Troppa ansia in bici

Tempo di lettura: 2 minuti

Tanti anni a pedalare, adesso ho paura ogni volta che esco.

Dopo i mesi di stop forzato per l’emergenza sanitaria, a metà maggio decisi la mia prima uscita in bici.

Per svago, per liberare la mente dopo molti mesi difficili, in cui i colpi sono stati duri.

Nemmeno 10 km percorsi e una vettura in manovra mi ha preso in pieno, niente di rotto ma braccio destro immobilizzato e sinistro al 10% della funzionalità.

Per molti giorni e con molto dolore.

Appena ripresa una decente mobilità ho ripreso anche la bici, test di materiale dedicato al ciclismo urban; quindi non troppo impegnativo e soprattutto sfruttando l’assetto da città a manubrio dritto ché la piega proprio non la potevo impugnare.

In coda c’era altro materiale da testare, tutta roba su cui avevo iniziato a lavorare a febbraio, poi la chiusura di marzo e quindi tutti a casa.

Non era rimasto molto in realtà, solo le verifiche a tutte le risultanze diligentemente incolonnate sul notes.

Ho ripreso così anche bici con la piega, strada e fuoristrada per chiudere tutto e avere la mente sgombra per scriverne in tranquillità.

Mi ha preso il panico su strada come mai prima d’ora.

Vero che in quasi quarant’anni che scorrazzo pedalando, ho iniziato con la bici da corsa a 12 anni, ho avuto in tutto quattro incidenti, di cui uno solo con conseguenze più gravi.

Vero che tre di questi sono avvenuti negli ultimi tre anni.

Una macchina mi ha buttato giù a una rotonda, scivolata, casco che mi ha salvato la capoccia, abrasioni ma nulla più.

Una subdola lastra di ghiaccio, davvero improbabile alle mie latitudini, volo e botta al ginocchio. Tutta colpa mia.

E poi l’investimento a maggio.

Che ha lasciato il segno, nel fisico e ancor più nella testa.

Nel fisico perché è emersa una lesione muscolare al braccio destro, con fastidiosa ipertrofia che si fa sentire dolorosamente dopo nemmeno mezz’ora. 

E che soprattutto in fuoristrada mi ha creato e sta creando molti problemi di guida, tanto che per chiudere il test della Pirelli Cinturato Gravel H ho scelto di rimontare il gruppo Shimano GRX con annesse leve freno supplementari, toccasana perché posso affrontare molti passaggi in presa alta senza stressare troppo il braccio.

Ma è nella testa che qualcosa non funziona.

Ogni auto che mi raggiunge e supera è ansia.

Ogni rumore di veicoli a motori alle mie spalle è panico mi centri in pieno.

Passo quasi più tempo a guardarmi alle spalle che la strada davanti a me.

Proprio ieri Giovanni, uno di noi, mi ha scritto in privato per esternarmi i suoi timori, anche lui reduce da una caduta in bici e anche lui con la paura a tornare in sella.

Chiudendo il suo messaggio con la difficile domanda “Come si supera questa cosa?”

Non lo so.

Non ho esperienza, né in bici né in moto.

Oltre i quattro incidenti in bici di cui vi ho raccontato (tre, il quarto ero ragazzetto e volai da scemo per farmi un tornante in controsterzo) e una sola caduta in moto per essere stato tamponato, non mi è successo altro.

Le scivolate in fuoristrada non fanno testo, innocue perdite di aderenza che feriscono solo l’orgoglio.

Non sono uno che ha passato mesi in ospedale per un incidente e poi è tornato a pedalare. Ho passato molti mesi in molti ospedali ma per altro.

Non ho saputo rispondere a Giovanni, che cercava conforto e rassicurazioni.

Solo concludere che non se ne esce, si torna a pedalare e provare a non pensarci.

Però ho visto ieri mattina che con me non sta funzionando.

Uscita di rifinitura per il test da pubblicare domani delle Pirelli Cinturato Gravel H, mi serviva solo percorrere più volte alcune curve di un sentiero per verificare diverse manovre, giusto per scrupolo perché sapete quanto sono certosino nelle verifiche.

Appena 3 km di statale da percorrere prima di deviare in direzione lago, con la sua pletora di canali e sentieri che li costeggiano e che conosco a memoria.

Tre chilometri di ansia. 

Traffico delle vacanze, sono venuto per qualche giorno a riaprire il mio minuscolo rifugio estivo con bici al seguito per lavorare ai test, arrivato alla rotonda sono andato nel pallone.

Auto dietro a tutta, auto a destra che non sapevo se avrebbe rispettato la precedenza (qui non hanno ancora capito come funzionano le rotonde…) auto in direzione opposta che pure non sapevo se mi avrebbe fatto passare, io che la dovevo percorrere per 270 gradi, e niente, non sapevo che fare.

Mi sono messo a sbracciare come un cretino, all’auto a destra, a quella dietro, ho fatto segno a quella difronte.

Mentre procedevo a velocità ridicola convinto che da un momento all’altro qualcuno ripartisse al solo scopo di centrarmi.

Tutto folle, lo so; tutto irragionevole, lo so.

Ma lo so adesso, mentre scrivo. 

Sui pedali no, mi sembrava la cosa giusta da fare

Io non so se tutta questa paura è per il dolore fortissimo che mi ha accompagnato per giorni dopo l’ultimo incidente; se è per la situazione tutta, molto difficile, dove una mia forzata immobilità avrebbe conseguenze gravi con il lavoro già fermo da mesi; o se le due cose insieme.

L’unica cosa che so e che non so come uscirne.

Vado in bici lo stesso, per dovere; per chiudere i troppi test arretrati.

Ma se non fosse per questo quasi sicuramente lascerei la bici sul cavalletto.

Non va bene, d’accordo. Razionalmente ne sono consapevole.

Però non riesco a essere sempre razionale come vorrei.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Ove possibile, escludendo brevi tratti obbligati , rinunciando per ora alle strade più belle, solo il fuori strada ci aiuta a moderare tali apprensioni. Che poi è la motivazione di molti che fanno ‘mtb’ anche senza montagne… d’altronde anche Leopardi diceva che solo a contatto con la natura gli spiriti più inquieti trovano sollievo, e se lo diceva Giacomo…
    😉

  • <cite class="fn">mauro Dapporto</cite>

    Ciao Fabio, anche io dalla fine del lockdown ho notato un aumento dell’indisciplina e della disattenzione/superficialità da parte di chi utilizza le strade, ciclisti compresi, in poche settimane ho corso diversi rischi, tanto che ho acquistato un fanale/radar (non menziono il modello e la marca, ma sai di cosa parlo) qusto mi ha dato un poco di siscurezza in più, anche perchè io pedalo sempre in solitaria, ma sto anche pensando di acquistare una gravel per ridurre il tempo passato sulle strade asfaltate.
    Aggiungo che a mio avviso sta venedo meno anche lo spirito di cameratismo fra i ciclisti, oggi ero appena partito, qualche km fuori cittò, quando una vespa si è infilata sotto al casco e mi ha punto due volte, mi sono fermato e come immagino saprai le prime decine di minuti sono molto dolorose, ero seduto a terra sul ciglio della strada, tenedomi la testa fra le mani,sono passati almeno una dozzina di ciclisti e 4 o 5 auto, non un che abbia chiesto se avevo bisogno.

  • <cite class="fn">danant49</cite>

    Fabio, dai il tempo al computer (cervello) di riprogrammarsi dopo il crash e vedrai che pedalerai più sereno, nel frattempo poco asfalto e molto off road. hasta la vista bicicletero!

  • <cite class="fn">Daniele</cite>

    Che cosa brutta questa. In bici la testa è tutto. Se il meccanismo non è ben oliato…
    Daniele

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Difficile trovare qualcosa di saggio da aggiungere… non mi resta che augurarti che questa fase passi presto.
    Magari proprio il “dover” uscire per i test potrebbe aiutarti a ritrovare le sensazioni e le abitudini che adesso mancano, e che se la bici rimanesse ferma richiederebbero più tempo per tornare a galla. Oppure intanto puoi lanciare la sezione mtb del blog 😀

  • <cite class="fn">Alfredo Garofalo</cite>

    Da parte mia posso solo darti la mia vicinanza. Per quanto riguarda il come superare il blocco credo che nessuno possa darti consigli utili. Puoi solo non mollare, altrimenti cristallizzi la brutta esperienza, e aspettare che il tempo ti aiuti a dimenticare e a tornare sereno in sella. Magari se puoi per il momento limita il più possibile i passaggi sulle strade trafficate e vai su strade meno battute in modo da rendere graduale il “reinserimento”.
    In bocca al lupo!

  • <cite class="fn">Daniele</cite>

    Buongiorno, seguo ormai da tempo il tuo blog quindi vorrei iniziare con un “complimenti” per tutto il materiale sfornato negli anni.

    Ho letto con interesse questo tuo ultimo post. Proprio ieri mattina avevo in programma la classica uscita settimanale con un caro amico ma all’ultimo ho dovuto disdire a causa di un forte mal di testa e dolori cervicale di cui soffro. Bene, proprio ieri mattina il mio amico è stato investito da una auto fortunatamente senza gravi conseguenze. Arrivo al dunque: sono cinque anni che uso la mia bici da corsa ma sopratutto nell’ultimo anno questa ansia di cui parli la sento anche io nonostante non abbia mai avuto incidenti.
    Ma questa sensazione di pericolo, di non sicurezza, non mi fa vivere la bici come secondo me dovrebbe essere ovvero un modo meraviglioso di staccare la spina dalla quotidianità. Questo naturalmente influisce anche sulle prestazioni per quanto mi riguarda (mai eccelse per dover di cronaca) ma soprattutto mi condiziona sulle uscite e infatti calano a vista d’occhio.

    Mi chiedo cosa posso fare concretamente per migliorare questa situazione?

    Da solo sicuramente nulla, ma l’idea di sostenere gruppi autonomi di appassionati ciclisti che si battono per una viabilità sicura potrebbe essere un’idea. Nella realtà in cui vivo, un paese della provincia di Reggio Emilia, ne esistono due e grazie al lavoro che portano avanti da anni pressando le amministrazioni comunali, stanno arrivando ad un grande traguardo cioè la realizzazione di una lunga e sicura ciclabile che collega diversi centri abitati.
    Ho fatto questo esempio perché ho deciso da un po’ di tempo che mi batterò anche io per questo. Se prima vedevo la bici come passione e sport, ora mi sembra doveroso associare la parola “impegno sociale” perchè a mio avviso ritengo sia una valida soluzione e una buona risposta all’ansia di cui parli.
    Rendere quindi le strade più sicure. Sul come, ognuno lo decida in base alle realtà in cui vive.

    Pedalare in sicurezza dovrebbe essere una conditio sine qua non altrimenti i bonus, gli incentivi e tutto il resto serviranno a ben poco.
    Nonostante tutto però sono fiducioso, sono fiducioso in un cambiamento culturale da parte di tutti. Ci vorrà tempo, ma accadrà.

    Grazie dell’attenzione e continua cosi Fabio, un abbraccio.

    Daniele

  • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

    Risposta unica per tutti.
    Anzitutto grazie, è sempre un piacere per me leggere i vostri interventi; mai banali, ponderati e affettuosi: e quest’ultimo aspetto aiuta.
    Concordo con voi sul fatto che negli ultimi tempi, non solo dopo la fine della chiusura sanitaria, qualcosa è cambiato.
    Oggettivamente andare su strada è diventato più pericoloso, c’è meno attenzione rispetto a prima. Perchè? Non lo so. Ma già dalla scorsa estate si avvertiva nell’aria, a ogni uscita, questa latente sensazione.
    Potrebbe darsi che invecchiamo, i tempi di recupero sono più lenti e i danni superiori rispetto a quando eravamo ragazzetti. Almeno io, mica siete tutti matusa come me qui…
    Può darsi che la situazione attuale, con ospedali ancora in affanno, misure di sicurezza varie, ambulatori a mezzo servizio, generi in molti di noi una supplementare paura. Perché un incidente di questi tempi è brutto e perché chi di noi è libero professionista o lavoratore in proprio sta uscendo con le ossa rotte, un ulteriore stop sarebbe micidiale e quindi la serenità scompare.
    Però c’è anche il grido di allarme di tanti professionisti che si allenano per strada e anche loro, che vivono in bici ogni giorni da anni, avvertono un clima cambiato. In peggio.
    Io non sono fiducioso e ci sta pure che sono mesi che ho perso tanta fiducia in molte cose; però finché i ciclisti saranno visti come debosciati nullafacenti da una parte politica al momento data per maggioritaria nel Paese, la vedo dura.
    Quando un aspirante leader rilascia dichiarazioni “va bene le bici ma ora pensiamo alle cose serie” e la sua sodale schernisce chi usa la bici per andare al lavoro “in bici? Ma siamo matti? Ma saranno i soliti radical chic di sinistra” oibò, io questo passo avanti culturale non lo vedo.
    Però è giusto che ognuno di noi, come scrissi in un post tempo addietro, parli con chiunque non usa la bici. Non per convertirlo, ma almeno per farglo capire che non siamo bersagli. Sfiorarci il gomito a 80 orari sulla provinciale può significare ucciderci, anche senza bisogno di centrarci in pieno.
    Comunque io per adesso pedalo, ansia o meno. Voglio chiudere i test, avere la mente sgombra per dedicarmi ad altro.

  • <cite class="fn">Giovanni74</cite>

    Salve a tutti. Sono Giovanni di cui ha accennato sopra Fabio. Sono appena tornato dal ritirare il referto della radiografia di controllo e purtroppo l’esito non era quello sperato, con la clavicola ancora non saldata ed una piccola frattura ad una costola non vista prima causa liquido, altri venti giorni almeno di braccio appeso al collo. Morale sotto i piedi anche se continuo a dirmi che ” mi è andata bene”. ed in effetti è così perchè non avevo autoveicoli dietro che potevano arrivarmi addoso dopo la caduta, perche il Met mi ha salvato il cranio e perchè sono tornato con le mie gambe a casa. Ho però avuto tempo di pensare a tutte le volte in cui mi è “andata bene” e sono decisamente molte, aperture di porte schivate, buche saltate, motociclisti che ti accelerano ad un metro, auto in contro senso ect. ho notato che l’elenco era decisamente lungo.Amo il ciclismo ma non ho timore a dirvi che ora ho paura, paura di rimanere ferito gravemente o di non poter tornare a casa dalla mia famiglia. Forse ci vorrà tempo, magari trovare il giusto percorso per superare tutto ciò, ma ora questo non lo sò.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Cavolo Giovanni, brutta situazione. Pensavo ormai fossi avviato alla completa guarigione.
      Non ho ricette né parole di conforto, solo un in bocca al lupo. Sincero

      Fabio

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Anche a te i migliori auguri di buona guarigione

  • <cite class="fn">Paolo Mori</cite>

    Domanda aperta a tutti: ovviamente escludendo l’uso prettamente urbano/pratico della bici, cosa vi trattiene dall’usare strade secondarie, viottoli di campagna e tutte le alternative che ci sono alle più trafficate statali e provinciali? Non che gli incidenti lì siano impossibili, ma si spera di stare un po’ più tranquilli…
    È una questione di velocità medie e di distanze che calerebbero, di orientamento meno immediato, di abitudini, di mancanza di alternative (ad es. valli e passi montani) o cos’altro? Per quanto mi augurerei ci fosse rispetto per tutti gli utenti sulla strada, chè tutti hanno diritto ad utilizzarla, io ho sempre cercato di minimizzare le percorrenze su strade trafficate perché mi sentivo a disagio e semplicemente non mi godevo le uscite. Sarei curioso di sentire altre opinioni in proposito…

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Paolo, non posso ripondere per altri; nel mio caso finché non imparo a volare non ho modo di raggiungere strade secondarie (che comunque sono trafficate uguale e spesso pure più pericolose perché strette) o campagna in piena sicurezza.
      Abito nel centro antico, prima di trovare un minimo di strada libera ho almeno 25/30 km di caos assoluto, sia all’andata che al ritorno. Im estate, quando trasloco al mio microrifugio, ho da percorrere almeno 15 km di flacca/appia/pontina. Spesso di più, sempre a/r e comunque le cose non migliorano di molto perché corrono parecchio su strade larghe 3 metri.
      Mi resta il fuoristrada, lo sto sfruttando parecchio ma considera che io ormai non esco più in bici per svago, ho i test che mi obbligano. Se devo fare strada, devo fare strada, punto.

      Fabio

  • <cite class="fn">Giovanni74</cite>

    Paolo la risposta te la dò io ed è la ragione per cui sono caduto: i cani. Qui da me ci sono parecchie strade secondarie ma a causa non solo del randagismo, ma di tutti gli scellerati proprietari che alle nostre proteste esordiscono con un “tanto non vi fà niente”, sono più pericolose che andare su una superstrada. Un mio caro amico, un agonista della MTB, ha passato dei brutti momenti su una di queste strade, tra l’altro ampia e ben asfaltata, a causa di una muta di cani uscita da un casolare. Ha dovuto farsi scudo con la bicicletta ed urlare aiuto fino a che non è uscito il proprietario del casolare che ha esordito con la frase testè detta. Alle proteste del mio amico ancora seriamente spaventato rispondeva con “quanto la fai lunga”. nel mio caso, un cane è uscito all’improvviso da dietro un muretto, sorprendendomi, per mandarlo via mi sono scomposto ed ho perso il controllo della bicicletta nonostante tutti i tentativi di stare in piedi. Non ti nascondo che proprio il giorno prima avevo comprato uno spray al peperoncino proprio per queste eveninenze ma non immaginavo di cadere vittima di un’imboscata.

  • <cite class="fn">Stefano</cite>

    Buongiorno a tutti, sono “incappato” piacevolmente ieri in questo sito/blog e innanzitutto (anche se non ho ancora avuto il tempo di studiarlo bene…!) faccio i complimenti a Fabio. Devo dire che anch’io negli ultimi anni, quando sono costretto (per brevi tratti) ad affrontare arterie di grande traffico (statali, ecc…) o comunque più frequentate del solito dal traffico automobilistico, sono preoccupato, per non dire addirittura ansioso. E lo sono anche per i mie figli di 15 e 19 anni che, come me, amano e praticano l’uso della bici, sia per spostamenti urbani che per tour ciclosturistici… Rifletto da tempo sui comportamenti di chi guida e studio molto il mio atteggiamento quando sono io alla guida dell’auto e incrocio dei ciclisti. Sono arrivato a queste conclusioni (che sono le stesse di una persona molto più titolata ed esperta di me in materia, cognato di mio fratello e capo redattore da più di 20 anni di una testata giornalistica nazionale dedicata al ciclismo famosissima seguitissima dagli appassionati: 1) possiamo girarla come ci pare ma in Italia c’è un grandissimo problema educativo e culturale: gli utenti della strada più fragili sono considerati zero dai “motorizzati”, sono ombre, presenze quasi imbarazzanti senza dirito di cittadinanza stradale. L’italiano medio torna attento e mite come un agnellino solo quando “gli si va in tasca”, ovvero, SANZIONI, SANZIONI, SANZIONI molto salate (in autostrada, nelle tratte dove è stato attivato il TUTOR, al quale non si può sfuggire, gli incidenti causati dalla velocità sono calati drasticamente…); 2) quando un ragazzo si iscrive a scuola guida, la prima lezione secondo me dovrebbe obbligatoriamente essere tenuta da un vigile preparato sull’argomento e vertere sulla responsabilità e sulla casistica (con annessi dati statistici) degli incidenti provocati alla guida, raccontando loro che il “mezzo motorizzato”, prima ancora di essere un mezzo di trasporto, se usato con leggereza, è un’arma, un dispositivo che può trasformarsi facilmente in uno strumento “di morte”… Insomma, un po’ di sano terrorismo psicologico e di richiamo alla realtà non guasterebbe. Alle menti svagate, spesso distratte da troppe cose dei nostri ragazzi (e anche di molti adulti che, ancora oggi, armeggiano alla guida con telefonini, display vari, ecc…), un po’ di sano “terrorismo” educativo non guasterebbe. E poi ancora SANZIONI, SANZIONI, SANZIONI…! Scusate lo sfogo ma è un problema reale e lo senrto molto… IMPORTANTE: prima di tutto però riflettiamo molto su come diventiamo e ci comportiamo noi quando da ciclisti ci trasformiamo in automobilisti: è un passaggio cruciale, fondamentale per avviare poi dinamiche educative virtuose…!

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