="fn">Franco</cite>

    Ero al corrente dello smisurato consumo di energia legata al mining, ma vorrei sottolineare anch’io che ci sono tante cose che nascondono un impatto ambientale del quale neanche sospettiamo. Per esempio, se ricordo bene, ad una email sono associati 20 grammi di CO2. Consideriamo bene quindi quanti mettere in CC.
    Grazie Fabio per questi spunti di riflessione.

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