[Test] Vittoria Terreno Dry Lite
La prova su strada
La prova su strada
Gravel, parola magica che trasforma in oro tutto ciò che luccica. Etichetta necessaria capace di far divampare infinite polemiche tra opposti schieramenti.
A me interessa nulla, ho smesso da tempo di chiedermi cosa sia il gravel e poi voi, o almeno quelli tra voi che seguono il blog dalla sua nascita, sapete come bici che ora definiremmo gravel le costruivo oltre 30 anni fa.
Però in un test, sapete anche questo, è necessario dare una definizione, inquadrare. Che poi vada spesso sconfinando i limiti che mi sono imposto, beh, nulla di nuovo neppure qui.
Le Vittoria Terreno Dry Lite le ho fatte scorrere su asfalto, rotolare su sterrati compatti, affondare su fondi ghiaiosi, impantanare nel fango argilloso, sbuffare su tappeti di foglie cadute. Insomma, non mi sono fatto mancare niente.
Bici usata la Wilier Adlar di cui potete leggere la recensione a questo link.
Inizio dal bitume.
In piano le gomme scorrono veloce e silenziose, la tassellatura centrale a squame con profilo a rampa assicura ottima velocità se la gamba la sostiene.
Il comfort è assoluto, merito da una parte delle abbondante sezione in prova, la 700×47. Merito soprattutto della carcassa a 120 TPI, valore da copertura sportiva, che garantisce leggerezza ma soprattutto encomiabile morbidezza.
Passare in velocità sui rappezzi o sui tratti particolarmente rovinati non è mai fonte di preoccupazione.
Insomma, si viaggia veloci.
In salita, dove la mia velocità cala a ritmi imbarazzanti, si avverte ancor più l’elevatissimo comfort di marcia. I percorsi son sempre gli stessi, li conosco palmo a palmo, e so dove mettere le ruote per trovare i punti peggiori e garantirmi risposte da travasare nei test.
Più di una volta mi sono dovuto fermare e tornare indietro perché non ero sicuro di aver centrato il bersaglio, di aver effettivamente messo le ruote lì dove la strada è particolarmente rovinata.
No, bersaglio centrato così come centrato l’obiettivo di Vittoria di assicurarci grande comodità.
Peccato solo che un tratto assai insidioso, in salita e ovviamente ancor più in discesa, me lo abbiano riasfaltato durante il test. Obbligandomi a cercare altrove. Vabbè, ma questi son problemi miei, a voi non interessano.
Interessa invece sapere che il peso, buono per una gomma gravel tubeless di così generosa sezione, si avverte assai poco.
Ma anche ci fosse qualche grammo in più, l’energia risparmiata grazie all’ottima capacità di smorzamento delle Dry Lite compenserebbe abbondantemente.
La discesa è uno spasso.
Nell’insieme bici/ruote/gomme usato nel test (con l’impianto freni Campagnolo Ekar GT che mi ha stupito per efficacia e modulabilità), ogni discesa diventa entusiasmante.
Nelle curve larghe prese a tutta puoi piegare senza patemi, con una gradualità eccellente e senza avvertire assolutamente il passaggio dalla fascia centrale alla spalla. Il profilo tondeggiante completa il quadro.
Difficile su strada riuscire a sfruttare tutta la spalla della gomma, non dimentichiamo che noi possiamo usare solo la nostra corsia e non l’intera carreggiata: meno spazio significa traiettorie più chiuse.
Nel misto stretto però è più facile trovarsi a buttar giù tutta la bici, seppure a velocità inferiore.
Anche qui si confermano l’ottima gradualità nella discesa in piega, il grip sincero e tenace, la rotondità di guida. Emerge solo una leggera incertezza nelle pieghe più estreme, probabilmente sotto carico c’è una leggera deformazione della tassellatura più esterna (unita alla bassa pressione d’esercizio seppure la carcassa sia ben solida) che però non impone cautela: semmai rammenta che il caso di darsi una calmata.
Analizzando al rientro i grafici delle discese di prova le velocità sono sempre state alte, alcuni “intermedi” davvero notevoli.
Ma non è solo il grip in curva che serve per scendere forte: serve un buon impianto frenante e una gomma che sappia trasferire a terra e poi gestire la forza della decelerazione. Esattamente quello che hanno fatto i freni Ekar GT e le Terreno Dry Lite.
Solo nei repentini cambi di direzione delle esse molto strette c’è stato un normale rallentamento nell’azione, la sezione abbondante qualcosa paga nei piff paff.
Fin qui l’asfalto, però se hai una gravel la cosa forse ti interessa fino a un certo punto, nel senso che il bitume è sovente la noiosa necessità per raggiungere i percorsi off road.
Prima ambientazione quella prevista da Vittoria: sterrati compatti e asciutti.
E vabbè, facile.
Sono il terreno ideale delle, perdonate il gioco di parole, Terreno Dry Lite.
Non c’è grande differenza tra pedalare qui o su asfalto malmesso, nemmeno in curva.
Emergono più nette le sensazione di comfort e assorbimento delle asperità, qualche normale derapata in frenata, mai cedimenti sull’anteriore.
Velocità elevate, sempre. A volte pure troppo e l’unica è prestare attenzione perché andando così forte puoi incappare nell’errore di guida. Almeno io che (per la seconda volta in due test) stavo investendo il fotografo che doveva riprendermi in gloriosa curva.
E’ che si viaggia forte, ma proprio forte e la strada diventa stretta… no è? Non sono credibile? Ok, sbagliato proprio io.
Comunque, malgrado le abbia provato tutte, azzardando anche manovre non proprio ortodosse, non sono riuscito a mettere in crisi le Terreno Dry Lite nel loro habitat naturale.
Tanto che alla fine, ammetto, mi stavo annoiando. Non a pedalare, sia chiaro, quello è divertente, soprattutto quando come in questo caso puoi contare su tanta bella roba.
E’ che a un certo punto non sapevo più che inventarmi, le risposte sempre quelle: gran grip, gran comfort, grande precisione, grande comunicativa.
Nei test non amo le comparazioni scritte direttamente, sono convinto che ogni recensione debba essere unica e poi a voi (e alla vostra pazienza nel leggermi) trarre le conclusioni su cosa faccia al caso vostro.
Però è raro conduca un solo test, spesso sono al lavoro con più bici e quindi montaggi diversi. Caso ha voluto che in contemporanea usassi un’altra gravel e una endurance adatta all’off road leggero, quest’ultima montata in quelle settimane con gomme da fuoristrada leggero.
Il senso di sicurezza che mi hanno rimandato le Terreno Dry Lite su identici percorsi e in identiche condizioni (a meno di maltempo il suolo non cambia da un giorno all’altro) ha scalzato dalla vetta una delle mie coperture gravel preferite. Che continuo a usare perché al prezzo di una minore velocità su sterrati compatti ho maggiore usabilità su fondi morbidi, ma questo non incide sull’eccellente risultato delle Terreno Dry Lite condotte sul loro campo (ossia terreno, ma per evitare i giochi di parole si va di sinonimi e metafore, almeno finché ne trovo).
Comunque, visto che avevo una validissima scusa per combattere la noia, ho portato le Terreno Dry Lite fuori dai confini definiti da Vittoria.
Trovando conferme a quanto mi aspettavo ma anche qualche sorpresa.
La sorpresa sono stati i sentieri ghiaiosi, quelli dove è facile affondare e devi pedalare cercando di far “galleggiare” la bici.
Qui l’attrito è forte, non dipende dalle gomme ma proprio dalla fatica che fanno le ruote a farsi strada. Al netto di questa oggettiva difficoltà devo dire che le Terreno Dry Lite se la son cavate più che bene, spesso meglio di coperture più adatte a un percorso così difficile e imprevedibile.
Ovvio che non parlo di uno strato di ghiaia come quello che si trova a bordo pista in circuito, di quelli che fai il drittone alla curva e ti pianti lì dopo 50 metri pure se ci sei entrato di sesta piena. No, parlo di quello strato che è facile trovare sui nostri sentieri di campagna, quelli che spesso collegano campi coltivati e chi lavora in zona ricopre per assicurarsi di non affondare troppo coi mezzi pesanti.
E’ un tipo di terreno che uso spesso nei test proprio perché non è una ambientazione rara, molti ciclisti ci incappano. Mica tutti pedaliamo solo sulle belle strade bianche toscane…
La conferma sono stati i terreni pesanti.
Finché si viaggia in piano nessuna grossa difficoltà, basta un minimo di mestiere e occhio attento a evitare i punti peggiori: con le Vittoria Terreno Dry si pedala bene.
Lo stesso devo dire in discesa, le sbandate sulla ruota posteriore e qualche incertezza in frenata all’anteriore sono fisiologiche, fosse stato il contrario ci troveremmo al cospetto del copertoncino universale.
In salita sono ovviamente emersi i limiti di una gomma non progettata per questo, quindi anche qui nulla di strano.
Però alleggerendo i rapporti, se la bici ne dispone (serve un monocorona con pacco pignone molto agile, con i rapporti di una doppia si va in crisi di aderenza) si riesce a scavallare il ripido pendio limitando gli slittamenti della ruota motrice. Perdi velocità, è normale, ma non devi scendere di sella e spingere.
Se la salita è lunga e si incappa nel tratto troppo morbido, quello dove pure una tassellata andrebbe in crisi, ancora si riesce a fare qualcosa sempre se si dispone di sufficiente agilità.
Ma se ci si ferma, ripartire è impossibile. Quindi tutto nella norma per un copertoncino gravel studiato per tutt’altri percorsi.
Allora perché provarci? Perché, l’ho detto prima, nella quotidiana vita sui pedali non tutti pianificano il percorso. Chi si lascia guidare dalla fantasia del momento beh, sa che riesce a venirne fuori, pur con ovvi limiti.
Ne sappiamo quanto serve, dedichiamoci alle conclusioni.
Sono Fabio Sergio, giornalista, avvocato e autore.
Vivo e lavoro a Napoli e ho dato vita a questo blog per condividere la passione per la bici e la sua meccanica, senza dogmi e pregiudizi: solo la ricerca delle felicità sui pedali. Tutti i contenuti del sito sono gratuiti ma un tuo aiuto è importante e varrebbe doppio: per l’offerta in sé e come segno di apprezzamento per quanto hai trovato qui. Puoi cliccare qui. E se l’articolo che stai leggendo ti piace, condividilo sui tuoi social usando i pulsanti in basso. E’ facile e aiuti il blog a crescere.
Secondo me una gomma troppo limitante, ok per asfalto, ok per sterrato molto battuto ed in state, fine,per il resto pochissima trazione e poco adatto per fare un po di sano sterrato smosso
Ottimo video. Bella la willier