Altri due incidenti mortali in poche ore

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Ieri a Milano e sulle colline riminesi sono state uccisi due ciclisti; il primo era in sella presumibilmente per recarsi al lavoro, la seconda una donna francese in vacanza in Italia.

Dinamica forse identica o almeno simile: un camion che affianca, il ciclista che entra nell’angolo cieco, l’aggancio, il trascinamento.

L’enorme diffusione della bici come mezzo di trasporto sta facendo crescere di conseguenza il numero dei sinistri: ma giustificarsi dicendo che è fisiologica statistica è una vigliaccata che nemmeno Pilato avrebbe affermato.

Proclami, al solito.

Avevo salutato con favore le decisioni del sindaco della città meneghina, le sue prese di posizione per le zone 30 e i limiti all’ingresso dei mezzi pesanti se sprovvisti di sensori anti angolo cieco mi erano sembrati una giusta via da seguire.

Persino coraggiosa, visto l’ostracismo del ceto politico al comando, quel continuo ripetere che “la gente deve lavorare” usato per scagliarsi contro ogni provvedimento per la mobilità ciclistica.

Perché, questa la bislacca concezione, chi va in bici è un perdigiorno.

Però a quei proclami, a quelle belle intenzioni, non sono seguiti i fatti.

Alcuni, mi rendo conto, non sono di facile attuazione, oltre al fatto che esulano dalle competenze di un sindaco e giunta, riguardano il parlamento (e sto usando sempre le minuscole non a caso) giacché richiedono modifiche al Codice della strada per poter essere attuate.

Si, Milano ha approvato un Ordine del giorno che vieta l’ingresso in città dei veicoli pesanti sprovvisti di sensori: nella pratica è tutto come prima.

Milano è una città europea nel senso ampio del termine; lo è per capacità di innovarsi, di credere in se stessa, di avere una visione del proprio futuro e perseguirla. Non come la mia città, Napoli, sicuramente più bella e gaia ma ridotta alla macchietta di se stessa, trasformata in una perenne sagra festosa e mangereccia, dimentica dei suoi figli che l’hanno resa grande, dei suoi progressi nelle scienze, nella arti, nella cultura, quando qui si riuniva il gotha e qui i più grandi artisti trovavano le condizioni per esprimersi al meglio. 

Se nulla mi aspetto dalla giunta della mia città, dal suo sindaco fantasma, speravo molto nel sindaco di Milano. Perché avrebbe significato anche fare da apripista per altre amministrazioni comunali.

Soluzioni tecniche e pratiche esistono, basta guardare all’esempio di Londra dove esiste il programma inglese Sud – Safe Urban Driving che prevede ore di teoria per i conducenti dei mezzi pesanti che entrano in città, oltre a una pratica che consiste nel percorrere in bicicletta con formatori specializzati i punti potenzialmente pericolosi, per rendersi conto dei rischi e adottare una condotta di guida consona a uno spazio pubblico condiviso da tutte le età e le abilità. Il tutto fa capo, sempre nel caso del Regno Unito, a una certificazione che gli operatori devono avere per poter lavorare in città.

Certo, c’è lo scoglio della necessaria riforma al Codice della strada ma nella sfera di autonomia degli enti locali, anche forzando l’interpretazione, uno spazio si trova.

L’incidente di Rimini, seppure ormai sia stanco di definirli incidenti ché significa evento inatteso e qui di inatteso c’è più nulla, ha una dinamica da chiarire, dalle poche righe sui giornali emerge solo che c’è stato impatto, forse la turista era larga in traiettoria.

Se pure fosse, in presenza di una bici devi rallentare, tenerti a distanza.

Per me quando sono in auto è un gesto istintivo: se l’ho imparato io che sono tonto, può riuscirci chiunque.

Ora ci sarà il solito giro di dichiarazioni, di annunci, di proteste delle associazioni, fra una settimana staremo ancora qui a parlare dell’ennesimo omicidio sulla strada.

Miguel de Cervantes, autore del Don Quijote e che spesso soggiornò all’ombra del Vesuvio, scrisse “… a tutto c’è rimedio meno che alla morte…”.

Non condivido: se le morti sono sulla strada, possiamo e dobbiamo rimediare.

Buona strada.

 

COMMENTS

  • <cite class="fn">Michele Bernardi</cite>

    Sicuramente, al ceto italiano che dovrebbe dirigere il bene pubblico manca quel minimo di coscienza che dovrebbe permettergli di capire che l’uso della strada non è prerogativa dei veicoli a motore ma di ogni persona che utilizza qualsiasi mezzo per muoversi: dai semplici piedi alla più sofisticata bicicletta in tutte le sue declinazioni. Mancando questa coscienza non ci si può aspettare di certo delle soluzioni che implicano, anche solo per realizzare le più semplici, una radicale mutazione delle abitudini della circolazione stradale. Ma il ceto dirigente non è che una infima parte di un insieme di persone tra le quali non mancano coloro che non si vergognano di usare le strade come se fossero un loro esclusivo territorio di esibizione. Esibizione di arroganza, intolleranza e spregiudicatezza nella guida di veicoli potenzialmente assassini. Manco dall’Italia da oltre 30 anni e ogni volta che torno sono sgomento per il numero ancora elevato di coloro che conducono i veicoli come se fossero apparecchi inconsistenti, senza una loro propria massa, come se fossero in fondo inoffensivi. E mi stupisco di quante poche siano in fondo le vittime del traffico motorizzato tenuto conto di quanto si sia esposti ai rischi andando in bicicletta.

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