Slow city

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In tutta Europa le città stanno ripensando se stesse.

Mi piacerebbe poter scrivere che ciò avviene in una fase di post emergenza e non durante l’emergenza sanitaria.

Ma è sotto gli occhi di tutti che la enorme spinta europea verso la mobilità lenta, in tutte le sue innumerevoli sfaccettature, è figlia della crisi sanitaria.

Che è crisi globale, economica e sociale.

Ed è crisi del trasporto pubblico.

Così ci ritroviamo metropoli e piccole città europee dove sorgono ciclabili dalla sera alla mattina.

A volte improvvisate, a volte già progettate ma ferme, a volte tutte e due, in qualche caso solo sbandierate. Come nella nostra Capitale, dove sono mesi che si favoleggia di 150km di rete ciclabile.

Ma questa rivoluzione non è solo ciclabili. E’ l’ampliarsi delle “Zona 30”, dove cioè vige il limite massimo dei 30km/h.

Una misura sempre contrastata e spesso sbeffeggiata, dalle lobbie automobilistiche ai partiti politici che a loro strizzano l’occhio.

Malgrado non solo gli studi ma l’esperienza diretta ne hanno ampiamente dimostrato l’efficacia.

Secondo uno studio del World resources institute, un pedone investito da un’auto a 50 all’ora ha il 20% delle possibilità di sopravvivere, a 30 all’ora del 90%. Le “Zone 30” in Svizzera hanno tagliato del 15% gli incidenti, a Londra sono scesi del 41,8%, a Toronto del 55%.

A Nantes abbiamo “Zona 30” l’80% del centro, in Olanda il 70% delle aree urbane è zona 30,  a Oslo sono al 100%, Helsinki 90%, Madrid all’85%.

Torino ha fatto di più, riducendo sino ai 20km/h la velocità massima per alcuni dei suoi maestosi viali.

La rivoluzione passa anche attraverso il concetto di strada condivisa, dove non è più l’auto la regina incontrastata.

Serve spazio per le persone: serve per evitare il diffondersi del contagio, è vero; serve per rendere le città vivibili.

Il trasporto pubblico si sta mostrando, in molte Nazioni Europee, incapace a garantire le necessarie misure di sicurezza. In Italia è lo sfacelo assoluto.

Chi è obbligato a spostarsi per lavoro o per andare a scuola preferisce la mobilità privata.

Dinanzi all’alternativa di quale mobilità preferire, si sta spingendo forte su quella sostenibile. Che, per fortuna, non è più declinata solo in forma di auto elettriche. Che magari inquinano meno (ma sulla loro produzione, smaltimento delle batterie nonché approvvigionamento energetico come di materie prime incombono forti dubbi) ma fanno male uguale se ti vengono addosso.

Lo smart working farebbe pensare che di tutto questo interessa poco o nulla, uno lavora da casa.

Invece no, perché quando lo smart working avrà regole comuni probabilmente inciderà su orari, stili di vita e di conseguenza sulla vita stessa delle città.

Molti provvedimenti sono temporanei ma stanno scavando il solco in cui ci muoveremo.

Troppi provvedimenti, però, non si accompagnano alla necessaria rete infrastrutturale.

Una “Zona 30” non è un cartello stradale. Servono strumenti di controllo e dissuasione. 

E serve informazione, coinvolgimento, partecipazione dei cittadini e delle attività commerciali.

Far comprendere, a tutti, che tutti ne avranno da guadagnare.

Ricordo le prime zone pedonali della mia città, roba di 20 anni fa almeno. Levata di scudi dei commercianti che temevano l’assenza di clientela.

Ora parecchi negozi dei centri storici chiedono sempre più pedonalizzazioni, perché hanno visto che le persone sono invogliate proprio dall’assenza di traffico, dalla tranquillità.

L’Europa si sta facendo capofila in questa rivoluzione; oltreoceano abbiamo l’esempio di alcuni Stati da sempre con anima green, come la California o l’Oregon.

La Cina, a dispetto di quanto si crede, sono anni che investe in energie rinnovabili e nella mobilità green. Che lo faccia per poter primeggiare in questo settore e non per amore del nostro pianeta non cambia il risultato.

Date una occhiata all’odierna Pechino; o a Whuan, sconosciuta ai più sino a pochi mesi fa. O alle direttive governative per lo sviluppo urbano, con l’obbligatoria percentuale di verde pubblico, molto alta, da creare.

Vi ho detto spesso che non sogno un mondo senz’auto. Serve averla, a molti.

In una grande città trovo una follia usarla, e anche qui spesso è purtroppo necessario. Per mancanza di alternative.

Ora la spinta c’è, la volontà politica in molti Paesi Europei pure, l’Italia si affida più alla lungimiranza di alcuni amministratori locali che a un serio piano governativo.

Forse qualcosa si farà anche da noi a livello nazionale, il possibile arrivo dei fondi Europei del Recovery EU potrebbe essere l’occasione visto che si chiedono politiche green da finanziare.

In un momento così difficile come quello che stiamo vivendo abbiamo l’occasione per migliorare qualcosa.

Se sapremo coglierla lo scopriremo solo in futuro.

Buone pedalate

ps: questo articolo è stato composto tre o quattro settimane fa, poi rimasto a sedimentare e posto in attesa, altri articoli avevano la precedenza. L’evolversi, in peggio, della crisi sanitaria imporrebbe ulteriori considerazioni, soprattutto alla luce dei mesi trascorsi invano, senza nemmeno provare a trovare soluzione a quella che ogni scienziato definiva la bomba a orologeria: la defaillance del trasporto pubblico, luogo dove il contagio si sposta veloce. Solo lui. Ma tornerò sull’argomento, con un articolo dedicato. 

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