[Test] Wilier Adlar

La prova su strada

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La prova su strada

La prima cosa da fare quando scegliamo una Wilier Adlar è studiare con cura le geometrie per comprendere qual è la corretta taglia per noi.

La seconda cosa è lasciar perdere tutti i calcoli e le fisime e andare tranquilli, nel senso che se usiamo una M allora prendiamo una M, se usiamo la L prendiamo la L e così via.

Si, perché a dispetto dell’orizzontale importante, soprattutto per noi abituati alle sportive, l’armonia delle quote è tale che il risultato è perfetto.

Certo, all’inizio può venire qualche dubbio, sempre noi abituati alle sportive potremmo trovare la piega posta troppo su (ma non lontana) e sentire tutta la bici “alta di avantreno”.

Ma come vi ho già raccontato mesi fa, bastano pochi giri di pedale per trovare il giusto feeling.

Scoprendo una posizione di guida capace di assicurare il controllo totale della Adlar: e visto quello che consente, sia in strada che, soprattutto, in fuoristrada, beh, direi che ci piace così.

Prima di far girare i pedali l’ultima notazione di metodo per questo test.

La Wilier Adlar è proposta in differenti configurazioni di trasmissione e ruote. E mentre compongo queste note quella con l’Ekar GT non è ancora presente sul sito ufficiale.

Come spesso faccio quando a parità di telaio cambia solo la trasmissione (e le ruote, in alcuni casi), decido di concentrarmi sul comportamento globale della bici ed entrare nel dettaglio solo per la ciclistica, senza impelagarmi più di tanto sulla resa del gruppo. 

Anche se, anticipo, la trasmissione Campagnolo Ekar GT avrà un suo articolo dedicato perché ci sono valutazioni da fare ma qui preferisco parlare solo della Adlar.

Di cui, credo si sia intuito, sono profondamente colpito; mia moglie dice innamorato ma è abituato a vedermi trascorrere le serate in compagnia di una bici. Rassegnata rende meglio l’idea.

Chiarito questo portiamo la bici su asfalto.

E’ una gravel ma questo non significa non venga usata anche sul bitume.

Posso dire che il divertimento inizia subito. Certo, non abbiamo la pronta risposta di una sportiva stradale e nemmeno di alcune gravel dall’indole aggressiva, penso alla Rave di casa Wilier o alla prontezza al giro di pedale della Jena; ma non facciamoci trarre in inganno dalle quote giunoniche e dalle gomme belle larghe: basta prendere un minimo di velocità e ci si dimentica di essere in sella a una gravel orientata all’avventura.

In pianura si stabilisce subito un ottimo passo e questo, smentisco subito la mia notazione sulla impostazione del test, sia con le ruote Miche (previste nelle versioni Shimano/Sram) che con queste Campagnolo Zonda GT che accompagnano l’Ekar GT.

Non è bici da sparata pancia a terra, è ovvio. Ma se la gamba tiene, il passo è gagliardo. Molto aiuta l’incredibile livello di comfort, sia nella posizione in sella che nella generosa capacità di assorbire tutti i colpi che arrivano dalla strada. Che significa energia non sprecata per noi.

Un valido aiuto arriva senza dubbio dalla corposa gommatura (in prova oggi con le 700×47, nel test breve dello scorso settembre avevo le 700×50 e si andava, hai voglia che si andava…) ma sarebbe riduttivo e ingeneroso attribuire ai “salsicciotti” il merito del gran comfort della Adlar.

E’ il telaio che riesce ad assorbire, un validissimo protagonista è il tubo piantone. Già nella primissima presa di contatto, praticamente dopo nemmeno un chilometro, chiedevo a tutti i colleghi “ma sentite questa leggera flessione del piantone?”.

Tralascio le occhiate che significavano “ma pedala e basta, a fenomenooo” eppure durante questo test ne ho avuto conferma, anche se parlare di flessione non è esatto. 

Mi rendo conto che serve una certa sensibilità, probabilmente aiuta il fatto che mi trovo a pedalare su decine di bici diverse di continuo; ma ripeto sempre che se un ciclista non avverte un dato comportamento non significa che non esiste. Il lavoro lo fa lo stesso, il ciclista ne gode uguale e, cosa più importante, si diverte lasciando siano altri a scervellarsi per completare un test…

In salita la risposta è pronta ma non fulminea, il cambio di passo richiede quel mezzo giro di pedale in più. 

La Adlar è leggera e senti come l’energia della pedalata si trasmetta senza interferenze sino alla ruota motrice; ma è ovvio che paghi qualcosa rispetto a una stradale o a una gravel più sportiva (salvo rifarsi con gli interessi in off road, ci arriviamo…) e la condotta migliore è salire di passo, rilanciando solo quando necessario ma senza incaponirsi se una variazione di pendenza rallenta l’andatura.

Meglio salire di pignone e tenere la cadenza, del resto se abbiamo scelto una Adlar l’asfalto è solo la necessità di raggiungere i nostri sentieri; e pure i track da Mtb.

Le attuali trasmissioni monocorona per il gravel, tutte, hanno raggiunto la maturità e trovare la giusta combinazione corona/pignone è facile. 

Inoltre grazie alle ottime doti dinamiche della Adlar e la sua leggerezza (per una gravel) non serve ricorrere alla parte alta della scala pignoni, evitando di impegnare dentature importanti con gli inevitabili salti tra una combinazione e l’altra.

D’altro canto non nascondo che su alcune delle mie salite di prova avere tanta agilità mi ha salvato la gamba in più di una occasione.

Ma dove davvero ti godi la Adlar, sempre in ambito stradale, è la discesa. E non perché ci pensa la gravità a farti venir giù, anzi viene così tanta voglia di spingere che si arriva dabbasso col fiatone.

La stabilità è da riferimento, l’assetto rialzato non penalizza assolutamente il controllo, la comunicativa della bici è esemplare. La forcella è efficacissima, non flette nemmeno nelle staccate più assassine e tiene sempre la ruota anteriore perfettamente in strada, anche affrontando rappezzi e buche.

Spingendo forte sulle prime devi fare la tara alla rapportatura, per quanto la scala pignoni di questo Ekar GT sia ben spaziata nella parte bassa e, ovviamente, non ci sono salti come nella zona agile, serve capire bene quanto scalare in ingresso e come scendere in uscita per evitare troppa agilità o un rallentamento nel rilanciare.

Una leggera inerzia, rispetto a modelli gravel a chiara vocazione sportiva stradale c’è ma è davvero minima, devi cercare il pelo nell’uovo.

La stabilità in frenata è da riferimento, puoi calibrare al millimetro l’ingresso in curva e se devi correggere (perché sei fuori linea o ti imbatti nell’ostacolo imprevisto) puoi eseguire qualunque correzione necessaria senza che la Adlar ti tradisca.

La sensazione di sicurezza è elevatissima e questo permette di spingere forte senza altri patemi se non il traffico. Trovarsi una vettura davanti e rilanciare per superarla viene naturale.

E solo dopo ti rendi conto che forse stai rischiando, ma non perché la Adlar abbia limiti: perché in strada non siamo soli e non abbiamo le staffette davanti.

Ma questo la dice lunga sulle qualità della bici.

E visto che in discesa si raggiungono velocità notevoli in tutta sicurezza, ovviamente non ho tralasciato di pedalare col bagaglio. Non col portapacchi e borse (il primo è dedicato, proposto da Wilier) ma in assetto bikepacking.

Scegliendo anche di sbilanciare leggermente il peso, nessuno nel mondo reale carica la bici con la bilancia di precisione e io devo cercare di ricreare le situazioni tipo della vita di un ciclista.

Rivedendo i dati raccolti, i tempi e le velocità sono praticamente coincidenti, come coincidente è stata la sensazione di sicurezza accompagnata al feeling di guida tra bici carica e scarica. 

La piega con cui mi è stata consegnata la bici è tipicamente stradale; non so se per scelta o necessità (capita che le bici a parco stampa presentino qualche difformità) ma devo dire che in questi frangenti l’ho trovata assolutamente valida. Questo perché i comandi Ekar GT hanno il pulsante di discesa da azionare col pollice, soluzione classica di casa Campagnolo. E io sono abituato, la mia Elessar, la bici la cui creazione diede vita a questo blog, monta Campy.

Poi certo, in off road questa scelta tecnica mi ha creato qualche difficoltà ma di questo parleremo in un prossimo articolo dedicato solo alla trasmissione.

L’ho appena citato, quindi abbandoniamo il bitume e portiamo le ruote in fuoristrada, partendo da un livello facile. 

Le strade bianche, i sentieri compatti e veloci, per alcuni l’essenza del gravel. Non per me che preferisco spaziare su tutti i terreni e comunque ormai ho smesso di classificare il gravel o chiedermi cosa sia. In bici conta divertirsi e vi assicuro che sui terreni veloci la Adlar sa farti dimenticare ogni preoccupazione. 

Si prende subito un buon passo, la velocità sale, sei portato a scansare i fossi più profondi o scartando per cercare la linea migliore per superare il dosso, manovre che sempre fanno perdere slancio.

Poi capita che un fosso (o un dosso) lo prendi in pieno perché non l’hai visto e invece del contraccolpo che ti aspetti la Adlar manco se ne accorge.

Credi di essere stato fortunato, forse non era così profondo (o alto, però l’anteriore è decollato…) e prosegui senza calo di ritmo.

E ne prendi un altro e poi un altro, perché stavolta te li cerchi apposta, devi capire.

E vedi che la Adlar li snobba con aristocratica indifferenza, un semplice ostacolo non può fermarne l’incedere.

E capisci che l’avantreno così alto, l’angolo di sterzo importante, non hanno minimamente scalfito maneggevolezza e prontezza di sterzo. Anzi, regalano stabilità a piene mani, tanto che se non fosse per la polvere che ti ricopre ti vien da chiederti se non sei ancora sull’asfalto.

Anche qui doppia prova, bici scarica e carica: nessuna differenza rilevata, solo un ovvio calo di passo dovuto al peso aggiuntivo (del resto la gamba mia quella è…).

Insomma, se vogliamo restare nell’ambito di quello che molti definiscono gravel, la Adlar è perfettamente a suo agio. Ma ti rendi conto che morde il freno. Perché vuole di più.

Io lo sapevo già, me li ricordo bene quei (pochi) giorni passati insieme ma volevo la conferma sui miei percorsi, con i miei riferimenti.

Anticipo che l’unico limite è stata la gommatura: le Vittoria Terreno Dry sono eccellenti su sentieri compatti e strade bianche: ma l’assenza di una impettita tassellatura centrale limita la trazione su fondi morbidi. 

Ma siccome la Adlar non tollera di essere limitata, l’ho gommata con coperture da off road duro (non in foto/video, ovviamente) e chi la ferma più…

Come ben sa chiunque pratichi fuoristrada l’ostacolo appare spesso improvviso o è celato.

Penso alla radice o al masso perfidamente mimetizzati sotto un tappeto di foglie.

E come ben sa chiunque pratichi fuoristrada conta poco che conosci bene quel tracciato, in off road il percorso può cambiare da un giorno all’altro; basta una pioggia, il passaggio di un cinghiale, il vento e il masso è rotolato o il ramo finito al centro del sentiero.

Comunque con gomme di serie, o almeno con quelle di serie sulla bici che mi è stata fornita (ripeto che al momento in cui scrivo non c’è questa configurazione sul sito Wilier) l’unico limite è la trazione su fondi morbidi che obbliga a rapporti troppo agili per le capacità della Adlar, in grado di supportare velocità superiori.

Te ne rendi conto soprattutto scavallando il breve strappo tipico dei nostri boschi, terreno umido e cedevole e gradino da prendere di slancio. In qualche caso ho dovuto mettere il piede a terra perché le Terreno Dry slittavano; quando ho usato gomme più tassellate ho scavallato senza problemi e con un pignone o due più duri.

Ma attenzione: sto parlando di difficoltà tipiche della Mtb più che del gravel così come si è soliti definirlo.

Però siccome io ho smesso di definirlo, vado dove mi porta la Adlar.

E mi porta ovunque. 

Ma non basta, perché alla fine i percorsi miei di prova quelli sono, li affronto bene o male (spesso male, per mia esclusiva colpa) con qualunque bici o componente debba provare, quindi potrebbe sembrare che in fin dei conti non ci sia differenza.

Invece c’è, perché con nessuna delle bici gravel che fino ad oggi sono transitate in redazione ho potuto affrontare quei percorsi con una tale fiducia.

Fiducia che deriva dalla incredibile capacità della Adlar di risolvere i problemi per te. Me ne accorsi subito al Grinduro 2023, ne ho avuto conferma sui miei tracciati.

Io lì so esattamente cosa serve e con quale difficoltà di solito affronto quel passaggio.

Ecco, in sella alla Adlar mi è venuto tutto naturale, non ho mai avuto quella fastidiosa sensazione di precarietà o scarsa padronanza.

Insomma, mi sono sentito uno bravo. E se non avessi saputo in cuor mio che non è così perché in quei punti mi sono cappottato allegramente più volte con altre bici, il mio ego avrebbe ricevuto una bella dose di anabolizzanti a gonfiarlo oltre la sua già smodata dimensione.

Con queste confortanti conferme non ho esitato a farmi condurre dalla Wilier Adlar su sentieri pietrosi.

Non ghiaietto sia chiaro, parlo di pietre e massi che affiorano dal terreno e che sono abbastanza tipici dei Monti Aurunci, dove ormai da anni svolgo i test in off road.

Per fortuna loro non si spostano, quindi nel corso del tempo li ho memorizzati e li scanso; quando ci riesco.

Perché poi l’errore di guida c’è e ogni volta qualcuno lo becco. 

Con la Adlar poco ci è mancato me li andassi a cercare. Talmente semplice farli scavalcare a questo incredibile avantreno che ogni asperità da ostacolo si trasforma in divertimento.

Soprattutto in discesa ho potuto apprezzare la posizione di guida. Per questo mi servivano i miei percorsi.

C’è una ascesa che sfrutto quando voglio portare il livello della difficoltà al limite e oltre, da queste parti pochi si avventurano senza una full. La parte più difficile e pericolosa è però riscendere, facile scivolare di lato o ribaltarsi col gradone preso male.

Di solito arrivo giù coi palmi delle mani doloranti, le braccia a pezzi e con alcune bici gravel qualche tratto l’ho dovuto fare a piedi. 

Non con la Adlar: controllo perfetto, altezza di avantreno capace di scaricare peso dalle mani donando un controllo perfetto, nessun gradone o masso l’ha impensierita più di tanto. Ma come si fa a non innamorarsi di una bici così? 

Così come divertimento puro è stato impegnare i canali creati dal continuo passaggio della selvaggina (per lo più cinghiali) lanciandosi in discesa in questi toboga da bob, potendo contare sempre sulla assoluta precisione dell’avantreno e la semplicità con cui la bici risolve ogni manovra.

Il controllo è totale, la comunicativa perfetta, la facilità di guida a prova di imbranato come me.

Si lo so, sto marcando molto su questo aspetto della confidenza offerta dalla Adlar ma, credetemi, serve provarla per apprezzarla in pieno, capire quanto grande è la sua capacità di farti superare ogni difficoltà.

Sono certo che chi tra voi già possiede questa bici (del resto è sul mercato da una decina di mesi, forse un anno) mi confermerà quanto sto scrivendo.

Ogni percorso di prova è stato eseguito più volte e sempre in doppio assetto: bici scarica e in assetto bikepacking.

Tranne le salite più dure, dove il peso aggiuntivo ha preteso dalle mie gambe più di quello che sono in grado di offrire, la guidabilità non ha risentito più di tanto. Giusto l’ingombro della borsa posteriore arretrando parecchio mi ha creato qualche impaccio ma qui non c’entra la bici.

Anzi, proprio per cercare un limite o una sua parvenza, ho allentato leggermente gli attacchi della borsa lasciandola sbandierare; succede in viaggio si allentino, lo sappiamo, quindi è un modo di replicare una situazione possibile.

E niente, lei sempre fedele alla traiettoria. Sono abbastanza sicuro se la ridesse sotto i baffi della piega nel vedermi tentarle tutte per metterla in crisi.

Si, è stato amore nel nostro primo fugace incontro, sono state settimane intense queste passate insieme.

Dite quello che volete ma io sono un appassionato e quando una bici mi prende non mi vergogno a dirlo.

Però adesso è il momento di tracciare un bilancio, quindi andiamo alle conclusioni.

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