Che ciclismo avremo?

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Il 2022 ci ha proposto parecchie novità tecniche, anche perché quello che sarebbe dovuto uscire gli anni precedenti è stato rimandato a causa della pandemia.

Questo ha creato un certo “ingorgo”, con alcune sovrapposizioni che in tutta onestà non ho ancora compreso del tutto.

Ma non commettiamo l’errore di pensare solo al nostro mercato interno, ricordiamo sempre che ormai tutte le aziende lavorano sul piano internazionale, quindi per forza di cose spaziano cercando di coprire ogni angolo del globo.

I settori più effervescenti sono stati quello stradale sportivo e il gravel (e l’e-bike, ma sapete che la sto ancora studiando e non mi sento abbastanza “pronto”), segno anche di una chiara rotta che sembrano aver preso quasi tutti i produttori.

La bici da corsa che si ritaglia un preciso pubblico sportivo; e la gravel che si rivolge a tutti, perché ormai queste sono bici che permettono ottime media su asfalto e divagazioni in fuoristrada che sono sempre più apprezzate.

Da un lato l’estrema specializzazione, dall’altro pure ma una specializzazione che, l’ho raccontato spesso, si traduce nella capacità di accontentare molti modi di vivere la bici.

Nel mondo stradale la novità che più mi ha colpito è stata la presentazione del gruppo Shimano 105 Di2 12v.

A brevissima distanza dai fratelli Dura Ace e Ultegra 12v.

Vero che Dura Ace e Ultegra sarebbero dovuti uscire nella primavera estate 2020, il fatto siano arrivati due anni dopo è dipeso solo dai noti problemi che hanno afflitto il comparto industriale, quindi la quasi concomitanza è attribuibile a fattori esterni.

Resta però il punto che averli messi lì uno dopo l’altro, con un 105 rivoluzionario, non ci ha dato il tempo di metabolizzare.

E infatti sulle prime sono rimasto perplesso.

Non perché lo Shimano 105 sia un gruppo entry level, una classificazione priva di fondamento e che tanti danni ha fatto e continua a fare, in ogni settore.

Perché il gruppo 105 è sempre stato gruppo con un ottimo rapporto qualità prezzo, permettendo di allestire ottime bici senza dover chiedere un prestito in banca.

Poi aggiungiamo che è proposto solo disco e solo Di2, e si crea un buco in gamma: ossia un 11v meccanico prestante ed economico all’acquisto.

Buco che sarà colmato, non ho dubbi. Shimano è l’unica azienda che copre (quasi) tutte le rapportature, credo abbia già la soluzione pronta.

Anzi, le soluzioni perché, se qualcosa ho capito dell’insondabile strategia nipponica, è che non si limiteranno a “promuovere” le altre serie.

Qui da noi il suo arrivo non è stato ben visto, molti a lamentare il costo e, per l’ennesima volta, classificarlo come entry level.

Singolare che su forum e social le critiche più severe siano giunte da chi, poi, dichiarava o di non usare mai quella marca o di non scendere mai sotto il Dura Ace per le sue bici. Misteri…

In ogni caso, non concordo, almeno sul piano tecnico, perché il 105 “è tanta roba”.

Certo, per esprimere un giudizio pieno aspetto di metterci le mani sopra, e prima o poi lo farò.

Come ho voglia di verificare a modo mio l’Ultegra 12v, trasmissione che per anni ho considerato (e i fatti me lo hanno sempre confermato) la migliore per il ciclista amatoriale sportivo. 

Però l’arrivo di questo 105 Di2 mi ribadisce un pensiero che già espressi qualche tempo fa: la strada verso l’elettronico è segnata.

Sram ha depositato il brevetto per l’Apex elettronico e questo è un chiaro segno.

Molto dipenderà dal prezzo finale ma non non al pubblico: alle aziende.

Sram ha sempre seguito una politica dei prezzi aggressiva ai fornitori, quindi c’è da supporre che una bici montata Apex (che dovrebbe guadagnare anche un altro pignone) potrà essere offerta al pubblico a un costo vantaggioso.

Potremmo trovarci buone bici, con telaio in composito e gruppo elettronico, sulla soglia dei 2000 euro.

Campagnolo al momento non sembra interessata ma non si può mai dire. La capacità c’è, la volontà non so.

Spesso le scelte dell’azienda vicentina mi hanno lasciato dubbioso, e non parlo di adesso ma degli anni dacché usai la mia prima trasmissione Campagnolo, una gloriosa Record 5v. 

Hanno investito moltissimo sull’Ekar, raffinato come ogni prodotto di casa Campagnolo: però hanno preferito il tredicesimo pignone e il solo monocorona. Star lì ad attendersi una doppia non lo vedo fattibile, quindi l’unico sviluppo possibile potrebbe essere anche qui l’elettronico.

Per non restare tagliata fuori.

L’elettronico non è il demonio, viviamo già circondati da apparecchiature che coi loro software comprendono e anticipano (o creano…) le nostre esigenze.

Quindi non sono pregiudizialmente contrario: a patto le aziende continuino a offrire anche bici “classiche”.

Piuttosto l’elettronico ha senso e futuro solo se non si limita alla semplice attuazione della cambiata.

I software, le app come si dice adesso, devono evolversi per venire incontro alle nuove esigenze. Reali o immaginarie.

Già abbiamo pletora di ciclisti che passa più tempo a studiare i grafici delle uscite ricavati dalle varie apparecchiature che a pedalare.

Integrare i vari dispositivi e offrire personalizzazioni semplici da programmare è la via de seguire e che sono certo lo sarà.

Shimano e Campagnolo lo fanno già e c’è ancora ampio margine, probabilmente funzioni che noi nemmeno abbiamo pensato sono già state studiate. Sram sul punto è più indietro ma vista la continua spinta all’innovazione che le è propria non tarderà a colmare il gap.

Senza dimenticare gli orizzonti che si aprono con la possibilità di dotare una bici di sensori, per esempio quelli pressione gomme, che potrebbero fornire un reale confronto sul preciso comportamento della gomma in rapporto a cerchio e peso del ciclista.

Una esagerazione? No, lo sviluppo e l’applicazione pratica già c’è nel mondo professionistico, il passo per noi amatori è più breve di quanto si creda. Oltre al fatto sono già in commercio, seppure per adesso siano considerati dal pubblico solo un gadget.

Di contro, come sempre avviene davanti al massiccio ingresso della tecnologia, c’è un ritorno alla tradizione.

Grazie sia ai grandi progressi nella metallurgia che all’esplosione del gravel, torna prepotente la voglia di acciaio.

Il peso, su una gravel, passa in secondo piano.

L’idea della bici classica, robusta, tuttofare, sta affascinando anche i fautori del composito a tutti i costi.

Qualcosa si sta muovendo anche nel settore sportivo, per ora fenomeno di nicchia ma che promette buoni sviluppi.

Penso alla Drali Morpheus su cui sto pedalando da un mesetto: tutto acciaio, forcella compresa; geometrie classiche, congiunzioni.

E poi dischi idraulici e gruppo elettronico (nella versione che ho in prova) in un contrasto tra classico e moderno non privo di fascino.

Almeno per un amante dei telai in acciaio come me, Elessar (che ha dato il nome a questo blog) è tutta metallo.

Se possiamo dare una dimensione artigianale a questo marchio, o ricordare Gios che è maestro, anche factory più “strutturate” stanno dando risalto a questo filone.

In nome della classicità, d’accordo.

Ma anche per la rinnovata voglia di personalità, di bici unica, dove il su misura non è solo più nelle quote come un tempo ma investe ogni dettaglio.

I costi salgono, vero. Ma soddisfano il desiderio di possedere una bici che sia la sola, quella perfetta per noi.

E come non potrebbe trovarmi d’accordo…

L’altro settore da cui mi aspetto grossi passi avanti è quello delle e-bike.

Non parlo delle urban, lì il pubblico è diverso, per la maggior parte composto da persone che non hanno una bici classica (sapete non amo la definizione muscolare), esigenze differenti, non guardano alle due ruote a pedali coi nostri occhi. E dove innovazioni come l’Abs sono non solo ben viste ma cercate.

Parlo delle E-Mtb e delle E-Road.

Le fuoristrada a pedalata assistita sono state già sdoganate da tempo.

Sia per la maggior propensione dei biker ad accettare le novità e sia per la indubbia loro praticità. Del resto anche i fuoristradisti più sfegatati non disdegnano salire in funivia, non vedo cosa ci sia di male nel farlo in bici assistita.

Senza considerare che su una E-Mtb si fatica e molto più di quanto chi non l’ha mai usata possa credere.

Le E-Road stanno evolvendo velocemente, diventando più leggere e offrendo una assistenza ampiamente personalizzabile.

Ebbi una breve presa di contatto un paio di anni fa con una sportiva assistita, non mi convinse. Pesante, sbilanciata nella guida col motore nel mozzo, autonomia scarsa a causa della batteria piccola, telaio adattato ma non specificatamente progettato, un costo assai elevato. E sia chiaro: di marca nostrana rinomata, non roba da grande distribuzione.

Ora vedo arrivare bici più leggere, studiate in ogni dettaglio, motori che promettono un feedback di pedalata molto vicino a quello naturale, masse concentrate in basso per non scoordinare la guida, autonomia a prova di lungo della domenica.

Sulla carta, ma anche qui mi sono ripromesso di metterci le mani sopra perché voglio capire.

E anche qui non ho pregiudizi, non sono contrario per principio. 

Come ogni cosa, conta l’uso che se ne fa. Come i social, che possono essere una cosa divertente e utile o una gazzarra scostumata a seconda di come ci si rapporta, con le E-Road è lo stesso.

Chi le vede come facile scorciatoia per farsi bello superando senza affanno i ciclisti in salita o sfoggiare il suo KOM, beh, ha seri problemi di autostima.

Ma pensiamo al ciclista amatoriale, con poco tempo da dedicare alla bici, in età matura: perché dovrebbe privarsi della gioia di passare una giornata in bici raggiungendo luoghi che non potrebbe andandoci solo di pedali?

In nome di quale ortodossia ciclistica ci arroghiamo il diritto di dettare regole, leggi, dogmi, classificare chi è un “vero ciclista”?

Nei molti anni che frequento questo nostro mondo ne ho viste tante, e a ogni novità c’era sempre la stessa reazione contraria; salvo poi ricredersi col tempo o vedendo i professionisti usarla.

Nella doppia errata convinzione che il proprio modo di vivere la bici sia quello giusto e valido universalmente; e infatti la chiosa è sempre “a me non serve”. E vabbè, a te no, a un altro si, perché non può usarlo?

E poi che se una cosa va bene per i professionisti allora andrà bene pure per noi. Macché, quello è un altro mondo, prestazioni che nemmeno ci sogniamo, soluzioni che possono adottare solo loro con fisici allenati e capaci di gestire assetti, geometrie, rapporti e così via che uno di noi si spezza gambe e schiena dopo dieci minuti.

Vi faccio solo un rapido esempio.

Vi ricordate quando lo Shimano Dura Ace poteva supportare massimo il 28 finale? Bene, non sapete in quegli anni quanti messaggi mi arrivavano di ciclisti che volevano montare il pignone da 32 e non potevano, finendo col bollare il Dura Ace come un “gruppo sbagliato”.

E lo stesso persino col Campagnolo Veloce (parlo di una decina di anni fa e più) che prevedeva cassette pignoni molto sportive, senza possibilità di avere più agilità.

Non erano loro ad essere sbagliati: erano destinati a un pubblico sportivo e allenato, chi voleva più agilità doveva guardare ad altri prodotti in gamma.

E questo mi porta ad altra considerazione, osservando l’evoluzione delle scelte delle aziende ciclistiche.

Si sta ampliando l’offerta, si sta cercando di coprire ogni nicchia.

Che la bici da corsa sia destinata a tornare ad essere “l’attrezzo sportivo” che era una volta è ormai quasi certo; altrettanto che sarà la gravel a soddisfare la voglia di bici sportiva e comoda.

Ma siamo ancora in una fase di assestamento, con una offerta talmente ampia da rischiare di essere controproducente.

Come quando la sera stiamo lì a scegliere un film: me ne propongono mille e più, servono ore solo per scorrere i titoli. Rinuncio e prendo un libro.

A meno di non sapere esattamente cosa voglio.

Ecco, mi chiedo: quanti ciclisti hanno conoscenze tecniche tali da permettergli la scelta giusta? 

E poi: perché obbligarli a questo studio? La bici è divertimento, lasciamo da parte i libri e i siti pretenziosi come questo, usciamo e godiamoci la pedalata.

Però da qualche parte serve qualcuno che sappia consigliare con cognizione, anche perché spesso parliamo di investimenti notevoli.

E così arriviamo all’ultimo punto di questo articolo: la rete vendita.

Non è più tempo della bottega, che ha il suo fascino e io non perdo occasione di frequentare.

Ormai servono strutture con personale dal ruolo ben definito e specializzato.

Soprattutto per l’alta gamma, che ha raggiunto prezzi imbarazzanti (argomento che era in lista qui ma visto che sto sforando ben più di quanto credessi, ne parlerò una prossima volta), serve chi sappia anzitutto consigliare la giusta taglia e non solo del telaio ma di tutto l’assetto, dimensione sella compresa.

Serve chi sappia spiegare in modo chiaro le caratteristiche tecniche e le prestazioni di quel dato modello, senza inseguire solo la vendita della bici che offra il miglior guadagno.

Serve l’aggiornamento costante dei meccanici, perché già da molti anni un deragliatore non è più un cavetto da collegare e via.

Serve però anche che i ciclisti ormai comprendano e accettino che la bici non è più (solo) quel mezzo semplice e per questo affascinante che in tanti amiamo.

E’ un incredibile concentrato di tecnologia, sempre con riferimento all’alta gamma, e serve curarla; soprattutto serve che a curarla siamo mani esperte e professionali, non ci si può improvvisare.

Molte aziende produttrici di bici complete si stanno orientando verso la politica dei grossi store, immensi parchi giochi in cui il ciclista può esaudire ogni suo desiderio, conto corrente permettendo.

Quelle produttrici di componenti stanno investendo molto nella formazione, penso alla politica degli Shimano Center che sono ben più di un bancone griffato.

Mi sta bene, se questo serve ad avere quella professionalità che è sempre stata rara nel nostro mondo.

Mi sta meno bene se questo significa abbandonare le bici più semplici e quindi più economiche, trasformando il ciclismo in uno sport d’elite.

Elite economica, intendo.

Non credo accadrà mai, sarebbe un suicidio (i soldi non si fanno con la bici da 15000 euro ma con quella da 1500…) e su questo mi sento ragionevolmente tranquillo.

Ma altrettanto ragionevolmente so che il concetto di semplicità non sarà più declinato come lo conosciamo oggi.

E chissà fra altri dieci anni, se questo blog e io saremo ancora qui, che bilancio trarremo.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Franci79</cite>

    Bel riepilogo.Il mio desiderio è che non tolgano i gruppi meccanici (come te) e che lascino i freni tradizionali in produzione per chi si allestisce la bici a partire dal telaio.
    Incredibile invece la parabola dell’acciaio ,riscoperto, utilizzato , comperato da tanti amanti della bici e che ha portato tante nuove aziende artigianali a dedicarsi a questo materiale.E anche l’alluminio non è morto…

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Gli ultimi articoli sono montagne russe di emozioni, arrivato alla fine non so se ridere o piangere… e per mettere ordine nei pensieri confusi penso che servirebbero parecchie pagine. Però dal mio “punto di osservazione” dalla provincia tedesca in qualche modo concordo. Credo. Su alcuni di questi temi non sono neppure d’accordo con me stesso.

    Comunque molto pragmaticamente la corsa all’elettronica sulle bici da corsa moderne, con i cavi cambio infilati nei pertugi più improbabili in nome dell’aerodinamica (o dell’estetica? o del risparmio?), è quasi necessaria. Non vedo l’ora che arrivino pure i freni wireless XD

    Per tutti gli altri rimangono i comandi bar end o sull’obliquo. Data la scarsità di componenti, un cambio non indicizzato ci salverà.

    E mi piacerebbe molto se pure da noi ci fosse il tempo da investire per la formazione. Per respirare ce ne manca… (anche se quella è principalmente sfiga nostra, tra malattie e infortuni)

    Vado a cambiare un pannolone

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Tranquillo Paolo, nemmeno io sono mai d’accordo con me stesso: ma con l’età si impara a convivere.

      Fabio

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