Una giornata (diversa) al Giro d’Italia

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Giro d’Italia, tappa Napoli-Napoli, il mio onomastico, potevo restare sul divano? Ovviamente no.

D’accordo, ciclicamente brontolo contro il Giro, il Tour, il ciclismo moderno figlio di tatticismi esasperati e business, il circo ambulante degli sponsor e tutto il resto.

Poi basta che il mio radar intercetti l’avvicinarsi della carovana che salta tutto e io devo essere lì. Punto.

Chiunque di noi abbia mai assistito a una tappa sa che ti godi tutto tranne la gara; quello che succede in corsa non lo sai a meno di non trovare uno schermo per seguire la diretta Rai. 

E se non riesci a beccare una buona postazione, ore prima, l’arrivo non lo vedi e se lo vedi succede tutto con tale rapidità, se è una volata, che fino all’annuncio delle speaker tu chi ha vinto puoi solo provare a intuirlo.

Se non sei interessato all’arrivo ma solo al passaggio del gruppo, anche qui devi posizionarti ore prima, soprattutto se hai scelto un punto potenzialmente importante, pochi secondi o qualche minuto per il passaggio dei corridori a seconda se sei in piano o su una salita dura, ed è finita lì.

Ne vale la pena?

Per me si.

Ma non per il passaggio del gruppo, per vedere loro fendere il vento, che poi spesso proprio al passaggio, dopo ore di attesa, finisce che vedi poco o nulla nella selva di braccia tese a impugnare i telefoni per i video d’ordinanza.

No, il bello è tutta la giornata, passarla in compagnia di appassionati come te, giocare a chi la spara più grossa, essere tutti tecnici, preparatori, allenatori, uomini da ammiraglia, strateghi di corsa.

Tu sai che è tutto un teatrino, sai che in mezzo a tanta gente ne becchi di quelli che si credono per davvero tecnici sopraffini o addirittura pedalatori più forti di quelli che siamo lì ad aspettare, ma accetti il gioco, ci scherzi su, a volte persino litighi.

Poi passa il giro di birra, il richiamo di quello che ha acceso la brace, spunta fuori un tagliere dove miracolosamente si moltiplicano salumi e formaggi e si finisce tutti in coda alla damigiana di vino, che poi arriva il gruppo e tu magari sei pure in abbiocco post prandiale. 

Bisogna essere inveterati cinici per non lasciarsi trascinare da tutto questo.

Io però quest’anno non mi sono fatto trascinare, non per cinismo ma per fare un regalo a un amico, ad Antonello che da tempo mi segue nelle vicissitudini di questo blog, si accolla le immagini per i test, fra pochi giorni un test gestito tutto da lui: e soprattutto subisce le mie invettive, anche se devo dire che su queste poi ricambia con gli interessi.

E così ho chiesto due pass per l’hospitality sulla linea di arrivo, 100 metri dal traguardo, ospite per l’occasione di mamma Shimano.

Posizione rialzata e privilegiata, buona visuale sul traguardo, catering, schermi, prese per ricaricare i telefoni, insomma roba da vip.

In realtà potrei godermela ancor di più con un pass stampa, ma in tanti anni non ho mai sfruttato la mia permanenza nell’Albo dei giornalisti per entrare da qualche parte. Anzi, lascio sempre la tessera a casa e tutti mi chiedono perché.

Perché sono un appassionato, se vado a un tappa o a un concerto o altro, ci vado perché mi piace e voglio vivermela da appassionato.

Però ogni tanto fa bene cambiare e poi, l’ho detto, volevo fare una sorpresa all’amico Antonello, sapendo già che poi per tutto il tempo mi avrebbe punzecchiato. 

E così, dopo la mattinata al foglio firma, vagando tra gli stand…

…dopo aver avuto Nibali a mezzo metro ma diviso dall’insormontabile barriera di due tifosi colombiani con cappelloni che i sombrero a confronto sono berretti e bandiera 3×2 a ulteriore schermo…

…assistito alla presentazione delle squadre…

…goduto del passaggio ravvicinato dei campioni…

…calato con nonchalance il pass intorno al collo ci siamo diretti alla linea di arrivo e alla nostra hospitality, non prima di esserci gustati un caffè all’esterno perché, non me ne vogliano gli infaticabili e gentilissimi uomini del catering, sul caffè noi partenopei siamo viziati e intransigenti. 

Ci siamo andati con calma, quando mancavano poco più di 40 km all’arrivo, perché io comunque non potevo rinunciare a stare per strada e godermi una perfetta giornata di sole e le bellezze del Golfo.

Un rapido giro di saluti, due chiacchiere con l’amico Carlo della storica Milano cicli, che oltre a essere valente ciclista è abile scopritore di leccornie “la dietro c’è la lasagna, è bbona” e ovviamente con ragione, ho raggiunto la mia postazione sopraelevata, lasciando Antonello ad armeggiare col cannone fotografico e la ricerca della sua migliore postazione per fotografare.

La mia serafica indifferenza è durata un battito di ciglia.

Mi sono guardato intorno, identificato subito potenziali appassionati, immediatamente attaccato bottone e si, ho pontificato da tecnico, preparatore, allenatore, uomo da ammiraglia, stratega di corsa.

Trovando chi mi rispondeva con le sue medie a velocità siderali, chi con strampalate teorie sull’evoluzione tecnica delle bici, chi vantava trascorsi eroici in gare di paese, chi il Vesuvio lo faceva eruttare sotto la potenza della propria spinta sui pedali: si, mi sono trovato nel mio elemento!

A 20 km dall’arrivo il distacco dei fuggitivi era appena sotto i due minuti, a 10 km dall’arrivo appena sopra il minuto.

Al mio annuncio sul ritardo che scendeva tra fuga e gruppo, un coro di “Nun e ripijann'”, che tradotto significa non li riprendono.

E lì ho dato il meglio di me stesso, sfoggiando boria, sicurezza, snobismo, aristocratica consapevolezza: “li riprendono proprio sotto ai nostri occhi”.

Vinto l’impulso da parte dei miei ascoltatori di buttarmi 6 metri sotto, io comunque serravo con forza la balaustra pronto a ogni evenienza, siamo tornati a “il valico di Chiunzi lo salgo con la 50”, “la costiera amalfitana la faccio passando le moto all’esterno”, “la sera vado a Sorrento a prendere il caffè e torno”, insomma, il clima giusto.

Fino all’ultimo chilometro, con sirene e carovana a transitare sotto di noi per annunciarci l’imminente arrivo.

In lontananza una moltitudine colorata, il sole del pomeriggio a rimandare bagliori dalla selva di caschi, il nostro teso silenzio a fare da contrappunto ai suoni della corsa.

De Marchi che si volta verso Clarke, come a dire ce l’abbiamo messa tutta…

Il gruppo che li fagocita, il lampo del suo passaggio, l’esplosione dell’arrivo.

E la benedizione finale che ricevo dal vecchio ciclista, quello che fa eruttare il Vesuvio ogni volta che lo scala, che mi batte la mano sulla spalla “ma allora ne capisci qualcosa, bravo guagliò”.

Perché alla fine non conta se sei sulla strada o nell’oasi Vip, se ti trovi in mezzo ai ciclisti ti diverti, sempre.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Adriano Franceschetti</cite>

    Tutto vero e tutto come deve essere, senza se e senza ma.

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Approfitto di questo spazio, propio il giorno prima della fine del Giro, per diradare un dubbio che ho da molto tempo: perché la tappa finale di una grande gara (Giro, Tour, Vuelta) è sempre descritta come una ‘passerella’? Due-tre minuti sono sufficienti a garantire il successo? Un guasto tecnico, una scivolata, una giornata ‘no’ non potrebbero tutt’altro che ‘garantire’ la passerella finale? Mi sfugge ….
    Grazie !

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Adriano, scusa il ritardo nella pubblicazione, oggi me la sono presa di vacanza dal blog. Si, hai ragione ma già da molti anni i grandi giri hanno scelto la politica dell’ultima tappa facile. Dopo tre settimane ci sta che giocarsi tutto l’ultimo giorno non è il massimo. Poi certo, ci sarebbe da obiettare sulla strana scelta di oggi e sul fatto che, tranne due fughe, le prime due settimane non sono state coinvolgenti. Ma ormai siamo quasi ad archiviare questo Giro 2023. Non vale invece il discorso incidente meccanico o caduta perché tranne in caso di ritiro forzato il fair play che ancora resiste impedisce di profittarne proprio l’ultimo giorno. Si aspetta la maglia rosa, o gialla. E mi sembra giusto così. Il problema alla fine non è la passerella dell’ultima domenica: è la troppa tattica, lasciare che gli uomini di classifica non abbiano ragione di esporsi nei primi 15 gg, ridurre sempre tutto agli ultimi chilometri delle ultime tappe di montagna, facendo passerella nei primi 14 gg. Ecco, questo è da rivedere. Fabio

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