[Test] Met Mobilite Mips

La prova su strada

Tempo di lettura: 6 minuti

La prova su strada

Indossare un casco Met è sempre piacevole, quale che sia il modello. Qui sul blog sono presenti molte recensioni di caschi di questa azienda. Una mia scelta, mi ci trovo bene, ho tutta l’autonomia che voglio e il catalogo copre ogni esigenza.

E poi nei due incidenti più gravi che mi sono capitati negli ultimi tempi, beh, è sempre stato un casco Met a salvarmi la capoccia. 

Il Met Mobilite è casco urbano, con spiccata vocazione per l’uso ebike e questo indirizza alcune scelte tecniche; ma il livello di comfort immediatamente percepibile è quello tipico di ogni casco della casa.

Il cinturino con l’aggiunta dell’assistenza magnetica lo agganci anche con una mano sola e questo su un casco cittadino è una comodità. Facile anche usando pesanti guanti invernali.

Non perché agganci e sganci mentre pedali, ovvio. Ma chi usa la bici anche per andare al lavoro, sa cosa significa star lì con la borsa portadocumenti in mano, il lucchetto o altro. Metti il casco in testa a via, senza dover cercare appoggi per la roba.

Sul cinturino è montata una fascia imbottita che si frappone tra gola e fibbia magnetica.

Il disegno interno della calotta è perfetto, il Mips è praticamente inavvertibile tanto da giustificare l’assenza di ulteriori imbottiture interne, sui lati.

La regolazione della calzata tramite ghiera alla nuca assicura la giusta tenacia.

Manca il sistema di regolazione in senso longitudinale, una scelta condivisibile visto il prezzo d’acquisto molto vantaggioso.

Non ho avvertito l’assenza; perché io sfrutto, sui caschi dove è presente, una regolazione che porta la fascia alla nuca nella identica altezza a cui si trova qui, sul Mobilite. Mi fa da riferimento il codino…

Ho avvertito invece l’assenza, o per meglio dire la sostituzione, dei miei cari divider a clip con questi a scorrimento.

D’accordo, gli attuali sono regolabili bene e velocemente. Però come tutti quelli a scorrimento, con l’uso perdono la tensione e vanno registrati.

Pochi secondi, sono pure più semplici; però quelli a clip li regoli una volta e non ci pensi più.

Si, sono diventato esigente coi caschi Met, in questi anni mi hanno abituato bene. Colpa loro…

E sono diventato molto esigente sulla ventilazione, sempre ben studiata.

Ventilazione che su un casco urban assume importanza perché la media è bassa, quindi serve entri aria in quantità ed esca subito, anche se non c’è la velocità di marcia ad aiutare.

Rimasi sorpreso dall’efficacia dell’areazione durante i test dei caschi Met Corso e Grancorso, che non beneficiano delle stesse prese frontali e sulla parte alta della calotta del Mobilite.

Lecito attendermi prestazioni superiori e così è stato. Ma come dico sempre, a far entrare aria son bravi tutti: quello che conta è farla uscire subito.

E su questo devo dire che il Mobilite non delude, anzi.

Sarà pure un casco urban ma a me ricorda molto da vicino le prestazioni di un casco da turismo/gravel.

Però resto fedele all’impostazione data da Met e non travalico la destinazione d’uso, seppure per i test abbia scelto di usare sia una bici ad assetto alto, dritto diciamo così, che una gravel. Per valutare ventilazione e visibilità.

Ora che il caldo è arrivato, anche troppo per me, è possibile avere un quadro molto chiaro della ventilazione, senza costringermi a inventare bislacche soluzioni per verificare il flusso d’aria. Ho atteso l’ondata con 29/30 gradi prevista pochi giorni prima della pubblicazione per una ulteriore verifica e questo spiega perché ho saltato una settimana…

Sul davanti le tre prese fanno il loro dovere, mentre quella piccina, interna dietro la visiera (l’abbiamo vista nel paragrafo precedente) fa quel che può. Non è una presa d’ingresso quanto piuttosto una canalizzazione, per deviare parte dell’aria verso la fronte. Ma serve andar veloci perché abbia efficacia.

E in effetti è proprio qui, sulla fronte, che ti rendi conto di come il Met Mobilite Mips è casco a vocazione cittadina.

Il taglio della calotta sul davanti è basso. Poco meno di altri caschi cittadini ma la zona delle tempie è sempre ben coperta: tutto a vantaggio della sicurezza, avere poca aria in meno è un piccolo prezzo da pagare.

Non sono io a dirlo ma studi svolti da enti e università: le zone statisticamente prime nell’impatto in caso di caduta in ciclo urbano sono tempie e nuca. Quindi mi sembra giusto lavorare sulla loro maggiore protezione.

Molto più efficaci di quanto fanno supporre le ridotte dimensioni le prese posta sulla sommità, ma questo devo dirvi me lo aspettavo già, sotto il profilo della ventilazione Met mi ha sempre confermato la bontà delle loro scelte.

Come non mi aspettavo sorprese per il rapido deflusso dell’aria calda, sempre eccellente.

Non si forma condensa, il casco asciuga subito. Solo l’imbottitura frontale, che mi sembra più spessa di quella presente su altri caschi della casa, assorbe qualcosa ma senza risultare mai realmente fastidiosa. E chi volesse può sostituire la fascia frontale con quella in gel, compatibile con tutti i caschi Met.

Questo nella marcia cittadina con 27 gradi, non proprio l’arietta di primavera.

Mi piacerebbe potervi dare certezza che l’installazione della luce posteriore, occupando la presa d’uscita centrale, sia in grado di alterare l’equilibrio.

Onestamente, non ho rilevato differenze.

E se anche differenza ci fosse (e dovrebbe esserci, è pur sempre una presa “in meno”) oltre a essere difficile da percepire io la sacrifico volentieri in favore della luce.

Sono da sempre favorevole a ogni soluzione aumenti la sicurezza di marcia e la visibilità è importante. Non tutti montano le luci sulla propria bici e comunque può succedere che si renda necessario, senza preavviso, aver bisogno di una lucetta. Anche nella marcia urbana.

Un sottopasso, una galleria urbana, il cielo che diventa plumbeo o abbiamo fatto tardi al lavoro. 

Sono tante le situazioni impreviste in cui poter contare su un supplemento di visibilità, subito disponibile, diventa un plus.

C’è una striscia riflettente sul retro, sicuramente valida per la qualità del materiale ma piccina. I quattro led sono decisamente ben visibili.

Hanno doppia modalità, fissa e intermittente. La batteria, non ricaricabile, dura molte ore ed è facilmente sostituibile.

E poi è di serie e questo è sempre un bene.

Ora vi cerco il classico pelo nell’uovo, altrimenti poi dite che io i caschi Met li elogio e basta: avrei inserito una sottile guarnizione in gomma, una sorta di o-ring, nell’incavo della presa posteriore dove va a incastrarsi la luce. Già così tiene bene, non salta via: con una guarnizione avremmo avuto una tenuta ancora superiore.

La piccola visiera è efficace pedalando a schiena dritta, protegge bene dal sole; lo fa anche pedalando a schiena inclinata e la sua estensione non è tale da chiudere il campo visivo obbligando ad arcuare il collo.

Non c’è quindi necessità di rimuoverla.

Dove ti accorgi che è un casco da città, studiato per bici a pedalata assistita, è quando passi davanti a una lunga vetrina e ti specchi (e non raccontatemi che voi non lo fate…): la calotta è “più grande” rispetto a un casco sportivo.

Non è solo la sua superiore estensione su tempie e nuca: è il superiore spessore dell’Eps, che poi è il materiale più importante di un casco, quello che deve assorbire e dissipare l’energia dell’urto.

Molto ben protetta anche la zona sopra le orecchie, senza che questo crei fastidio indossando gli occhiali. Che siano da sole, casual diciamo così, o tecnici.

Di solito non mi soffermo troppo sul look di un casco; per me viene prima la sicurezza.

Però quest’aria sbarazzina del Mobilite è assai gradevole; a me piaceva molto la versione in rosso metallizzato opaco del Mobilite senza Mips, ma per una recensione ho preferito puntare sul modello Mips. 

Togliendo la visierina solo un occhio più attento ai dettagli lo classifica come casco urban. Ma di questo mi riservo di parlarne nel prossimo paragrafo. 

Andiamo alle conclusioni.


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COMMENTS

  • <cite class="fn">Stefano</cite>

    Bellissime foto, complimenti, rimango sempre affascinato dal contesto cittadino in cui pedali (mare, scogli, vicoli lastricati…). E la ragazza con una scarpa arancione e una verde 🙂

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