Mobilità urbana: servono competenze

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In realtà la competenza serve in qualunque settore.

Ma viviamo un’era in cui il cultore della materia è malvisto.

Gente che non ha mai letto la Costituzione ne straparla, contestando chi la studia da una vita.

La fantomatica casalinga di Voghera che ribatte al professore “questo lo dice lei!”.

Il fior fiore della scienza snobbato in favore di un attore fallito che ha trovato il filone d’oro in video dove svela feroci complotti.

Pecore che si millantano lupi a pendere dalle labbra di un mediocre politico in cerca di una lista che lo ospiti.

Potrei continuare ma ci siamo capiti.

In ogni situazione l’elemento comune è l’astio verso chi conosce a fondo e per davvero un argomento, una materia, una branca del sapere.

Uno vale uno è la più grossa sciocchezza che si possa provare a sostenere.

Nella vita reale non mi occupo di bici, il mio mestiere è altro.

Ma non credo qualcuno possa dubitare che una minima competenza l’abbia, altrimenti vi sareste trovati male.

Se io affermo che una data operazione richiede quella specifica sequenza di lavori non è perché ho avuto l’illuminazione in sogno: ho studiato, ho chiesto consiglio e aiuto a chi ne sa più di me, ho provato e riprovato e solo alla fine, raggiunta la certezza che la conoscenza è diventata mia, ne ho scritto.

Lungo ma necessario preambolo, ad alcuni sembrerà presuntuoso ma chi mi conosce sa non è così.

Necessario perché la competenza è ciò di cui abbiamo bisogno, in ogni settore.

Se ho un dolore o un malanno mi rivolgo al medico.

Se voglio una casa nuova mi rivolgo a un architetto.

Se voglio un sito internet mi rivolgo a uno web designer.

Se devo cambiare la caldaia mi rivolgo a un tecnico specializzato.

Se voglio far danni mi rivolgo ammiocuggino.

Insomma, in ogni aspetto della nostra vita ci affidiamo a chi conosce quel campo, affinché risolva per noi ciò che da soli non abbiamo competenza ad affrontare.

Se devo pianificare interventi infrastrutturali e di incentivo alla mobilità ciclistica mi rivolgo a chi conosce la materia e soprattutto conosce l’ambito territoriale in cui dovrà operare.

Facile.

Invece no.

Qualche sindaco crea l’improbabile figura del manager con delega alla mobilità green per garantire il gettone di presenza all’amico di cordata.

Il manager coinvolge pescando nel sottobosco dei mediocri arrivisti che si spacciano ciclisti per promuovere le proprie attività.

E nessuno pensa a rivolgersi a chi ha specifiche competenze.

Che sono tante e diverse.

Come ben sanno in Germania, dove hanno investito oltre 8 milioni di euro per formare docenti e ricercatori universitari in grado a loro volta di creare corsi universitari dedicati alla mobilità a pedali.

Hanno cioè investito una bella barca di soldi per creare anzitutto competenza, conoscenza che sarà poi trasmessa ad altri.

Non hanno preso tutti questi milioni e affidato incarichi ad urbanisti o architetti o ingegneri o chissà chi altro.

Che pure avrebbero potuto fornire il loro contributo, è vero.

No, la Germania ha fatto ciò che fa un Paese serio: creare sapere. 

Perché ha capito che serve una conoscenza che ancora non esiste. 

Perché incentivare la mobilità ciclistica non significa creare una ciclabile (possibilmente dove non dia fastidio) oppure offrire una prebenda elettorale per l’acquisto.

Si deve partire da lontano.

Si deve anzitutto comprendere perché lì, in quella zona, è usata prevalentemente l’auto.

Comodità, pigrizia, assenza di percorsi sicuri, meteo avverso per troppi giorni l’anno, impossibilità di ricovero sicuro della bici, impossibilità per il lavoratore di rendersi presentabile in ufficio dopo la pedalata, orografia del territorio troppo difficile da risolvere in bici?

Quante domande, vero?

E sono solo le prime che mi sono venute in mente, sicuramente ce ne sono altre.

Domande a cui serve trovare risposte, e per trovarle servono urbanisti, d’accordo.

Servono però statistici, medici, ingegneri, psicologi, esperti comportamentali e così via.

E servono ciclisti.

Non appassionati, non gente che pedala sempre e comunque, pure con la neve perché nulla scalfisce il loro amore per la bici.

Persone normali, gente che prova a spostarsi in bici e racconti le difficoltà che incontra ogni giorno.

La Germania lo ha compreso, ci investe con intelligenza.

Perché sa che i milioni spesi nell’ultimo anno rientreranno decuplicati, la mobilità in bici produce ricchezza e questo ormai nessuno può negarlo.

Otto le cattedre istituite grazie a questo investimento, cinque quelle ricoperte.

Non sono uno di quelli convinti che l’Italia sia un Paese di incapaci, dobbiamo sempre guardare agli altri.

Però se uno fa una cosa fatta bene, mi sembra giusto riconoscerlo.

L’approccio tedesco è quello giusto.

Perché non puoi prendere, come fanno alcuni amministratori locali da noi, un progetto bello e fatto di una altra città europea e trapiantarlo qui.

Ogni città è diversa.

E se guardiamo solo al Belpaese, nessuno può negare che Torino non è Catanzaro, Milano non è Napoli, Genova non è Bari.

Non una semplice contrapposizione Nord Sud, argomento che non mi ha mai interessato.

Orografia, conformazione del territorio; e sviluppo urbano. Come si può immaginare che la piatta Milano sia la collinare Napoli? Le monumentali strade di Torino o i carruggi di Genova non possono essere trattati allo stesso modo quando ci devi pedalare.

Le strade, le salite e soprattutto le linee di comunicazione. Ogni città ha il suo polo finanziario, industriale, commerciale.

Quali sono i tragitti necessari, quelli usati dalla maggioranza dei cittadini per andare al lavoro?

Perché la mobilità ciclistica non è passatempo per sfaccendati, come una precisa parte politica sostiene, e ciclabili panoramiche ma inutili a chi si sposta per lavoro non ne vogliamo più..

L’Europa si pone un ambizioso obiettivo, le emissioni zero da qui a pochi anni.

Emissioni che non sono solo frutto della mobilità a motore endotermico ma, almeno in città, in buona parte si.

Introdurre bike sharing, monopattini o roba simile da solo non basta; serve solo a darsi una patina green a favore di telecamere.

Serve invece creare competenza specifica e serve poi che tale competenza sia trasferita sul luogo, coinvolgendo chi ha per davvero la conoscenza di come funzioni e cosa servirebbe a quella specifica città.

Soprattutto serve crederci.

Buone pedalate.

 

COMMENTS

  • <cite class="fn">Max</cite>

    Bravo Fabio concordo….quasi su tutto.
    In merito alla competenza snobbata devo però purtroppo aggiungere che troppe volte i cosiddetti “esperti” e “competenti” hanno tradito…troppi i venduti, al partito, alla lobby finanziaria, a questo capitalismo divorapianeta, quelli che stiracchiano la Costituzione per un interesse particolare, la “ggente” ormai diffida…come cantava il napoletanissimo Bennato a proposito dei “dotti, medici e sapienti..scappa Pinocchio scappa”
    un caro saluto

  • <cite class="fn">Guybrush Threepwood</cite>

    “Creare sapere”
    In effetti è vero. Nella realtà dei fatti invece mi pare che (almeno da noi) sia quello di incentivare all’acquisto ma mai all’uso. Porto un esempio: nonostante l’altissima richiesta di bici dell’anno precedente, a causa di eco bonus ecc ecc, ad occhio e croce la mobilità urbana mi sembra pressoché la stessa. Eccezion fatta per qualche scellerato che viaggia in monopattino in mezzo alle macchine perché, di fatto, non avrebbe alternativa alcuna. Possibile che ci si riversi sempre e solo in un inutile ondata di acquisti senza poi ottenere nulla?
    In Germania ricordo il bike sharing già 19 anni fa…e sono itra i più grandi produttori d’auto del mondo. Noi manco più quelle riusciamo a fare…
    Daniele

  • <cite class="fn">ANTONIO DANIELE</cite>

    Fabio, hi perfettamente ragione, e aggiungerei che in Italia purtroppo mancano le competenze a tutti i livelli, non solo negli uffici tecnici dei Comuni ma soprattutto a livello di Università, di programmatori di Piani Nazionali e Regionali di Mobilità; si affidano progetti di mobilità a soloni universitari esperti di fluidificazione del “traffico” (inteso come motorizzato privato). Spero comunque in una nuova generazione di vedute più ampie, magari che ha acquisito le proprie competenze in paesi come la Germania!

  • <cite class="fn">xilonfaber</cite>

    Non posso che condividere pienamente. La disfattista descrizione di una politica che ci impone scelte, di un’economia che ci plasma senza che noi possiamo far nulla è deprimente e sbagliata. La politica è generata da noi che scegliamo e che possiamo pretendere scelte e cambiamenti. Da noi che dobbiamo attivarci e premere per cambiare politica e scelte.
    La tua analisi Fabio è puntuale, chiara: va cambiata la coscienza sociale del trasporto e del muoversi sul territorio. Ogni strada dovrebbe essere già pensata fin dalla sua genesi come costituita da carreggiate per macchine e da carreggiate per bici ( o altri mezzi? Monopattini? qui sono un poco scettico) che si spartiscono in maniera equa la viabilità. Sono veicoli di pari importanza giuridica e di pari dignità. Lo so, noi vorremmo dare anche più spazio alle due ruote, ma si sa, la praticità e la comodità di un’auto alle volte è superiore. Benchè così meno efficiente dal punto di vista di occupazione di suolo, esigenza di spazio, consumo di risorse…
    La biciletta è un mezzo efficiente, che richiede molte meno risorse da investire per lo stesso numero di km percorsi da un’auto: pensiamo ai parcheggi, alla larghezza delle corsie, alla manutenzione dell’asfalto, agli incroci, etc etc. Ma come dici bene Fabio, richiede (come ogni intervento di mobilità dopotutto) uno studio per ottimizzare percorsi, strutture. Mi piacerebbe che la mobilità su due ruote per esempio venisse inclusa nella pianificazione generale della mobilità din città per esempio. Ho vissuto quasi 15 anni a Trieste, dove in effetti è difficile spostarsi in bici dal livello del mare (il centro città) ai quasi 300 metri dell’altopiano e dei quartieri più periferici. Ma nessuno sforzo è stato fatto per pianificare o pensare a come poterlo fare e gli spostamenti in bici anzi sono fatti ancora più difficoltosi dal fatto che le poche strade che portano verso l’alto sono molto trafficate, strette, non protette, pericolose per gli utenti a due ruote. A quel punto è chiaro che il detto popolare diventa, come dicono i triestini, “Trieste no xe per bici”…

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Damiano, intervengo perché hai sollevato un punto molto importante e che io avevo solo accennato.
      Hai ragione, la bellissima Trieste (mi innamorai delle strutture del vecchio porto e spero siano state recuperate, manco da oltre 25 anni) ha il problema del dislivello, come tantissime città collinari.
      Però la tecnologia per ovviare al problema esiste ed è applicata in Nord Europa come nel Nuovo Continente.
      Una sottile corsia con un “puntello” a cui poggiare il piede e farsi spingere.
      E per la scale e gradinate varie basta un semplice scivolo in metallo o legno, a seconda delle necessità per non deturpare il paesaggio.
      Uno dirà: ok, ma ci sono le ebike e risolvi.
      Risolvi fino a un certo punto per vari motivi.
      Anzitutto il costo, di molto superiore a una bici muscolare da usare per gli spostamenti quotidiani.
      Il ricovero, perché non tutti hanno un box e salirti per le scale i 25 e passa kg di una ebike scoraggia anche i più volenterosi.
      Le ebike possono essere una delle soluzioni ma non la soluzione definitiva.
      La ricetta, se mai ne esiste una, è rendere l’uso della bici in città facile e sicuro.
      Intervenendo sulle infrastrutture, diverse per ogni città perché ognuna ha le sue peculiarità.
      E aggiungo intervenendo anche sui luoghi di lavoro, come per esempio ha fatto Shimano Italia creando una area attrezzata, spogliatoi, docce e persino officina per manutenzione spicciola.
      Bella forza, uno dirà, parliamo di Shimano, se non favoriscono la bici loro.
      Vero, però è qualcosa che con un poco di buona volontà può fare qualunque azienda di medie e grandi dimensioni.
      In fin dei conti Shimano ci avrà messo gli attrezzi che produce, non mi risulta produca anche le docce…

      fabio

  • <cite class="fn">Michele</cite>

    In merito a questa interessante e fondamentale discussione relativa alla mobilità ciclistica, vorrei segnalarvi la discussione parlamentare in atto in Svizzera su questo tema: https://www.parlament.ch/press-releases/Pages/mm-kvf-n-2021-10-26.aspx?lang=1040 . Tenete comunque conto che la rete ciclabile svizzera è già parecchio avanzata, sia a livello extraurbano (si vedano i percorsi favolosi già predisposti: https://www.schweizmobil.ch/it/svizzera-in-bici.html ) che a livello urbano (qui a Berna, dove vivo, hanno ampliato la dimensione di molte corsie riservate alle bici tanto che si può senza problemi superare qualcuno senza invadere la corsia dei veicoli motorizzati).

  • <cite class="fn">Michele Bernardi</cite>

    Aggiungo anche un dettaglio riferito alla risposta data da Fabio a Damiano. Io ho la fortuna di lavorare per l’amministrazione federale. La nostra unità conta di circa 300 persone ed è alloggiata in uno stabile di 13 piani quasi in centro di Berna. L’amministrazione federale ci ha predisposto un parcheggio sotterraneo ricavato da un sottopasso pedonale in disuso, provvisto di cancello con chiave e di docce che possono essere usate sia da coloro che arrivano in bici da lontano che da chi sceglie di fare jogging o bici nell’intervallo di mezzogiorno (come capita spesso a me). Quando c’è la volontà e la sensibilità su certi problemi, tutto è possibile!

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Dici bene Michele: “Quando c’è la volontà e la sensibilità su certi problemi, tutto è possibile!”
      Ecco…

      Fabio

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