Il Grinduro è stato…duro…

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Premessa

Quando ‘o pruf’ssore, alias Fabio, mi ha comunicato la nostra partecipazione come media accreditati alla cinque giorni in quel di Punta Ala per l’evento Shimano Media Camp + Grinduro, sono stato investito da sensazioni contrastanti.

L’eccitazione per una full immersion dedicata alla bicicletta e alle novità che Shimano e Wilier ci avrebbero messo a disposizione, la preoccupazione per la partecipazione al Grinduro, che quest’anno per la prima volta ha fatto tappa in Italia, nella splendida cornice del Punta Ala camp e resort che ha funzionato da base dell’evento.

Un evento diviso in due: il Grinduro è un giro di circa 100 km per 1500 metri di dislivello e 4 prove speciali cronometrate che determinano la classifica, il Grindurito è un giro più breve, circa 65 km per 900 metri di dislivello, evidentemente pensato per vivere un’esperienza sui pedali più tranquilla, sviluppato sul tracciato del fratello maggiore ma evitando due tratti molto impegnativi e soprattutto senza alcun cronometro e ansia da classifica.

I dubbi che mi hanno assalito sono quelli di un onesto ma appassionato pedalatore del fine settimana che si trova a dover scegliere la strada  arrivato a un bivio inaspettato (si, Fabio mi aveva tenuto all’oscuro per molte settimane sulla nostra partecipazione, per scaramanzia dice lui, secondo me perché non mi voleva portare…): quale giro fare? Grinduro o Grindurito? Se scelgo il primo ma poi mi pianto, chi mi viene a prendere? (io no, per me potevi pure rimanere in mezzo alla pineta, Nota del Professore). Si, ma se scelgo il secondo rimpiangerò non aver scelto il primo? E via dicendo.

Trattandosi di zone a me sconosciute ho cercato aiuto e conforto nello studio del percorso per capire le caratteristiche dei singoli tratti e ponderare la mia scelta. Vi confesso però che dopo aver sviscerato il web alla ricerca di informazioni, i dubbi sono aumentati invece di svanire. Nel frattempo i (pochi) giorni stavano passando veloci, la data utile per comunicare l’iscrizione all’uno o all’altro sempre più vicina, io sprovvisto del certificato medico sportivo necessario a correre nel Grinduro (non nel Grindurito).

Inoltre, at last but not least (come dicono a Campobasso), un’altra, piccola, piccolissima incognita: la bici.

Cosa avrei trovato messo a disposizione da Wilier? A parte il GRX 12v, non sapevo quale modello l’azienda vicentina avrebbe schierato per il Media Camp né con quale configurazione del GRX (non è vero, io lo sapevo ma non te l’ho detto, N.d.P). Io ho una Jena con il GRX Di2 11v, avrei pedalato sulla stessa bici? Forse la nuova Adlar?

Non mi è restato quindi che mettermi in macchina e partire per recuperare il Professore lungo la strada, fermamente convinto che i miei dubbi si sarebbero dipanati una volta giunti nel magnifico Punta Ala Camp & Resort che ha ospitato l’evento.

E, piccola nota a margine: per una volta sono stato puntuale, creando immancabile sconcerto nel Professore

Il primo “assaggio”

L’ospitalità che ci hanno riservato è stata deliziosa sin dall’arrivo.

I primi due giorni sono trascorsi tra presentazioni, chiacchierate con tecnici e gli altri giornalisti presenti, col Professore che dalla sua sdraio mi tiranneggiava chiedendomi le solite immagini che solo lui ha in mente e solo lui capisce (mi serve una inquadratura più…così… hai capito no? Vai su…) e, almeno per me, prendere confidenza con la Wilier Adlar, in finitura lime/black allestita con GRX 12v monocorona da 40 e cassetta 10-45 e copertoni Pirelli Cinturato Gravel H da 50cc.

Finalmente, con enorme soddisfazione ma anche tanta curiosità, sapevamo con quali mezzi avremmo pedalato (eh dajeeeeeee, ti ho detto che io lo sapevo, N.d.P.).

L’occasione di provarla in fuoristrada peraltro non si è fatta attendere. Insieme ai colleghi presenti al Media Camp siamo subito saliti in sella e, condotti all’interno della soprastante pineta da una esperta guida locale su MTB, abbiamo affrontato un breve ma impegnativo percorso su terreno sterrato, con dossi e radici che spuntavano improvvisamente e repentini cambi di pendenza. Questo giro, che ha contemplato anche una bella sosta al bar, è stato importante non solo per prendere confidenza col mezzo ma soprattutto per creare fra i presenti una atmosfera di rilassatezza e amicizia (ritrovata poi anche la sera a cena) che io ritengo tipica dello spirito gravel, dove la prestazione fa posto alla socializzazione con i compagni di pedalata e la voglia di primeggiare a tutti i costi è sostituita dal piacere di aspettare chi resta indietro.

Ma l’evento Grinduro sarebbe iniziato il venerdì e già dal mattino ho visto arrivare al Punta Ala Camp & Resort i primi partecipanti, creando subito un caleidoscopio di lingue e l’intero campeggio si è velocemente riempito di bici, colori, abbracci, sorrisi e risate, che, miscelati con la musica di sottofondo e la luce calda del tramonto, hanno creato un’atmosfera di festa e allegria che, personalmente, non ho mai visto in nessun altro evento ciclistico. Forse qualche Rando, ma lì in filigrana c’è sempre l’attenzione alla “gara”. Qui ho visto solo voglia di divertirsi.

Anche nel prologo del pomeriggio, una pedalata su un fettucciato creato all’interno del camping. Si, c’è stato uno che ha scelto di riscaldarsi sui rulli prima di partire; per fortuna c’è stato chi ha bilanciato pedalando in infradito…

Prima di rientrare, mi ha colpito una frase detta da uno degli uomini Shimano: “Ricordate che la vita è come il gravel: non è (solo) una gara ma un’avventura!”. Sarà stato il tono sincero con cui ha pronunciato questa frase o lo sguardo profondo di chi in certe cose ci crede veramente ma io queste parole non me le sono più tolte dalla testa.

Tornato nel bungalow pienamente soddisfatto da questa prima esperienza che mi ha calato nel clima dell’evento, Fabio mi comunica che lui sabato non avrebbe preso parte alla gara per dedicarsi agli articoli da scrivere sul blog e “vivere il Grinduro da altra prospettiva” che ha più o meno la stessa comprensibilità delle sue indicazioni quando devo fotografare.

Quindi io avrei pedalato da solo. Il Grindurito, perché alla fine non mi ero procurato il certificato medico.

Inizia il giro

Confesso, la nottata che ha preceduto la gara non è stata tranquilla. Avrebbe dovuto esserlo, anche perché essendomi iscritto al percorso di 65 km avrei avuto da percorrere meno km, molto meno dislivello e soprattutto non avrei avuto l’assillo dei tratti cronometrati. Non c’è niente da fare, per quanto uno si proponga di vivere una gara da “partecipante non interessato” l’alone della competizione, anche se flebile, è sempre presente. Allora cosa mi aspetta? Lo avrei scoperto qualche ora dopo.

La partenza è stata una festa. Oltre 120 partecipanti ad affollare il piazzale, biciclette di tutti i tipi, lingue da tutto il mondo, outfit più disparati, i bravissimi e disponibilissimi meccanici di Wilier e Shimano generosamente all’opera per le ultime messe a punto delle bici di tutti (senza alcuna distinzione di marca), borracce da riempire, scorte di cibo energetico, consigli dati e ricevuti e soprattutto sorrisi, tanti sorrisi.

E, ovviamente, pure qualche volto teso e concentrato. Chiariamoci, non ho nulla contro chi ha scelto di interpretare la gara in senso agonistico, ci mancherebbe, ma personalmente mi sono trovato più a mio agio nella atmosfera di divertimento collettivo. E poi quella frase della sera prima, gravel, vita, avventura a ronzarmi in testa…

Tutto spazzato via dalla voce dello speaker che alle 9 ha dato il via al Grinduro Italia.

Il tempo di uscire dal campeggio, percorrere quei pochi chilometri che ci hanno immesso nella strada secondaria Val Molina – Torre Civette e il colorato serpentone a pedali ha iniziato ad allungarsi, definendo subito il gruppo degli “agonisti” e quello dei “rilassati”, diciamo così.

La prima prova, Zinghiera Hill Climb, tratto in comune ad entrambi i percorsi, è stata tutta in salita: fondo sterrato con pietre e avvallamenti, pendenza media del 11% con strappi al 14%. Qui ho avuto l’ennesima conferma che hai voglia di studiare i grafici e le caratteristiche del percorso ma fino a che non ci vai con le ruote sopra e cominci a sputare l’anima sui pedali non saprai mai veramente di cosa si sta parlando…

Riguardo la bici, devo dire che in salita ha pagato un po’ l’assenza di un pignone più agile del 45 (o di una corona più piccina della 40…) accusando alcune perdite di trazione favorite dalla scarsa tassellatura delle gomme, ma a parte questo la Wilier Adlar ha mostrato da subito un’ottima tenuta e soprattutto una comodità fuori dal comune anche sui fondi accidentati, cosa di cui avrei avuto ulteriore conferma più avanti.

Al termine del primo tratto cronometrato c’è stata anche la prima sosta ristoro veloce per poi proseguire il percorso.

Una volta scollinato, il tracciato è diventato un susseguirsi di suggestivi scorci bucolici che si alternavano a panorami mozzafiato sulle rigogliose valli maremmane mentre si attraversavano i deliziosi centri abitati di Caldana, Gavi e Gavorrano. Per tutti quelli che hanno pedalato per la prima volta in queste zone è stato impossibile non fermarsi a scattare qualche foto. Tanto lì in cronometro non era attivo…

La lunga sosta alla splendida tenuta Morisfarms con il suo spettacolare belvedere è stata l’occasione per rendersi conto meglio dell’eterogeneo mondo gravel, sia dal punto di vista tecnico che umano.

Davanti ai tavoli imbanditi con piatti tipici e bottiglie di vino locale, anche l’ultimo velo di riservatezza è venuto meno e, posate le bici, si è dato vita ad un’atmosfera di convivialità, parlando indifferentemente di guarniture o della porchetta migliore, la scelta delle gomme o del vino da abbinare. Non ho compreso però quali fossero le priorità tra i ciclisti…

Guardando poi le biciclette affiancate l’una all’altra ho potuto farmi una panoramica più precisa delle scelte dei partecipanti. Sono mancati (ed è stato un peccato) esempi di originalità come capita di incontrare in manifestazioni del genere.

Presenti tutti i produttori più noti con i loro modelli di serie specifici per il gravel; giusto un paio di eccezioni con bici “old style”, ciclocross in acciaio e freni cantilever d’ordinanza.

La scelta del monocorona è stata quella più gettonata mentre per le gomme, tutte ovviamente tassellate, si è spaziato dai 35cc fino ai 50cc montate per lo più su cerchi a profilo medio-basso.

Insomma, un certo conservatorismo nelle scelte tecniche che è molto nostrano, soprattutto se guardiamo le immagini del Grinduro corso in altre Nazioni e Continenti.

Sliding doors

La sosta alla Morisfarms è stata per me un’inconsapevole presa di coscienza (è una contraddizione in termini, lo so). Usciti dalla tenuta per riprendere il giro, dopo solo poche centinaia di metri il bivio a dividere il Grinduro dal Grindurito. A sinistra il ritorno più o meno tranquillo verso il camping, a destra l’anello di altri 40 km (e altri 600 metri di dislivello) con anche il famigerato tratto “Spaghetti free climb” (che all’inizio, confesso, pensavo fosse un’altra sosta stavolta a base di pastasciutta) di cui molti parlavano con rispetto e timore manco fosse la strada per Mordor.

Ma, pensavo, avevo già fatto la mia scelta tranquilla, perché cambiare? Semplice, perché il gravel è veramente come la vita: non è (sempre) una gara ma piuttosto un’avventura. E che cos’è un’avventura se non un mettersi alla prova affrontando sentieri per noi ancora ignoti? E poi, cosa c’è di meglio nel percorre questi sentieri in sella ad una bici come la Adlar, che fin dal primo giorno ci ha dato la sicurezza di poterci condurre ovunque? Complici anche una serie di piccoli eventi che ho interpretato come segnali del volere divino, al bivio ho inforcato a destra, per il Grinduro. E poi volete mettere il gusto di far rosicare il Professore, tutto solo davanti allo schermo? E dai, su… (p.s. nell’eccitazione del momento mi sono pure dimenticato di avvertirlo!)

La strada per Mordor

I primi chilometri scorrono via facili, su sterrati di campagna e strade asfaltate con poca pendenza; si passa attraverso il piccolo centro abitato di Valdana per giungere poi senza problemi alle pendici della collina di Massa Marittima.

Rimanendo ancora una volta incantati dalla dolcezza del panorama maremmano, fra filari di alti cipressi a filtrare garbatamente la luce del sole e rigogliose distese di vigneti.

Proseguendo, dopo pochi chilometri si è giunti in località Cicalino per inforcare una via secondaria che, dopo pochi metri, ci ha fatto capire che la musica stava cambiando, passando improvvisamente ad un fondo poco compatto e pietroso con pendenza dell’8-10% perché, di fatto, la strada stava salendo una collina. Non avevo memorizzato il percorso in ogni suo dettaglio, lo ricordavo solo per grandi linee e quando pedalo consulto poco la mappa del Garmin perché per farlo mi devo fermare e in salite del genere diventa impossibile poi ripartire.

Ma da quel poco che ricordavo ho capito che quello era solo l’inizio, l’anticamera di qualcosa. E infatti dopo poco un cartello posto su un albero al lato della strada segnalava che il percorso del Grinduro continuava nel bosco laterale alla strada, entrando in un uno strettissimo sentiero che lo taglia inerpicandosi attraverso i fitti arbusti che lo popolano: avevo appena inforcato lo “Spaghetti free climb”!

Un dedalo di percorsi lunghi e strettissimi (immagino da qui il nome “spaghetti”) al punto che in alcuni tratti i miei copertoni da 50cc sembravano quasi non trovare spazio e caratterizzato, ovviamente, da un fondo sterrato da cui fuoriescono radici, il tutto con una pendenza spesso oltre il 15% dove è stato a volte necessario scendere dalle bici per superare alcuni tratti.

A consolare me e i miei compagni di gruppetto c’è stata la perfida soddisfazione che anche ciclisti più allenati e prestanti, dopo averci superato, si dovevano arrendere alla strada e proseguire a piedi pure loro. Ahhhhhh….!!!!

Lo avete capito, in termini di fatica è stato il momento più difficile del percorso anche perché ci si è giunti in una fascia oraria molto calda (più o meno fra le 14:00 e le 15:00) e non ha tradito la fama che lo aveva preceduto.

Il sospetto non fosse proprio un percorso gravel, almeno nel senso classico che si è soliti attribuire, ce lo ha confermato anche la serie di cartelli che invitano a non sostare negli incroci dei sentieri per non essere investiti dalla discesa delle mtb…

Stravolto ma soddisfatto per l’impresa compiuta, dopo aver percorso l’ultimo tratto sulla strada Pian dei Muccini sono arrivato al punto di ristoro e comodamente seduto mi sono goduto insieme ai compagni di avventura un graditissimo Negroni rigorosamente analcolico offerto dai gentilissimi ragazzi del Bike Service di Massa Marittima.

È tutta discesa

Risalito in sella, sapevo che da lì in poi ci sarebbe stato un lungo tratto a pendenza negativa che avrebbe contemplato anche la seconda prova cronometrata, la Marsiliana Down Hill. Il termine “down hill” ci ha riportato alla mente una disciplina ciclistica che si potrebbe quasi sovrapporre al motocross: caschi integrali, paragomiti, manubri dritti, sospensioni idrauliche, forcelle ammortizzate, full e front, etc.; tutta roba lontana da noi, gravellisti incalliti. Che burloni gli organizzatori del Grinduro!

E invece no.

Appena la strada ha cominciato a volgere in discesa mi sono reso conto, anzi, ci siamo resi conto noi che ormai facevamo gruppo, che non si trattava di ironia, ma di roba seria. Tremendamente seria.

Tutto il percorso, ripido e scosceso, si sviluppa su un fondo roccioso e a tratti sabbioso, con frequenti avvallamenti del terreno che ti ritrovi davanti quando meno te lo aspetti. La forte pendenza fa in modo che le bici prendano velocità molto rapidamente per cui si deve agire in maniera sapiente sui freni perché con l’anteriore c’è il rischio di cappottarsi e col posteriore di slittare sulle rocce.

Se sullo Spaghetti climb in alcuni momenti ho provato la paura della fatica, sulla Marsiliana all’inizio ho provato paura e basta. Non è un percorso gravel, non lo è affatto. E ad aiutarmi a superare indenne questo lungo tratto è stata fondamentale la mia Adlar; la sua facilità di guida, la sua comodità di assetto, la sua capacità di smorzare anche i colpi più forti (stavo pedalando in discesa sulle rocce!) mi hanno conferito man mano che scendevo e prendevo confidenza una sicurezza inaspettata che mi ha permesso di completare il tratto senza cappottarmi: e mi sono pure divertito!

E anche il nuovo GRX 12V ha fatto il suo dovere. Qui non tanto nella rapportatura (in discese del genere si pedala poco) ma nell’ergonomia dei nuovi comandi. Il manubrio di serie della Wilier Adlar è quello ad “ali di gabbiano” (ormai uno standard per il gravel) e i nuovi comandi sono stati ridisegnati proprio per queste pieghe.

Risultato: in una situazione del genere, dove i colpi all’avantreno erano continui così come i repentini cambi di direzione, mai una volta ho avuto la sensazione che le mani mi scivolassero via o che avessi difficoltà ad agire sulle leve per frenare o per cambiare. Da felicissimo possessore di un GRX 11v mai avrei creduto che si potesse fare di meglio e invece grazie a Mamma Shimano ho scoperto che anche la perfezione è perfettibile…

Aspetto con ansia che Wilier mandi al blog una Adlar perché il Professore possa farci una bella recensione delle sue. Su Professò, datti da fare…

P.s. Al termine della discesa ad attendere i ciclisti c’era un punto di ristoro dove abbiamo appreso che l’unico incidente serio avvenuto ad un partecipante è accaduto proprio in quel tratto…

La via di casa

Lasciata alle nostre spalle la Marsiliana, il Garmin mi ha rincuorato avvisandomi di essere a poco meno di 25 km dall’arrivo e, nonostante la fatica nelle gambe cominciasse a farsi sentire, ormai sembrava una passeggiata pensando a quello che avevo percorso fino a quel momento.

In gruppo affrontiamo con divertimento la penultima prove cronometrata (io senza chip), il “Montioni jungle singletrack”, un percorso che si può definire quasi il fratello piccolo dello “Spaghetti climb”.

Perché come quello si sviluppa stretto all’interno di una boscaglia, ma la pendenza “umana” consente di superarlo con la giusta fatica. La strada ci porta poi ad attraversare la bellissima Follonica, passando per il lungomare affollato di bagnanti al rientro dalla giornata in spiaggia fino ad arrivare al Puntone di Scarlino, da cui la strada si fa di nuovo in salita per giungere al belvedere sopra Cala Violina.

Oramai anche il mio gruppetto (di coda) è diviso, siamo rimasti in due a farci compagnia: è bastato uno sguardo al sole che si apprestava a tramontare dietro l’isola d’Elba per convincerci a bere una bibita ghiacciata ammirando il panorama prima di affrontare l’ultima prova de “Le Api Down Country”. Tanto il tempo di gara era ormai andato ma nel punto dove eravamo il tempo invece sembrava essersi fermato e nessuno di noi due voleva lasciarlo andare via.

Concludiamo gli ultimi tre chilometri in coppia, oramai stanchi ma alla fine neanche troppo, perché questo Grindurito diventato Grinduro “in corsa” è stata una continua sfida a noi stessi.

E l’abbiamo superata. Con lentezza certamente, ma sempre col sorriso, le battute, l’ironia e soprattutto costantemente con un occhio alla strada e l’altro al compagno di pedalata.

Certo le inevitabili considerazioni finali sul percorso non sono mancante (per la verità nemmeno durante il giro) “ma non è gravel, questo!” “a saperlo, venivo con la mtb!” “se mi avessero avvertito di certe pendenze, avrei messo la 52 dietro!” e via discorrendo. Sono spunti di riflessione interessanti che ritengo vadano affrontati, magari saranno utili per la prossima organizzazione. Ma questo è compito di Fabio, che il percorso se lo è fatto per conto suo, preferendo dedicare la giornata del sabato a raccogliere le impressioni di chi via via tagliava il traguardo. Credo lo troverete online fra un paio di giorni.

L’arrivo al campeggio è stato l’epilogo di una festa perfetta. La musica ad alto volume, la luce del tramonto, i gelati, le birre, gli inaspettati complimenti da parte di tutti e soprattutto da parte del Professore (che mi aveva ormai dato per disperso, lui sapeva che io avrei fatto il Grindurito e non ha creduto a nessuna delle mie scuse) mi hanno gratificato più di ogni cosa e dimostrato ancora una volta che cosa può regalarci quel mezzo a due ruote che tanto amiamo quando a muoverci è la passione.

E mi è scappata una lacrimuccia (forse anche due…) quando ho dovuto consegnare ai meccanici di Wilier la Adlar.

Quella Adlar, la “mia” Adlar.

Quella tutta impolverata con il cartellino viola n°187 del Grinduro. Quella che avevo personalizzato con le mie borse da tubo e per gli attrezzi. Quella sulla quale ho montato anche il mio Garmin che con lei ha segnato il mio record personale di tempo in bici (7 ore e qualche secondo) e di ascesa (1602 metri) non abbandonandomi mai, nemmeno nei tratti più duri.

Quella Adlar che la mattina successiva prima di partire mi sono ritrovato, incredibilmente, di nuovo fra le mani perché un meccanico di Wilier l’aveva presa per raggiungere il suo bungalow ma poi, incontrandomi, mi ha chiesto di riportarla ai colleghi.

L’ho interpretato come un desiderio della bici di ritrovarmi per percorrere un ultimo chilometro assieme e salutarci con tutta calma, come si fa tra compagni d’avventura prima di separarsi definitivamente: e quello è stato il chilometro più lento della mia vita.

Buone pedalate.

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