Tutto in 15 minuti

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La città da 15 minuti permette di avere tutto a portata di mano, un quarto d’ora piedi o in bicicletta.

Scuole, uffici, negozi, servizi, sanità.

Non è però una città in piccolo bensì la “parcellizzazione” delle metropoli, capovolgendo lo schema attuale che vuole un centro, il salotto buono come usa dirsi, e periferie dormitorio slegate dal contesto urbano. Puntando a ridurre al minimo l’uso delle auto e quindi l’emissione di gas serra.

Perché le metropoli occupano il 2% della superficie terrestre ma ospitano più di metà della popolazione, assorbendo oltre il 70% della produzione di energia ed emettendo circa l’80% dei gas serra. 

La città 15 minuti teorizzata dall’urbanista Carlos Moreno, è utopia? Forse cinque o sei anni fa poteva apparire tale, oggi no.

Oggi questa idea è già realtà, grazie al forte impegno nato tre anni fa in Argentina durante il C40 Summit, evento annuale del Cities Climate Leadership Group, rete nata nel 2005 e formata oggi da 97 centri urbani “di peso”. Metropoli e megalopoli, Londra, Los Angeles, Parigi, Bogotà, Tokyo, Cape Town e così via. Anche Milano e Roma.

Obiettivo: trovare soluzioni per abbattere le emissioni inquinanti, evitare che la temperatura del mondo superi quel fatale grado e mezzo stabilito dalla Conferenza di Parigi del 2015, modificare l’impianto urbanistico per avere una società più equa e sostenibile.

Si, anche equa e sostenibile e i 15 minuti diventano un pilastro nella pianificazione proprio perché eliminano la dicotomia tra un centro ricco e ben servito e le periferie spoglie e disumanizzanti.

Ora uno dirà: bella forza ma mica siamo su un terreno vergine con città da costruire, qui viviamo, letteralmente, su millenni di storia.

Sbagliato.

Apripista è stata Parigi, quindi non proprio una città nata ieri e che al momento in cui scrivo conta 12 milioni di abitanti.

Racconta la sindaca della capitale francese Anne Hidalgo: “Le metropoli sono responsabili della maggior parte delle emissioni di gas serra ma sono anche parte della soluzione. Una chiave è renderle più a misura delle persone e per farlo siamo partiti dalla scuola. Che si abbiano figli o meno poco importa, è quella che detta il ritmo: alla sua apertura la mattina è legata l’apertura di uffici e negozi. Con lei la città si mette in moto. L’abbiamo trasformata nella capitale dei quartieri, in un modulo che ne ha una ogni trecento metri circa, dagli asili nido ai licei. Per prima cosa le abbiamo rese sicure, pedonalizzando la via sulla quale affacciano. Questo attrae esercizi commerciali in quelle strade, aumentando l’appetibilità dell’area anche per gli uffici. E più si trasferiscono attività nelle singole zone, meno è necessario usare la macchina. Si riducono le emissioni, si spreca meno tempo negli spostamenti, si risparmiano soldi, si alza la qualità della vita“.

Seppure nessuno possa togliere merito a Moreno per la sua teorizzazione, questa comunque ha radici lontane. Già nei primi anni sessanta l’antropologa americana Jane Jacobs scrisse il saggio “Vita e morte delle grandi città”, un classico della sociologia urbana. L’autrice, capovolgendo i dogmi imperanti, fa si che i tradizionali principî urbanistici vengono rovesciati: all’ortodossia della disciplina la Jacobs preferisce i dati eterodossi di una misura umana, perché l’organismo reale della città deve valere più delle regole astratte. I pianificatori, invece, condizionati dai loro codici operativi e da una vera e propria ideologia avulsa dai fatti, finiscono per separare la progettazione dalle esigenze della comunità. Si creano così degli squilibri che, aggravandosi, rischiano di portare le metropoli alla morte.

Ma abbiamo anche esempi nostrani e più vicini nel tempo.

Nel 2013 il professore di urbanistica Luca D’Acci aveva lanciato il progetto di una città differente già nel 2013 chiamata “isobenefit urbanism”. 

Seppure sul piano della comunicazione “città da 15 minuti” sia decisamente più efficace, l’idea di base è identica: avere in tutte le aree cittadine gli stessi servizi, a portata di mano. Quando presentò il progetto a un convegno gli diedero, scherzando ma fino a un certo punto, del comunista. Perché da noi funziona tristemente così.

Torniamo ai giorni nostri.

L’impulso dato alla conferenza di Buenos Aires del 2020 ha subito uno stop con la pandemia.

Uno stop salutare, perdonate l’implicito ossimoro. 

Ha fatto scoprire o rivalutare a seconda dei casi l’importanza del nostro tempo, di come lo usiamo, delle priorità: soprattutto di come lo sprechiamo.

Un tempo sacrificato perché costretti ad ore nel traffico con la scuola lontana, la spesa da fare per forza al centro commerciale posto a chilometri di distanza coi negozi di quartiere ormai chiusi, i cinema tutti multisala enormi e per questo edificati fuori dai centri urbani e così via.

Secondo uno studio svolto dalla statunitense Inrix, che ogni anno stila il GTS, acronimo per Global Traffic Scoreboard, nel 2022 la città in cui si perde più tempo in auto è Londra: 156 ore, corrispondenti a sei giorni e mezzo. Seguono Chicago (155), Parigi (138), Boston (134), Bogotà (122). Tra le italiane, una è nella top 10 e dieci tra le prime 100. 

Ve le riporto.

Palermo è la città italiana più congestionata: 121 ore all’anno perse (poco più di cinque giorni) con un +11% rispetto al 2021. Il capoluogo siciliano è decimo nel ranking generale, ma sesto in quello dei ritardi da traffico, preceduto dalle sole Londra, Chicago, Parigi, Boston e Bogotà.

Roma, invece, è seconda in Italia e tredicesima nel mondo. Nella capitale si perdono in coda 107 ore all’anno, guidando a una velocità media di 20,92 km/h. Dati che confermano l’anno precedente, anche se nel 2022 si registrava un 36% rispetto al periodo pre-pandemia. Va infatti considerato che, in gran parte dei centri urbani, la quantità di traffico non è ancora tornata ai livelli precedenti al 2020, grazie anche a soluzioni quali il lavoro ibrido o da remoto.

Terza città italiana per ingorghi è Torino (al 29° posto a livello globale) con 86 ore perse e velocità media di 16,09 km/h. Seguono Milano (59 ore, 24,14 km/h) e Genova (61 ore, 19 km/h), rispettivamente 61ª e 66ª al mondo. A Milano il maggior decremento rispetto al periodo pandemico: -40%. Completano la top 10 nazionale Verona, Napoli, Firenze, Busto Arsizio (prima tra le piccole) e Bari. Le più virtuose: Agrigento (14 ore), Vercelli (14) e Asti (6).

Messa così, l’intuizione di Carlos Moreno appare persino banale. 

Riporto quanto disse nel 2020: “…per troppo tempo quelli di noi che vivono in città, grandi e piccole, hanno accettato l’inaccettabile. Accettiamo che le città deformino il nostro senso del tempo perché dobbiamo sprecarne così tanto solo per adattarci all’assurda organizzazione e alle lunghe distanze della maggior parte delle metropoli odierne. Perché siamo noi a doverci adattare, abbassando la nostra potenziale qualità di vita? Perché invece non è la città a rispondere ai nostri bisogni? Perché abbiamo lasciato che le città si sviluppassero così a lungo nella direzione sbagliata?

Una verità talmente semplice che vien da chiedersi perché ci abbiamo messo tanto ad arrivarci.

Una verità fatta propria da una altra donna, la sindaca di Bogotà Claudia López Hernández. Con motivazioni anzitutto sociali.

Queste le sue parole: “Un terzo dei lavoratori in Colombia non ha un contratto di lavoro né assistenza e in un’economia del genere fatta di sommerso e dove i diritti non vengono riconosciuti, a pagare di più sono le donne, specie quelle che vivono nelle periferie povere. Avere servizi e infrastrutture ovunque, raggiungibili al massimo in 15 minuti, dalla scuola ai centri sporti e culturali, dagli ospedali ai negozi, vuol dire sollevarle dal doversi occupare costantemente dei figli e della casa. Vuol dire dare loro il tempo. Quello per completare gli studi, per divertirsi, per acquisire gli strumenti giusti per migliorare la propria condizione economica, per non dover continuare a dipendere da un uomo. Tutto questo è per noi la città da 15 minuti“.

Per quanto possa apparire strano, sono più o meno le stesse motivazioni che hanno spinto l’ex sindaco di Los Angeles Eric Garcetti, in carica dal 2013 al 2022.

Una delle città più automobilistiche del mondo, 13 milioni di abitanti su un’area di 12.000 kmq (10 volte la nostra Capitale, per farci una idea), una volta vantava il miglior trasporto pubblico degli States. Anni di abbandono, decadenza, nessun investimento. Fino al secondo mandato di Garcetti, speso tutto proprio investendo sul trasporto pubblico con ben 15 nuove linee di metropolitana. 

Non siamo ancora ai 15 minuti ma gli investimenti fatti e quelli programmati in vista delle Olimpiadi del 2028 permetteranno di ridurre drasticamente i tempi e i costi di trasporto.

Si, anche i costi perché l’idea è la completa gratuità del trasporto pubblico. 

Differente la scelta di Barcellona. Ancora una donna, Ada Colau che ha adottato i “superblocchi”.

Il primo è stato El Born, nel centro storico. Sono zone di quattrocento metri di lato all’interno delle quali possono accedere solo i veicoli dei residenti e vige il limite di dieci chilometri orari, oltre ad avere alcune vie pedonali. Dei mini quartieri circondati da strade con una percorrenza più alta e dotati di servizi. Secondo la sindaca catalana sono i tasselli di una città nuova che passa per la creazione di spazi verdi, che a Barcellona sono stati raddoppiati con un abbattimento del 24% delle emissioni, ottenuto grazie all’aumento delle piste ciclabili, aree pedonali e potenziamento del trasporto pubblico per dare modo a chi si deve spostare fra un blocco e l’altro di farlo evitando l’uso dei veicoli privati. Un modello che ora Berlino ha importato in forma mitigata nella zona di Bergmannkiez.

Questi solo alcuni esempi, che mostrano il fermento e dimostrano come realtà molto diverse tra loro possono raggiungere gli stessi obiettivi purché ci siano volontà, lungimiranza e nessuno steccato ideologico.

La formula della città 15 minuti è, a usare le parole di Moreno, “un progetto open source“. Chiunque può prenderlo, usarne le parti che gli servono, migliorarlo, adattarlo al contesto in cui applicarlo.

Ultime mie considerazioni in chiusura.

La prima: sono consapevole che lo stare battendo da inizio anno su mobilità sostenibile e salvaguardia del pianeta può annoiare chi viene qui alla ricerca di articoli tecnici o test. Sapete però che non scrivo solo quelli. Non sono un influencer e spero di non diventarlo mai. Ma ho un seguito, seppure le ragioni per cui accade restino ai più ignote. Dinanzi ai repentini cambiamenti cui stiamo assistendo, non solo sul clima ma sociali, politici ed economici, ognuno di noi ha il dovere di agire, mettendo a disposizione ciò che sa fare. Io so fare poco ma me la cavo nello svolgere ricerche e poi tradurle in articoli di solito comprensibili. Conoscere è il passo fondamentale per prendere decisioni giuste e io avverto il dovere di fare, o almeno provare a fare, informazione libera e corretta. Noi siamo ciclisti, che non ci rende automaticamente ecologisti ma forse più attenti a questi temi si. Preferisco lasciare ad altri il fardello di interrogarsi sulle gambe villose di Roglic o pubblicizzare programmi per dimagrire in bicicletta.

La seconda: durante la stesura ho consultato molti studi e ricerche, imbattendomi anche nella cronaca. Carlos Moreno e Anne Hidalgo, e con loro altri tra urbanisti e amministratori locali, sono stati minacciati di morte, accusati di essere esecutori al servizio di non meglio specificate entità che intendono rinchiuderci in ghetti. Le città 15 minuti sarebbero un complotto per segregarci, controllarci e infine limitare le nostre libertà personali. Verrebbe da sorridere se non fosse tragicamente vero. Col rischio che la tragedia non divenga farsa perché a questo popolo di complottisti troppi politici guardano con favore per ottenerne il consenso. E anche questo è un pericolo.

La terza: la maggior parte delle metropoli che hanno messo in piedi progetti per la città 15 minuti sono amministrate da donne. Ne ho citate solo alcune, lasciate fuori altre (ma una menzione avrebbe meritato anche Adanech Abiebie, sindaca di Addis Abeba), a dimostrazione dell’infondatezza del pregiudizio che vorrebbe l’altra metà del cielo priva di senso pratico. 

La prossima volta ci chiederemo se la bici è davvero così ecologica, quella successiva scopriremo in che condizioni è L’Europa per l’approvvigionamento delle terre rare (che servono – anche – per la produzione di batterie e magneti)…

C40

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">edoardo</cite>

    Ancora non ci sono riuscito!
    Ancora non ci sono riuscito a leggere un tuo articolo che non mi piacesse.

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Dopo aver passato una buona parte della mia vita fin’ora dipendente da mezzi pubblici, per fortuna spesso efficienti, per sostituire l’auto (che comunque non era sempre un’opzione, ad es da squattrinato studente), l’ultimo trasloco mi ha depositato appena fuori dal centro di una cittadina da 50k abitanti e con ottimo accesso a piedi a tutto il necessario. Per quel poco di più lontano c’è la bici (lavoro, supermarket) e la stazione del treno è letteralmente a 7 minuti a piedi per i viaggi più lunghi. Non esattamente una “città a 15 minuti” pianificata in partenza, ma nella sostanza c’è poca differenza.
    Non dover più dipendere da orari fissi dei mezzi pubblici per ogni cosa e poter lasciare l’auto in rimessa (fin troppo, batteria scarica 2 volte in due anni XD ) sembra quasi un lusso. Alla fine son piccole cose di vita quotidiana, però il miglioramento si nota

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Beh, quella della batteria scarica è disavventura che conosco bene…
      La mia auto in 16 anni ha percorso 56.000km, senza il blog sarebbero stati molti meno (è il veicolo assistenza/trasporto test in trasferta, più bici, componenti ecc), abito in centro e teoricamente dovrei avere tutto a portata di mano ma non è così, non è per questo che non uso l’auto.
      Non la uso perché mi sposto in bici, ma chi abita qui, in zona, vi è costretto. Trasporto pubblico ridicolo, servizi dislocati in tutte altre zone, spesso non servite proprio dal trasporto pubblico, quel poco che c’era è stato spostato lontano e così via.
      Oltre al fatto che qui, credimi perché posso testimoniarlo sulla mia pelle, spostarsi in bici è diventato pericoloso, molto pericoloso.
      Certo, buona parte degli spostamenti in auto non sono proprio necessari ma se non si agisce per renderli inutili, pretendere che tutti vadano in bici o a piedi è impossibile.
      Ogni città ha le sue criticità e richiede soluzioni diverse, non esiste uno schema universale.
      Per questo mi piace il progetto dei 15 minuti, che è l’obiettivo: come raggiungerlo ognuno seguirà la sua strada. Spero.

      Fabio

      • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

        Ma infatti la considero una fortuna, non un merito. E sono convinto che in tanti, godendo dei benefici di una situazione simile, sarebbero più disposti a ridurre o a rinunciare a spostamenti in auto.

        • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

          Esatto: serve creare le condizioni, perché se ci sono, col tempo la gente le apprezza.
          Pensa alle tante proteste negli anni scorsi a ogni pedonalizzazione; ora che ne hanno capito i benefici, tutti le vogliono. Se fatte bene, non come la fesseria che volevano fare a 100 metri da casa mia…

          Fabio

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