[Test] Shimano XC3

La prova su strada

Tempo di lettura: 8 minuti

La prova su strada

Test variegato questo delle Shimano XC3.

Come sto ripetendo fino alla noia, la resa sui pedali è solo uno degli aspetti che prendo in considerazione.

Questo ha significato non solo esplorare differenti ambiti di utilizzo ma anche sfruttare pedali diversi: un Spd nudo, ho scelto gli Shimano PD-M8000, che due diversi modelli a doppia funzione. Il primo sempre di casa Shimano è stato il modello EH500; per il secondo ho cambiato fornitore e mi sono rivolto agli americani Redshift, sfruttando la possibilità che hanno gli Archlight Pro di essere configurati flat, doppia funzione o con agganci da ambo i lati.

A parte la prima breve presa di contatto al Grinduro Italia 2024, dove ho usato una bici non mia, per il resto del tempo ho pedalato con la fedele Checkpoint sui miei percorsi abituali, così da eliminare quasi ogni variabile. Perché valutare una scarpa, o un pedale se è per questo, è sempre arduo. Scindere non aiuta e l’unica è garantirsi un ambiente di lavoro ben conosciuto.

Inizio dalla calzata, comoda, confortevole, avvolgente.

Infilare il piede non è immediato come, per restare in casa Shimano, con le XC5. L’assenza dello strap in velcro in punta e conseguente maggiore distanza delle asole per il laccetto in acciaio del BOA, nonché la costruzione Surround della tomaia, richiedono quell’insistere poco in più. Nulla di fastidioso, ti abitui dopo la seconda volta. Lo avverti se nella stessa giornata, come succede a me, passi da una scarpa all’altra durante i test, altrimenti manco ci faresti caso.

Confortevole ma soprattutto confortante la sensazione di avere il piede ben avvolto. Difficile da spiegare a parole, andrebbe provato. Al di là della resa dinamica è come quando indossi un casco che ti calza particolarmente bene: anche da fermo ti senti protetto.

Ora io non so se nelle intenzioni degli ingegneri giapponesi ci fosse anche questo obiettivo; registro comunque il piacevole senso di protezione senza costrizioni che avvolge i nostri piedi.

L’aggancio al pedale è immediato, quale che sia la foggia del pedale. L’ampio spazio e la tassellatura ben conformata fanno si che non si crei impaccio, nemmeno usando pedali doppia funzione che, a volte, su questo creano qualche difficoltà.

Nella pagina ufficiale di queste XC3 rilevo che l’azienda indica l’abbinamento ideale con due modelli suoi: i 520 e i 540, ambedue nudi. trovo sia un limite di comunicazione, coi doppia funzione mi sono trovato benissimo.

Insisto su questo punto perché molti amanti del gravel preferiscono questa tipologia di pedale.

Rigidità grado 5, in una scala che per la calzature Shimano XC arriva fino a 11, potrebbe far pensare a una scarpa cedevole.

No, nulla di tutto questo. 

La risposta è si più morbida, lo senti soprattutto quando tiri su dove la zona tallone accusa una minima flessione; ma nella fase di spinta tutta questa differenza non la avverti.

Diciamo che in determinate situazioni, per esempio in piedi sui pedali o pestando forte rapporti duri, ti manca l’incredibile sostegno fornito dalle RX8, sempre per restare tra i modelli proposti da Shimano.

Ma ti rendi anche conto che se scegli una XC3 non cerchi solo la massima resa, la migliore trasmissione dell’energia.

E inizi ad apprezzare questa superiore morbidezza che si trasforma in comfort trascorse molte ore in sella.

Non amo le comparative, lo sapete. Però questo test, come quello a venire delle EX-7 è propedeutico alla futura guida alla scelta della scarpa gravel, una scelta che spazia non solo tra i modelli appositamente studiati dalle case per questa disciplina ma sconfina in altri settori, per esempio questo del cross country.

Quindi devo citare ancora le XC5, perché anche loro saranno prese in considerazione.

Queste XC3 sono si più morbide ma avvolgono perfettamente il piede. Dove si sente una piccola flessione è come detto al tallone.

Ma la rigidità complessiva è più che buona e soprattutto è ben tenace in zona tacchetta, dove spesso si concentra lo sforzo (in realtà si trasmette su tutta la suola ma è indubbio che la pressione lì è più avvertibile dal ciclista).

Cito le XC5 perché seppure anche loro di grado relativamente basso (7 nella scala Shimano) con queste XC3 potrei fare quasi un copia e incolla di quanto scrissi nel loro test.

La trasmissione dell’energia non è compromessa in modo evidente, anzi; si esercita ottima spinta in zona tacchette, un settore della scarpa che mantiene eccellente rigidità. Manca, o forse non è dichiarato ma lo reputo poco probabile, un qualche rinforzo con apporto di ulteriori materiali per la piastra di ancoraggio delle tacchette.

E qui mi autocito dal test delle XC5: “Però un qualche accorgimento per conservare rigidità c’è, perché sembra addirittura superiore. Sembra, in realtà è la struttura globale della scarpa“.

Ecco, questo è un aspetto fondamentale e posso annotare come sia il perfetto amalgama di suola, struttura Surround e intersuola a garantire la giusta rigidità per riversare energia sui pedali senza per questo pagare un salato tributo al comfort.

Non è una scarpa puramente racing, questo è ovvio; ma nemmeno la flaccida turistica.

Un compromesso tra prestazione e comfort forse ancora più centrato rispetto alle XC5.

Un altro punto che mi sono annotato durante il test, quando ho scelto di riprendere le XC5 perché mi serviva il raffronto immediato su vari aspetti, è stata la superiore sensazione di avere il piede avvolto.

Delle due l’una: o io non so chiudere bene lo strap finale delle XC5 o col il BOA L6 che ha superiore estensione sulle XC3 la tenuta è migliore.

In questo raffronto fotografico è più evidente quello che intendo.

La rinuncia alla striscia in velcro ha imposto una terza asola, col cavetto che stringe lì dove le XC5 hanno appunto lo strap. Io mi sono trovato meglio, se questo ha valore o meno per voi, beh, giudicate voi… 

I fori di ventilazioni non sono troppo estesi ma il piede resta fresco quanto basta. Non ho provato col clima torrido vissuto l’estate appena trascorsa ma uscite sul filo dei 30 gradi le ho avute e mi sembrano più che sufficienti.

Bloccano anche una pioggia leggera, quella forte non so perché mi sono fermato in cerca di riparo. E pure tengo una età, sapete…

Ora in scaletta ho appuntato la questione Dynalast/pedalata rotonda, con una quantità di annotazioni.

A mente fredda mi rendo conto che ho segnato un surplus di informazioni che girano sempre intorno allo stesso fattore: la flessione che si avverte in zona posteriore quando tiriamo su col piede.

Nella tecnica della pedalata rotonda che ho affrontato spesso qui sul blog. Tecnica che, rilevo, molti ciclisti non applicano, rinunciando a uno dei maggiori benefici del pedalare agganciati.

Molti pensieri appuntati, tutti da riassumere nel perfetto taglio alla caviglia che garantisce sempre perfetta mobilità, la forma della suola che non crea tensione al piede e questa flessione, avvertibile solo nel confronto diretto con scarpe più rigide di cui vi ho detto.

Una flessione che ovviamente non si avverte pedalando coi doppia funzione lato flat: non c’è aggancio, che tiri su, il piede? Appunto.

Mi sono trovato bene con gli Shimano EH500, ancor meglio con i Redshift Arclight grazie alla più che generosa superfice.

Non c’è conflitto tra tasselli della suola e pin avvitati, anche se soprattutto con gli Arclight qualche volta ho dovuto cercare la migliore posizione perché l’incastro c’è stato.

L’importante però è che mai il piede ha pedalato storto, che significa giocarsi ginocchia e caviglie. 

Potendo contare sulla maggiore superfice rispetto al pedale SPD nudo, tutto quanto detto fin qui in tema di trasmissione dell’energia e stabilità del piede si alza nella scala dei valori. Poi si, la rinuncia all’aggancio sempre fa perdere qualcosa nell’economia complessiva ma ci sono tratti dove effettivamente non essere vincolati alla bici aiuta; non fosse altro per il senso di sicurezza superiore.

Non dimentico infatti che molti si avvicinano al gravel non per ampliare il proprio ciclismo ma proprio come battesimo sui pedali, attirati forse dal senso di avventura o di libertà che questa pratica porte con sé. 

Nota a margine: si lavano con estrema facilità.

Il test non finisce qui ma preferisco passare alle conclusioni per ulteriori aspetti che, effettivamente, esulano dall’impiego ortodosso.

Voltiamo pagina.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Ciao Fabio, molto interessante (anche) questo test. C’è un aspetto che mi sta particolarmente a cuore quando devo scegliere le scarpe, cioè la comodità che per me significa sicuramente la larghezza della pianta. Uso da sempre scarpe Shimano e finora le più adatte alle mie esigenze che ho usato (e che uso) sono le MT7 proprio per la loro forma tondeggiante in punta e molta ‘clearance’ all’ interno. Ora queste scarpe leggo che hanno l’opzione wide. Hai avuto modo di capire (magari lo sono quelle che hai testato) quanto migliori la calzabilità la scarpa wide rispetto alla standard?
    A questo riguardo ho molte aspettative sulla EX7 che ha un ‘aspetto’ che mi sembra particolarmente adatto alle mie esigenze….

    Grazie come sempre.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Adriano, non sono le wide ma io, che pure prediligo pianta larga, le ho tenute tutto il giorno e a sera nessun problema. Tranne le gambe che non c’erano più ma quello è altro discorso.
      Le mt7 non sono più a catalogo, anche se online si trovano ancora, ed è il motivo per cui ho chiesto le EX7, di fatto la loro evoluzione.
      Senza anticipare il test a venire, la differenza, in meglio, c’è. Soprattutto la tomaia, elasticizzata, una goduria per l’uso disimpegnato.

      Fabio

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