Il Pantadattilo

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Il 14 febbraio per tanti è il giorno degli innamorati: per me da quasi vent’anni è invece quello in cui Pantani ci ha lasciato.

Lo hanno soprannominato in molti modi, il Pirata, l’Elefantino, lo Scoiattolo, il Diavoletto.

Quello che però ho sempre preferito glielo attribuì Gianni Mura: Pantadattilo.

Pantani era un ciclista d’altri tempi, un fossile. Con una fantasiosa crasi Mura riuscì a collocare il mio idolo in un mondo lontano, misterioso e fantastico: il mondo dove nacquero miti e leggende.

Era il Tour del 1998, undicesima tappa.

Mancano 13 km all’arrivo, Marco è in ventesima posizione. Uno scatto, Ullrich tiene botta con l’aiuto di Jalabert.

Secondo scatto del Pantadattilo, Ullrich deve mollare. 

E ricordo che poco prima il Kaiser aveva forato ma Pantani, dal gentiluomo che è sempre stato, si guardò bene dall’attaccare profittando della disavventura.

Mancano sei chilometri, Pantani è avanti “…sventolano le bandiere basche, quelle italiane, quelle francesi, quelle svedesi. Pantano è l’esperanto del ciclismo. Lo capiscono i bambini e i vecchi allo stesso modo, lui è la biglia dei bambini, il loro cartone animato, lui è la consolazione dei vecchi, il ricordo che si salda alla realtà. Lui è terribile quando attacca, è l’ululato nel bosco e il soffio che fa tremare le candele, è selvaggio e solitario, ostinato e intrattabile, ma con una sua mistica precisa della corsa, della salita, della fatica. Ed è fatto come è fatto, una biglia d’uomo andata spesso fuori pista, fuori conoscenza, fuori strada. può rasarsi e mettersi tutti gli orecchini e le bandane che vuole, per me non sarà mai il Pirata, troppo facile, è più complesso, Pantani. Lo sa Martinelli quando dice  – Marco ha qualcosa in testa molto più forte di quello che ha nelle gambe – . Non è un tipo semplice uno che dice , testuale: – In salita vado forte solo per abbreviare la mia agonia –.”.

Solo un altro grande come Mura, che ho appena citato in questo stralcio, poteva con poche parole racchiudere e comprendere la complessità di Pantani.

Pantani come tutti i grandi ha attirato contro di sé l’invidia e l’acrimonia del mediocri.

Alla fine di quella tappa, in conferenza stampa, disse: “So che posso andare più forte, ma non ho voluto usare tutte le energie. Avevo deciso di attaccare prima ma Ullrich ha forato e ho aspettato che rientrasse. Non è sportivo attaccare uno che fora“.

Apriti cielo! Per fortuna non era già periodo di social imperanti e leoni da tastiera pronti a sputare veleno frustrati dalla loro nullità. Ma ci fu comunque un duro attacco a Pantani.

Superbo, spavaldo, spaccone. E via di questo passo.

E voglio ricordare che stava pedalando un Tour dopo aver vinto il Giro.

Tour che poi vincerà, siglando la doppietta che solo i migliori hanno firmato.

Vedere Pantani pedalare era qualcosa che andava oltre il puro gesto atletico.

Era l’essenza stessa del ciclismo, di quel ciclismo che io ho amato: la sofferenza solitaria dell’uomo che non accetta di fare un passo indietro, la forza per combattere le proprie umane debolezze, l’orgoglio di battere ogni volta se stesso prima degli avversari.

Il 14 febbraio è la festa dell’amore. E allora vi chiedo: come si può non amare un uomo così?

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Luca Mazzarese</cite>

    Ero al casello della tangenziale di Torino quando la radio ha passato la notizia.
    Ci sono momenti che non si possono dimenticare, senza di lui non credo oggi pedalerei, e i puntini Carrera, stampati jeans, li tengo come fosse un cimelio sacro.

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