[Test] Drali Morpheus

La prova su strada

Tempo di lettura: 8 minuti

La prova su strada

Ogni volta che qui arriva una bici da testare è sempre giorno di festa.

Insomma, alla fine sono un appassionato, mi ritengo fortunato nel poter toccare con mano tanta bella roba e si, è vero che moltissimi test li seleziono cercando di trovare ciò che può farvi felici sui pedali, ma ogni tanto scelgo proprio perché io voglio pedalare su quella bici.

Appena ho visto la Morpheus sul sito Drali è stato amore a prima vista.

Me la sono guardata e riguardata, ho chiesto a chi conosce bene marchio e dirigenza, e niente, proprio non riuscivo a togliermela dalla testa.

Ho chiuso prima possibile una altro test e subito chiesto l’invio di una Morpheus.

“Si, abbiamo un telaio 54 di prova, lo montiamo e te lo mandiamo”.

E vai!

Troppo entusiasmo quando ancora non ho fatto manco mezzo giro di pedale?

No, perché una bici come la Drali Morpheus non si giudica (solo) con la fredda tecnica, il peso, la rigidità e tutto il resto.

Se scegli una Morpheus lo fai per passione, per il gusto di star sopra a qualcosa di unico e particolare, quindi lasciatemi andare a briglia sciolta.

Perché le emozioni qui, in questo test, hanno sopravanzato tutte le valutazioni puramente tecniche.

Chiunque di noi abbia acquistato una bici online conosce l’emozione di aprire lo scatolone, si torna bambini la notte di Natale.

Dopo tanti anni e tanti test dovrei essermi assuefatto, non dico indurito ma almeno meno preda di infantili entusiasmi.

Macché.

Scartato il pacco, purtroppo non posso definirlo pacco dono, la bici mentre scrivo è reimballata in attesa di rientrare alla base, non l’ho messa subito sul cavalletto da lavoro per i controlli di routine che svolgo prima di ogni test.

No, cavalletto da camera, io in poltrona e siamo stati mezz’ora buona così, noi due soli a fissarci in silenzio.

Ogni tanto mi alzavo, la giravo, cambiavo prospettiva, e poi di nuovo lì a studiarla in ogni dettaglio.

Se questo comportamento può apparirvi strano, da TSO, allora concordate con mia moglie e mia figlia.

Ho avuto, usato, testato tante bici in […]anta anni che pedalo.

Ma voi riuscite a restare insensibili davanti a quei tubi tondi, quelle congiunzioni, quell’azzurro Drali, colore storico della casa?

E riuscite a non affascinarvi nel contrasto tra un classico che più classico non si può e poi lo sguardo cade, rapito, sulla forcella, scendendo giù fino a pinze e dischi per poi ripercorrere le linee geometriche e trovare una trasmissione elettronica?

Non amo le espressioni abusate: eppure qui devo, perché il contrasto tra classico e moderno è perfetto, un amalgama dove nulla prende il sopravvento sull’altro, creando quell’armonia che sempre cerco in una bicicletta.

Ok, ora mi rispondete: vabbè, ma bici in acciaio a disco ci sono, mica ‘stà Morpheus è l’unica, mi sa ti stai facendo prendere la mano…

Vero.

Però lo sguardo torna alla forcella, esile da sembrar fragile, e ti accorgi che è lì il segreto dell’armonia.

La altre hanno forcelle in carbonio, massicce, a volte squadrate, con la testa giustamente irrobustita: in contrasto al fascino dei tubi tondi.

E non hanno una testa a congiunzione…

Steli rigorosamente dritti, forcellini per perno passante da 12, attacco pinza flat mount (quindi adatto a tutti gli impianti stradali), passaggio interno del tubo freno, serie sterzo simmetrica da 1 e 1/8″. 

Ovviamente anche il retrotreno è strutturato per supportare i freni a disco.

Quindi abbiamo il fodero basso del carro che a sinistra segue un andamento sinuoso per assecondare lo spazio necessario alla pinza flat mount, forcellini per perno passante da 12×142, forcellino cambio removibile e sostituibile.

Tutte le tubazioni e i cavi corrono all’interno del telaio; nel caso della bici test i comandi sono FSA, quindi wireless. Ma per i comandi elettronici cablati esistono gli appositi fori di passaggio

Senza dimenticare che tutto è personalizzabile, pur con alcuni punti fermi come, appunto, i dischi e la struttura della forcella e del telaio per ospitarli, motivo per cui mi sto soffermando su questi aspetti. Manca ho detto in apertura la sezione dedicata al “come è fatta”, però qualcosa da dire c’è.

Come, proseguendo, la scatola movimento BSA, graziosamente pantografata e con congiunzione dotata di coda di rondine di irrigidimento.

Non so se sulla versione definitiva ci hanno pensato, ma sarebbe utile un passacavo per il tubo freno. Bastano un foro M4, una fascetta, una brugola.

Classica la congiunzione del reggisella, con la sua brugola di serraggio maschio/femmina.

L’ultimo tratto del tubo freno corre esterno. 

Non mi soffermo sull’allestimento di trasmissione, ruote, sella e cockpit perché, già detto, è tutto personalizzabile.

Giusto per amor di cronaca, la bici in prova è stata montata con trasmissione FSA, guarnitura 52/36 e pacco pignoni 11/28, trittico FSA, sella San Marco, ruote Vision Team da 35, gomme Prelli PZero da 700×28 (ma consiglio le 700×25, entrano troppo a filo nella forcella le 28).

Ho usato anche più performanti ruote Ultegra C36; pure perché mi serviva un aiuto a spingere quei rapporti…

Ma non mi interessa l’allestimento: solo telaio e soprattutto forcella.

Lo so, sto scrivendo tanto eppure ancora non siamo partiti.

Ma questa bici va raccontata più che testata.

Però ora basta, pedaliamo.

Regolato l’assetto sulle mie quote mi sono ritrovato un moderato dislivello sella manubrio, che ha compensato il fatto questo telaio fosse un pelo lungo per me.

E’ bastato pochissimo per adattarmi e adattare la bici (io non ho personalizzato, questo è un test, ho preso quello che c’era subito disponibile) e non so se durante la nostra silenziosa conoscenza tra me e la Morpheus sia passato qualcosa, ma praticamente già alla prima partenza ero perfettamente a mio agio.

In verità sono partito cauto, vista dall’alto la forcella sembra sottodimensionata; in realtà siamo noi che ormai ci siamo assuefatti a quelle in composito.

Merito dei tubi tondi, del disegno classico, ma tutta la bici sembra piccina a vedertici sopra.

Impressione, oltre al fatto che la prospettiva in foto è ingannevole.

Non è ingannevole invece la spinta immediata e dolce che si avverte al primo giro di pedale.

Non posso definirla una sensazione d’altri tempi, chi ha usato e gareggiato con le bici in acciaio quando c’erano solo loro, ricorda bene la rigidità da fachiro di quei telai. A cui aggiungere la nostra abitudine di farceli fare pure belli compatti per essere più pronti in salita.

Vabbè, eravamo giovani e pieni di entusiasmo.

La Drali Morpheus, a dispetto del suo aspetto classico, al netto dei dischi, trasmette da subito le sensazioni di una moderna endurance.

Vero che le manca quella sensazione di immediata trasmissione della pedalata, tipica di tante moderne bici sportive in carbonio, ma questo non significa che non si parta veloce, anzi.

Ve lo dico chiaro: con questa Drali Morpheus non si può parlare di “bici d’altri tempi”.

La guida è moderna ed efficace, coi vantaggi di un classico telaio in acciaio ma senza il rovescio della medaglia che pagavamo ai nostri tempi.

Il progresso esiste, se pensate di salire su una delle spaccaschiena della nostra (mia) gioventù con di diverso solo i dischi e un ronzio a ogni cambiata, per fortuna non è così. Anzi.

Ma cosa significa guida moderna? Giusto, smetto di fare il nostalgico romanticone e tento un minimo sindacale di fredda giornalistica obiettività.

In pianura la bici prende velocità con costanza, passando sopra, letteralmente, alle asperità. Vero che avere una corona da 52 favorisce la rotondità, la dolcezza della pedalata (o almeno lo fa con me, che a dispetto di 15 anni di compact, sono cresciuto di 52/42, non l’ho mai del tutto digerita) ma, d’altro canto, proprio una rapportatura così “faticosa” farebbe emergere da subito eventuali sprechi, dispersioni di energia che invece la Morpheus non denuncia.

Ci si stabilizza immediatamente sul passo, mantenuto all’infinito soprattutto se le ruote scelte assecondano e le gambe ce la fanno a frullare. 

Ogni tanto serve tirare il fiato, a me serviva tirare il fiato. Perché passato l’entusiasmo, la 52 ha iniziato a farsi sentire.

E così capita di essere passati; capita che ti prende la scimmia; capita che ti alzi sui pedali e rilanci l’andatura.

E la Morpheus risponde pronta, riacquistando baldanza. 

Solo negli scatti più assassini, quando più che la forza cali sui pedali il peso della disperazione, senti che la scatola movimento non è una di quelle massicce e moderne a cui ti sei abituato con le bici in composito.

C’è una leggera flessione del retrotreno, proprio in zona immediatamente dietro il movimento centrale, malgrado la congiunzione sia di quelle sportive, con rondine di irrigidimento.

Non essermi curato di come la bici sarebbe stata allestita, non aver cioè chiesto un montaggio “premium” ha avuto i suoi vantaggi. Soprattutto nel comparto ruote.

Dico sempre che un telaio scarso trova gran giovamento da ruote ottime; così come due ruote scarse mortificano anche il miglior telaio.

Ora non è che le Vision team siano proprio scarse ma certo non sono paragonabili alle eccellenti Ultegra C36 in dotazione al materiale test del blog.

Il telaio della Drali Morpheus, e in effetti dovrei decidermi a definire solo lui, non è stato troppo sacrificato dalle Vision, si è esaltato, e io con lui, appena messe sotto le Ultegra.

Lo vedremo meglio in salita e soprattutto in discesa, ma già in piano la differenza è stata netta.

Segno che il telaio è ben costruito. Anche la leggera flessione in rilancio si è molto attenuata (non sparita) perché grazie a ruote di alto livello serve pestare meno per ottenere lo stesso risultato.

Il passo cresce tanto grazie al fattivo supporto delle ruote, segno anche questo di un telaio che fa il suo dovere.

Le asperità della strada continuano a essere digerite con regale indifferenza, soprattutto al retrotreno. Qualche scossa, ma meno dura di quanto mi aspettavo, arriva dalla forcella.

Sicuramente la superiore rigidità delle tubazioni rispetto ad analoga forcella in acciaio ma per freni a cerchio, gioca il suo ruolo. 

Perché a dispetto della sua linea fine fine, la forcella tiene bene. 

Insomma, in pianura si viaggia veloci e se, come mi sembra sacrosanto su un telaio di tale storico blasone (Drali padre faceva i telai per Girardengo e Coppi, mica per uno scribacchino qualunque…) si sceglie un allestimento adeguato, vi assicuro che non ci sono rimpianti rispetto alle attuali astronavi in composito.

Astronavi che, sia chiaro, mi piacciono e mi divertono, sono snob e pure tonto ma non fino a questo punto: però credetemi, pedalare sull’acciaio, con quei tubi tondi sotto di te, è una esperienza che ogni ciclista dovrebbe provare.

La mia generazione lo ha fatto per forza, quelle nuove no e si perdono tanto.

Si lo so, ho ripreso il vizio di divagare ma questo test, ve l’ho detto subito, è diverso.

Non è invece diversa la salita, anzi le salite di prova. Sempre le stesse, sempre più massacranti ogni anno che passa.

Secondo me la notte ne cambiano la pendenza, ogni test aumenta la fatica.

E infatti fatica ne ho fatta non poca con questa Morpheus.

Hai voglia a dire “no, non mi importa che trasmissione monti, metti su quello che avete e che non vi serve per qualche mese, tanto a me interessa solo il telaio”.

Si, è vero; però ho dimenticato di aggiungere “basta che mi date una 34 davanti e pure dietro…”.

Non che la corona da 36 si sia rivelata particolarmente ostica, anzi, in realtà mi sono trovato meglio rispetto alla classica 34.

E’ che dietro i pignoni finivano troppo presto…

Ma fedele al motto “barcollo ma non mollo”, con la lingua sull’asfalto in cima sono sempre arrivato. A patto di non fermarmi, perché ripartire da fermo con la pendenza al 16% è stato oltre le mie possibilità.

Quando siamo andati in trasferta per le foto in esterno abbiamo scelto una location già usata e conosciuta. C’è uno strappo che abbiamo usato alcune volte, 200 metri in salita dove l’amico fotografo Antonello può posizionarsi senza pericolo di essere steso da qualche auto (teniamo da conto anche questo quando fotografiamo, seppure, forse, se lo centrano non è che poi…sono cattivo? Andate a dare una occhiata a questo video, la voce fuori campo è la sua) ma a causa dei forti dolori alle ginocchia e al piede che avevo quel giorno, ho dovuto rinunciare. 

Ma torniamo al test.

Complice la rapportatura troppo dura per me, qualche anno fa me la sarei goduta tutta, ora no, la strategia migliore è stata salire di passo.

Che è stato comunque un bel passo, finché il fisico me lo ha permesso.

Perché, purtroppo, mi sono reso conto che di fatto ero io a rallentare la Morpheus e non viceversa.

Potrei, e mi piacerebbe, raccontarvi di scatti e rilanci in salita. Che ho provato, ma con pendenze umane, sui tratti fra il 4 e l’8%.

E dove la Morpheus mi ha assecondato, preoccupandosi anche di smorzare quello che poteva delle brutture della strada.

Ma devo confessare che sulle salite più dure ho dovuto alzare bandiera bianca e salire regolare. 

La bici non è pesante, anzi. Siamo poco più di una moderna endurance in carbonio (ma il dato è ovviamente legato all’allestimento globale), abbastanza in meno della mia luccicante Elessar, quindi la responsabilità non è sua.

Durante questo test ho usato anche altre bici, compreso leggerissime sportive, e alla fine è cambiato nulla. Tra infortuni (mai così tanti in tutta la mia vita sui pedali come negli ultimi tre anni), pause forzate e conseguenti cali di forma il conto è arrivato, senza recupero dopo il test precedente che pure è stato duro con tanto fuoristrada.

Mi dispiace aver ceduto del tutto proprio durante questo test ma, in ogni caso, quello che serviva sapere su questo telaio sono riuscito comunque a fissarlo sui notes.

So, perché l’ho capito ma non provato a fondo, che una guida più aggressiva è alla portata delle Morpheus. E infatti la scaletta del test prevedeva che a sobbarcarsi le salite toste sarebbe stato l’amico tester e ciclista prestante Marcellino. Che però quando è arrivato al suo momento, si è fratturato un piede. E quindi la cosa è saltata.

Ma non è detto che non ci torni sopra; mentre scrivo la bici è in attesa del corriere per il ritiro eppure l’idea di richiederla ancora, quando le condizioni fisiche saranno migliori, c’è. Anzi, mi piacerebbe far diventare un telaio Morpheus uno dei telai adibiti ai test. Se Drali è d’accordo, lo sono pure io 😀

Dopo ogni salita c’è sempre la discesa e più in alto si va, più ripida la discesa.

Bene, finita la sagra dei luoghi comuni, in bici questa è una verità.

E qui, confesso, la prima volta timore c’è stato; va bene che la prima volta si è sempre timorosi (ma non avevi smesso coi luoghi comuni?) però effettivamente sarà bella quanto volete la forcella in acciaio: ma sottile è sottile, i dischi non sono mai amichevoli con le forcelle deboli, io ero lì con le PZero (le mie gomme preferite, lo sapete) da 28, quindi tanto appoggio, la cartella con i referti dei miei infortuni che cresce quasi ogni mese, il dubbio “ma terrà?” mi è venuto.

In questo ha contribuito anche un altro amico, e con amici così che te ne fai dei nemici? (ancora? Ma hai comprato il dizionario dei luoghi comuni?), che non cito ma so che quando leggerà si riconoscerà, che dopo aver visto la forcella mi ha incoraggiato con un “vai, se torni vuol dire che tiene”. 

Non uno svergolamento che fosse uno! Tiè, uccellacci del male augurio (si, ho comprato il dizionario, problemi?).

Però c’è da calibrare la guida.

La bici è molto svelta di avantreno, in questo ricorda le sportive di qualche anno fa, con lo sterzo pronto che basta un soffio a cambiare traiettoria.

Finché si scende allegri ma saggi, la bici trasmette tanta sicurezza. Soprattutto usando ruote che con la loro aerodinamica ti aiutano a tenere la traiettoria, come le già citate Ultegra C36 a cui sono spesso ricorso durante il test.

Aumentando l’allegria e diminuendo la saggezza la Drali Morpheus vuole concentrazione. Non scarta improvvisa, non tradisce, non mostra reazioni anomale.

Ma vuole tecnica, soprattutto nei rapidi cambi di direzione e nei tornanti spigolati, quelli dove entri a freni tirati anticipando la corda per uscire stretti e con strada libera per rilanciare.

Le bici attuali ci stanno abituando a perdonare ogni errore, sono molto più semplici di una volta.

La Morpheus non è difficile ma se scendi forte vuole che tu la sappia indirizzare. 

Se fai il tuo dovere, lei ti ripaga con velocità e precisione; se entri in curva alla carlona (e basta con queste espressioni, dai) te lo ricorda con un avantreno che tende a chiudere o allargare a seconda di come e dove hai sbagliato.

Serve tecnica, ed è un bene esistano ancora bici così. La bici si guida, non si pedala e basta. E guidarla regala soddisfazione.

Impostata la traiettoria, la Morpheus tiene precisa la linea. Gomiti stretti, piedi a premere sui pedali per tenere il carico e ogni curva è uno spasso.

Peccato che a sporcare l’azione ci abbia pensato il cambio FSA, con qualche ritardo di risposta nella salita multipla, impendendomi di alleggerire i rapporti uscendo dalle curve.

Perché alzarsi e rilanciare l’andatura in uscita di curva, senza tentennamenti della nostra forcella e stantuffi al retrotreno, è assolutamente naturale. E proficuo.

Considerando la rapportatura usata, che ha permesso velocità superiori alla classica 50/34, posso dire che almeno in discesa ho messo davvero alla frusta (…sob…) il telaio e soprattutto la forcella. 

E li ho promossi in pieno.

Unico appunto sulla forcella: poco spazio per la 700×28. La congiunzione quella è, non vi dico lo sbattimento che imposi al telaista quando disegnai la forcella per gomma da 32 sulla mia Elessar. Ma senza poter usare la congiunzione indicata e studiammo a lungo come modificarne altra, con quote complessive che ci portavano al limite della zona di saldatura.

Proprio perché ci sono passato in prima persona, so quanto è complicato creare una forcella a disco in acciaio a congiunzioni.

Ma, non ho dubbi su questo, se la Morpheus avesse avuto una forcella in carbonio o, peggio, in acciaio ma senza testa, avrei fatto causa a Drali. Tanto l’avvocato non lo pago…

Vi ho tediato forse abbastanza, ma questo test è atipico.

Però adesso tiriamo le somme e andiamo alle conclusioni.

COMMENTS

  • <cite class="fn">ANTONIO DANIELE</cite>

    Ottimo articolo! in particolare per l’approccio umano e non tecnologico. Finalmente una bicicletta “con l’anima” per cui si può provare emozioni che non dipendono solo da suggestioni merceologiche o di pura tecnica. Credo che chi ha ideato (ed apprezzato) questa novità abbia percepito il cambiamento della direzione del vento che spinge ora verso un concetto di bicicletta “totale” che comprende anche ricerca della qualità e , mi auguro ln futuro, anche una offerta … a prezzi accessibili.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Grazie presidé, non nascondo che mentre scrivevo pensavo agli appassionati come te.
      Si, non è bici da valutare con la freddezza dei numeri. I miei percorsi di prova sono sempre gli stessi, il che è noioso ma elimina variabili e mi permette anche dei raffronti. Se paragono a veloci endurance che ho testato, con la Drali Morpheus non ho battuto alcun primato.
      Se paragono quanto ho goduto, il puro piacere della pedalata, la situazione si ribalta.
      E’ dietro solo alla mia Elessar, ma lì, beh, puoi capire che pedalare sulla propria bici, pensata, disegnata, costruita con le proprie mani è qualcosa di unico.

      Fabio

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