[Officina] Mettiamo in strada la “bici da palo”, la manutenzione essenziale

Come riportare in piena efficienza la bici da palo

Tempo di lettura: 7 minuti

Come riportare in piena efficienza la bici da palo

La prima operazione non è come si potrebbe pensare la pulizia bensì lo smontaggio completo, telaio a nudo per capirci.
Può sembrare un eccesso, ma lo scopo è riportare ogni componente alla condizione di lavoro ottimale, quindi è necessario avere tutto rimosso.
Smontare completamente una bici ben tenuta, assemblata cioè con tutti quei piccoli accorgimenti che ti servono a non perdere tempo ogni volta che devi togliere qualcosa, mi porta via di solito una ventina di minuti al massimo.
Smontare questa Bianchi ha richiesto alcune ore e non certo perché erano presenti decine di accessori, anzi, c’è proprio nulla.
La bici non ha mai avuto cure, mai un velo di grasso sulle filettature che si sono praticamente saldate, tutte.
Questo comporta una diversa tempistica nello smontaggio rispetto a una bici curata, ossia un diverso ordine di rimozione dei pezzi. Non è possibile, per capirci, smontare i pedali con la guarnitura montata alla bici, la procedura richiede l’uso di attrezzi e sistemi che potrebbero rovinare la bicicletta, quindi è necessario lavorarci a parte.
Ma andiamo con ordine, sennò faccio solo confusione.
Ho iniziato con la rimozione della catena. Se c’è la falsamaglia è un attimo, altrimenti è necessario ricorrere alla smagliacatena. Fedele al principio del risparmio, se la catena si presenta in buone condizione, solo sporca, io la recupero. Quindi in fase di smontaggio avrò cura di non far fuoriuscire completamente il pin, in modo da poterlo ribattere quando dovrò richiudere la catena.

Come potete vedere nella foto in alto, il pin non è fuoriuscito completamente; se è la prima volta che usate uno smagliacatena (ma anche la decima o la centesima…) procedete per gradi. Si tratta in pratica di agire sul pin, fermarsi, rimuovere l’attrezzo e controllare di quanto è uscito il pin, provando con le mani a torcere la catena per vedere se si sgancia con facilità e continuare così, anche agendo di soli pochi gradi per volta con l’attrezzo.
Se il pin viene via del tutto dopo riutilizzarlo è complicatissimo.
Una bacinella di metallo con petrolio bianco e subito la catena in ammollo, per la pulizia col pennello preferisco aspettare che lo sporco si sia ammorbidito.

Nel frattempo torno alla bici sul cavalletto da lavoro. A proposito di cavalletto: per operazioni di questo tipo io lo ritengo indispensabile. Ma io sono fatto così, ho le mie fisime. E’ sufficiente che la bici sia sollevata da terra, va bene pure appesa a una trave in cantina, perché tanto molte operazioni che richiedono “forza” saranno eseguite su componenti già rimossi.
Proseguiamo.
Tolta la catena è il momento di scoprire se i pedali vengono via o hanno deciso di unirsi indissolubilmente alle pedivelle. Nel mio caso è stato così, quindi ho rimosso prima la guarnitura.
Dieci volte su dieci una bici da palo ha il movimento a perno quadro, sigillato o a calotte aperte, perché se fosse una perno passante come la Shimano Hollowtech vorrebbe dire che la bici è troppo nuova e preziosa per la sua funzione.
Chiave a bussola, estrattore pedivelle e via. Per la corretta procedura di rimozione di guarnitura e movimento vi rimando all’articolo già presente in questa categoria.

Nell’ultima foto della sequenza potete vedere il movimento centrale molto economico, con le calotte in plastica. La destra si nota ha doppio ingaggio per l’attrezzo. Se vi imbattete in un movimento uguale, io sconsiglio l’uso dell’attrezzo per l’ingaggio interno, quello con tanti piccoli dentini. Meglio usare l’altro, quello esterno, con l’attrezzo a tazza che si vede in foto, che non danneggia i poco resistenti denti.
Di contro, comprendo, è un attrezzo costoso e non semplice da trovare in negozio, sia nella vendita al pubblico che fra gli attrezzi dell’officina (è uno standard a bassissima diffusione) quindi alla fine si risparmia montando un nuovo movimento, con calotte in metallo…

Rimosse guarnitura e pedivelle l’ho capovolta e spruzzato una bella dose di sbloccante ai perni dei pedali. Farlo dalla parte interna è una questione pratica: otto volte su dieci nella parte interna delle pedivelle la zona dove infulcra il pedale è concava, formando un serbatoio naturale per lo sbloccante che avrà tempo di penetrare.
Se dopo una mezz’ora (nel frattempo mi dedico ad altro) vedo che il liquido sbloccante è ancora lì, è segno che non penetra e quindi la situazione diventa scabrosa, tale da richiedere le maniere forti.
Che si traducono nel ricorso alla pistola termica per sverniciare (pedivelle in alluminio, se fossero state ricoperte di plastica non avrei potuto farlo) e via a scaldare e tanto la zona pedali, sempre dall’interno. Prima ho avuto cura però di asciugare lo sbloccante rimasto a oziare sulle pedivelle.
Sfruttando le proprietà dei due diversi materiali, alluminio per le pedivelle e acciaio per gli assi dei pedali, col calore ottengo una dilatazione differente: più rapida per i pedali, più lenta per le pedivelle.
Faccio raffreddare, poco, sfruttando il naturale “restringimento” che avrà scollato asse e pedivella.
Pedivella a terra, su una superficie morbida, tipo un vecchio tappeto, tenuta ferma con i piedi e il massimo della trazione che riesco a esercitare. Un consiglio: prestate massima attenzione alla guarnitura, perché il senso per svitare il pedale (antiorario) potrebbe facilmente farvi ferire le mani contro i denti delle corone. Se sono rimuovibili, toglietele. Nel mio caso, dove mi sono ritrovato una guarnitura economica, non lo sono, quindi guanti da lavoro in pelle e uno straccio sulle corone, nella speranza di non finire all’ospedale: è andata bene e il pedale impossibile da smontare è adesso tra le mie mani.
In precedenza, mentre attendevo invano che lo sbloccante si svegliasse dal suo torpore, ho rimosso cambio, deragliatore, ruote e cavi freno.
Una spruzzata di sbloccante, finalmente arzillo, nelle sedi delle viti dei corpi V-brake e via anche loro.
A seguire il movimento centrale, il manubrio, l’attacco manubrio, la forcella e la sella.
Bene, ho solo il telaio tra le mani con le calotte della serie sterzo in sede, è il momento di dargli una bella lavata.
Operazione non solo estetica, la pulizia mi aiuta a scoprire eventuali danni.

Lavato a fondo telaio e forcella è la volta di una approfondita pulizia di ogni componente, con l’aiuto di un buon sgrassante e uno spazzolino per i denti a setole dure, capace di penetrare ovunque.
E quando dico ogni componente intendo davvero tutto, ogni singolo pezzo e vite che compone una bici.
Una volta che tutti i pezzi sono puliti e asciutti inizia il rimontaggio che procede di pari passo con la revisione.
Il mio schema infatti è pulizia, revisione del pezzo al banco e montaggio sulla bici.
Un tantino paranoico, è vero: il dramma è che mi diverte pure.
La prima a subire le mie morbose attenzioni è la serie sterzo.
Poiché quella montata su questa bici ha i cuscinetti (piccolissimi…) sciolti e non ingabbiati, ho messo sotto il tubo sterzo una bacinella magnetica. Lo stesso qualche cuscinetto ha deciso di lasciare la rotonda prigione delle calotte e a nulla sono valse le mie ricerche per riportarlo in cattività. Per fortuna ho sempre una buona scorta di cuscinetti nelle misure più comuni.
Pulizia accurata delle sedi, grasso nuovo, cuscinetti di nuovo in sede (sempre con la bacinella magnetica sotto, hai visto mai) un velo di grasso sopra e chiusura con gli anelli di ritenuta.

 

La serie sterzo è fatta, passo al movimento centrale.
Una buona passata di grasso sulle calotte (non sulla scatola, altrimenti il grasso andrebbe in profondità e non dove serve) e anche il movimento è tornato in sede.
Una ripassata alla filettatura del forcellino cambio con l’apposito maschio per filettare, velo di grasso e cambio avvitato.

Guarnitura (grasso sull’asse movimento, poco, per favorire l’innesto delle pedivelle) e deragliatore al passo successivo. Con gli elementi fondamentali della trasmissione montati, applico qualche goccia d’olio denso sui perni dei pantografi di cambio e deragliatore.
Mentre l’olio penetra mi dedico alla revisione dei comandi, che è necessario rimuovere dal manubrio e che richiede prima la rimozione delle manopole.
Operazione difficile con manopole vecchie e indurite, che però diventa semplicissima con un piccolo trucco: sollevo un poco una estremità della manopola con un piccolo cacciavite e spruzzo alcool puro. Sempre col cacciavite lo ruoto lungo la circonferenza della manopola in modo che l’alcool penetri. Stessa operazione alla estremità opposta della manopola: pochi secondi e la manopole scivolano via con facilità. Non usate sbloccanti e olii vari, che dopo renderebbero la manopole non riutilizzabili: l’alcool evapora e non ci sono problemi.
Con i comandi davanti a me sul banco li apro, li pulisco con cura e lubrifico con olio denso i meccanismi.
Fatto questo, installo attacco manubrio, manubrio rialzato (che preferisco allo scopino di serie e visto che me avanzava uno in microfficina…) comandi e manopole, giusto in sede senza stringere, le regolazioni di assetto le farò alla fine e mi dedico alle ruote.
Una passata sul centraruote per verificare se c’è qualche raggio da tendere e in effetti c’è.
Tolte le ruote dal centraruote passano sul banco da lavoro per la revisione dei mozzi.
Bacinella magnetica sempre presente, allento solo un lato, estraggo i cuscinetti e poi rimuovo l’asse (con cono e distanziale quindi ancora in sede sull’asse) dal lato opposto, sempre prestando massima cura nel non perdere i cuscinetti.

Per mia abitudine uso delle scatolette di latta per riporre i cuscinetti e ne uso due, una per ogni lato del mozzo. Una abitudine che mi è rimasta da quando era usuale che il numero di cuscinetti alla ruota posteriore fosse diversa per i due lati, e diverse spesso anche le misure. Dividendoli in fase di rimozione è impossibile sbagliare.
Pulizia accurata di piste, coni, asse e cuscinetti; grasso nuovo, cuscinetti di nuovo in sede col grasso a fare da collante per impedirne la fuga, un ultimo velo di grasso sopra e chiusura. A proposito di grasso; fedele alla linea che è una bici da palo, in questo caso ricorro a un grasso per cuscinetti al litio che ha dalla sua una ottima resistenza all’acqua, anche se garantisce un poco meno scorrevolezza di quello che invece utilizzo per i mozzo delle altre mie bici.

La regolazione dei mozzi non è difficile tecnicamente, richiede solo un poco di pratica.
Serro a mano il cono e raggiunta una regolazione quasi ottimale avvito il dado di fermo.
Con la chiave ruoto di qualche altro grado il cono, in modo che sia serrato più forte di quella che è la giusta regolazione. Faccio questo perché serrando poi il controdado c’è sempre un leggero allentamento del cono; se non stringessi quel poco in più il cono, una volta chiuso il sistema mi troverei con un certo gioco. Così facendo invece al momento della chiusura il leggero allentamento tipico di questa fase è compensato dalla chiusura eccessiva di prima e in un attimo ho i mozzi regolati.
Operazione più difficile a spiegare che a fare, mi rendo conto. Come in tanti lavori sulla bici, più che la tecnica che è spesso semplice, conta l’esperienza sul campo, perché in un articolo non puoi descrivere la sensazione della chiave tra le mani.

Completo le ruote installando camere d’aria, copertoni e ruota libera. Poiché in questo caso la bici ha mozzo a filetto mi sincero che la ruota libera giri libera: bella battuta eh? Ok, lascio perdere.
Un poco di olio denso che scende per gravità nei meccanismi interni (basta darlo lungo il bordo interno del meccanismo ruota libera), il solito velo di grasso sulle filettature e pure i pignoni sono in sede.
Ruote sul telaio è il momento di rimontare i corpi freno, con tacchette nuove.
L’incuria ha rovinato le sedi dei freni, ma c’è un sistema rapido per riportarle a nuova vita eliminando senza fatica l’ossido che si è formato e che col suo spessore impedisce l’ottimale scorrimento dei freni.
Un pezzo piccolo di carta abrasiva molto fine, la grana 800 è perfetta e un tarpano avvitatore tutto ciò che serve.
Avvolgo la carta abrasiva intorno alla bussola dei freni, serro intorno il mandrino del trapano e faccio ruotare.

Lucido senza fatica, furbo vero?
Allo stesso modo lucido anche le boccole interne dei V-brake, in queste caso però creo un tubicino con la carta abrasiva e lo appunto al trapano inserendo poi nella boccola.
Non deve lavorare di forza, solo di velocità perché deve lucidare senza graffiare.
Immancabile ingrassata (grasso molto fluido, se non lo avete meglio l’olio) sulle boccole e i corpi freno sono in sede.
Tacchette nuove, regolate al cerchio a cavo ancora staccato. Regolazione di massima, per quella di fino attendo di collegare i cavi.

La catena che nel frattempo è pulita e asciutta torna sulla bici, richiusa col suo pin originale, ribattuto però grazie all’apposito strumento presente sul tendicatena.
I pedali che tanto mi hanno fatto penare per essere rimossi non possono sfuggire a una occhiata.
Rimosso il cappuccio di plastica che copre l’asse, ho solo dato una registrata (allentando un poco) ai cuscinetti dell’asse e una piccola aggiunta di grasso, per buona misura.
Prima di rimontarli ho ripassato anche le filettature delle pedivelle, sempre con l’apposito maschio per filettare dedicato ai pedali.

Attenzione, non è un maschio per filettare qualunque, è specifico per i pedali non solo per il passo ma anche perché la filettatura dei pedali, lo sapete, è inversa per destra e sinistra. Quindi o usate lo strumento giusto o lasciate perdere altrimenti rovinate il pedale sinistro, perché il destro ha verso normale, cioè si avvita in senso orario e si svita in quello antiorario.

Dalla scorta personale della microfficina prelevo due cavi freno e cambio nuovi nonché guaine e capiguaina.
Dopo aver verificato i corretti fine corsa di cambio e deragliatore a mano, aggancio i cavetti (sono comandi indicizzati, se lo fate ricordate che il comando cambio deve essere nella posizione “pignone piccolo” e quello del deragliatore in posizione “corona piccola”) e correggo la tensione coi gli appositi registri.
Solito velo di grasso sul tubo reggisella e sulla vite delle ganasce del reggisella stesso (la sella è forata, col grasso impedisco che l’acqua penetri lasciandola sotto la pioggia: è una bici da palo, destinata a essere lasciata in strada), una regolazione all’altezza comandi, sella ecc. e la bici è pronta per andare in strada.

Costo complessivo dell’operazione, zero euro, ma solo perché tacchette, cavi e guaine li avevo già e copertoni e camere non necessitano di sostituzione. Altrimenti con una spesa tra i dieci e i quaranta euro massimo la bici torna nuova, almeno nella parte meccanica.
Tempo impiegato circa sei ore, per due terzi dedicati allo smontaggio e pulizia/revisione.
Molto tempo mi ha portato via rimuovere i pedali e il movimento centrale; ma anche la pulizia perché ho preferito farla molto approfondita.
Vale la pena? Si, altrimenti non l’avrei fatto.
Anche se si tratta di una bici tutto sommato scarsina e destinata a fare da ciuccio di carretta, sapere che adesso è completamente revisionata mi fa sentire più sicuro.
Lo schema è applicabile a qualunque bici di poche pretese, dove conta che funzioni tutto e il massimo del nostro futuro impegno dovrà essere gonfiare le ruote quando necessario e un poco d’olio alla catena quando ci ricordiamo.
Niente a che vedere con le lucidature a specchio di Elessar o le infinite cure a cui sottopongo la Rose, ma quelle sono le mie bici, questa è uno strumento, qualcosa che punta alla sola utilità.
Deve funzionare, non crearmi problemi e non richiedere più tempo del poco che posso dedicarle.

Ecco la bici in versione quasi definitiva; mancano portapacchi e parafanghi, nonché la sostituzione dei QR di sella e ruote con assi e dadi: gli sganci rapidi sono una tentazione troppo forte…

Ultima notazione, ché mi è venuta in mente mentre rileggevo prima di comandare la pubblicazione. Il costo è stato praticamente nullo per me, ma solo nelle spese vive e perché avevo già in casa ciò che mi occorreva.
C’è un costo che effettivamente non ho valutato: l’attrezzatura. Per compiere tutte le operazioni di cui ho parlato, a parte il cavalletto da lavoro che è possibile sostituire con qualcosa di idoneo a tenere la bici sollevata e con le ruote che non sono a contatto con qualcosa, smagliacatena, chiavi varie, estrattori specifici nonché i preziosi maschi per le filettature son tutte cose che costano, e pure parecchio.
Questo ridimensiona, e molto, la convenienza nel fare da sé, almeno sotto l’aspetto economico. Dove risiede allora il vantaggio? Nel fatto che, come ho scritto sopra, un meccanico non dedicherà tante ore a svolgere questi lavori perché poi dovrebbe chiedere una cifra di molto superiore al valore della bici. Giustamente tanti lavori non li esegue.
Altro vantaggio è che le bici da palo sono una ottima nave scuola: si impara a lavorare su una bicicletta e poco male se si fanno danni, il valore è basso e il rischio accettabile.


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COMMENTS

  • <cite class="fn">Francesco Firenze</cite>

    Articolo veramente interessante e ben fatto. Come al solito del resto, ormai ci hai abituati male…
    Da neofita mi sarebbe piaciuta qualche riga in più sulla regolazione del cambio.

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Ciao Francesco, hai ragione, sarebbe stato utile fornire maggiori dettagli tecnici.
      Però ho preferito una impostazione diversa per non allungare troppo l’articolo, che altrimenti, inserendo tutte le descrizioni tecniche, sarebbe diventato enciclopedico. Se pensi quanto spazio ha richiesto il solo articolo, pubblicato ne “L’officina in casa”, sul movimento centrale a perno quadro, te ne puoi rendere conto.
      Del resto, ho pensato, appena il tempo me lo consentirà saranno inseriti nel blog gli articoli relativi alle procedure in dettaglio, sia su come si regola tutta la trasmissione che i freni e così via.
      Questo pubblicato è più la lista della cose da fare con qualche piccolo suggerimento per risolvere i problemi che possono sorgere mettendo mano su bici vecchie (in tanti hanno distrutto le pedivelle per non aver usato il calore, per esempio) che la descrizione delle operazioni.
      Lo sto ripetendo spesso, gli articoli arriveranno, e arriverà o un nuovo blog o un sito, per rendere la consultazione molto più semplice.
      Sto facendo tesoro dell’esperienza nella impaginazione del libro proprio per garantire in futuro fruibilità nei contenuti qui.
      Fabio

  • <cite class="fn">bikediablo</cite>

    Ciao Fabio,
    per gli strumenti e lo spazio per lavorare si può ricorrere ad una ciclofficina, a Roma ce ne sono diverse e mettono a disposizione estrattori, chiavi piatte ecc.

    marco

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Hai ragione Marco, non ci avevo pensato; sarà che, anche se micro, alla mia personale officina manca poca roba e non ho mai avuto la necessità di avvalermi di una officina esterna.
      Però è giusto ed anche nello spirito della bici da palo.

      Fabio

  • <cite class="fn">marco</cite>

    Domanda forse stupida.
    La carteggiatura delle “sedi dei freni” è applicabile pari pari anche se i freni
    fossero stati dei cantilever ?
    Immagino di si, ma non si sa mai.
    Grazie
    Marco

    • <cite class="fn">elessar bicycle</cite>

      Nulla da aggiungere, ti sei fatto la domanda e ti sei risposto; scribacchio giusto per far vedere che leggo sempre tutti, anche se a volte le risposte tardano 🙂
      Fabio

  • <cite class="fn">marco</cite>

    Dai era una domanda stupida e mi rispondo da solo: Sì!
    Avevo fatto sabbiare il telaio e non erano state mascherate le sedi dei freni, quando ho rimontato i cantilever non ho proprio pensato a pulire la superficie.
    I freni risultavano un po’ poco scorrevoli sul perno e leggendo il tuo articolo ho capito perchè
    ieri ho provveduto a smontare, scartavetrare e rimontare i freni ed ovviamente è tutta un’altra cosa 🙂

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