Pedalare agili o rapportoni?

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Diceva Moser: per andare forte bisogna pedalare agili ma azionando rapporti lunghi.

Fosse per tutti così facile…

L’errore più comune tra noi ciclisti e buona parte della stampa di settore è prendere a parametro il mondo professionistico.

Quello è un altro pianeta, mantengono velocità in salita, e di conseguenza rapporti, che noi manco in discesa.

Però dico sempre che un punto in comune c’è: facciamo la stessa fatica.

Il punto infatti non è tempo o velocità o watt impiegati: ci stanchiamo uguale, solo che io stramazzo dopo 5km di salita, loro dopo 500km a tutta.

Magra consolazione. Scherzi a parte, il mondo della pedalata ho subito tanti cambiamenti tecnici, li ha subiti anche nel modo in cui gestire la pedalata.

Quando ero ragazzo il must erano le gomme da 21 gonfiate a pressioni da scoppio, ora è difficile trovare chi scenda sotto il 28 e, grazie ai tubeless, con pressioni da materassino per il mare.

Lo stesso coi rapporti, io usavo la 52/42 e pignoni 12-21, a cinque o sei velocità; se montavi un 23 era blasfemia, col 25 ti mandavano a casa.

Quando arrivarono le prime compact ci misi tempo ad accettarle, ancor più ad abituarmi. Per non dire delle attuali doppie da gravel abbinate a pignoni agili.

Ma per noi, semplici pedalatori amatoriali, anche con velleità agonistiche o almeno sportive, cosa serve davvero? E, preciso: non vale l’obiezione che tanto non gareggiamo, roba inutile questi discorsi. No, il motore della bici siamo noi, almeno nel mio caso è un motore fiacco, sprecare quel poco di energia che mi ritrovo pedalando male non mi sembra il caso.

Per dare un senso alla questione serve introdurre i concetti di forza e potenza.

Semplifico.

La forza è la capacità di vincere la resistenza, che sia un peso o, nel nostro caso, quella esercitata dalle pedivelle sfruttando rapporti duri. In effetti per questo dovrei scrivere coppia di forza, perché la pedivella è a tutti gli effetti una leva.

Si misura in Newton e se per esempio un ciclista esprime 300 Newton e usa pedivella da 170 avremo:

300N x 0,170m=51 Newton metro (Nm)

Ora tutti noi sappiamo che maggiore la leva, maggiore la forza che possiamo ricavare.

Quindi viene istintivo pensare: allora allungo le pedivelle!

Infatti ricalcolando con pedivelle più lunghe abbiamo:

300N x 0,175m=52,5 Nm

E allora perché non usiamo tutti pedivelle lunghissime?

Anzitutto perché la lunghezza pedivelle è determinata dalle quote antropometriche del ciclista, si può scegliere una misura misura vicina (per esempio passare da 170 a 172,5 o viceversa) in determinati usi specifici ma non andare oltre.

E poi perché più lunga la pedivella più ampia la circonferenza della rivoluzione completa del pedale, con conseguente abbassamento della cadenza.

Come per tutto nel ciclismo bisogna trovare il giusto compromesso tra differenti esigenze.

La potenza che viene misurata in watt è più complicata da spiegare, provo a semplificare.

La potenza è il risultato tra forza applicata sui pedali (in Newton) e la velocità con cui la esercitiamo, ossia la cadenza di pedalata.

Sempre sulla via della semplificazione, del resto qui non mi rivolgo ai professionisti quindi lasciatemi passare qualche licenza, possiamo ridurre il tutto a una formula:

Potenza (watt)= Forza (Newton) x Cadenza di pedalata (RPM)

Quindi possiamo esprimere gli stessi watt usando più forza ma cadenza inferiore.

Oppure usando meno forza ma cadenza superiore.

Significa che la stessa salita a identica velocità richiederà una forza minore o maggiore a seconda della scelta rapporti, che si traduce nella nostra capacità di gestire rapporti duri o agili.

E qui sta di fatto l’inghippo per noi amatori, che certo non possiamo competere con la forza espressa dai professionisti.

Per questo prendere a modello il loro stile di pedalata, per non dire i rapporti che tirano, è privo di senso. Ricordo quando li ho visti passare su una della salite che uso per i test durante una tappa del Giro. Io lì mi sento una pasqua se, rigorosamente di 34 avanti, sono riuscito a farla tutta senza innestare il 32 finale. Loro son passati, alcuni chiacchierando, con la 53 davanti e ignoro che pignoni, troppo veloci perché riuscissi a mettere a fuoco…

Per noi, che forza ne abbiamo meno dei professionisti, è preferibile pedalare agili.

La pedalata dura determina una lunga contrazione muscolare che causa una superiore vasocostrizione e la con conseguente riduzione del flusso sanguigno ai tessuti. Che significa maggiore difficoltà a smaltire le scorie di scarto generate dallo sforzo, quindi stanchezza precoce e soprattutto, per alcuni che si ostinano convinti che così diventano magri e belli (un collaboratore del blog…) un bel mal di testa per tutta la giornata.

Noi che siamo ciclisti normali andiamo meglio con la pedalata agile, perché significa esprimere gli stessi watt ma applicando meno forza. Ma attenzione: significa anche andare più piano.

Si, perché agilità a tutta può causare problemi. Sicuramente ci sarà capitato di frullare le zampette come un criceto, trovandoci troppo presto senza fiato. Beh, il problema non è solo la lingua a terra ma la generazione di tossine.

Quindi serve equilibrio, il compromesso.

Pedalare duri è controproducente per noi amatori, pedalare troppo agile lo è altrettanto.

Il compromesso allora ce lo ha definito Moser all’inizio, dobbiamo solo rapportarlo alle nostre capacità.

Per farlo ci serve ricorrere alla tecnologia e interpretare i segnali del nostro corpo.

Né l’una né gli altri da soli bastano. 

Il sensore di cadenza diventa fondamentale, utilissimo il sensore di potenza, in mancanza ricorriamo al cardio che più o meno ci fa rendere conto dello sforzo.

Tenendo d’occhio la cadenza percorriamo più volte la stessa salita (non nello stesso giorno…) così da avere un riferimento stabile.

Attestiamo la cadenza su una valore medio alto, diciamo nel range 60-80 Rpm e partiamo con rapporti agili.

La volta successiva, le volte successive (dipende dalla frequenza con cui riusciamo a trovare il tempo) scendiamo di un pignone e confrontiamo la cadenza con la nostra sensazione di stanchezza, quella che un noto preparatore definiva “minimizzazione della fatica”

Dopo una decina di volte in cui a parità di percorso avremo variato cadenza e sforzo (scendendo di pignoni calerà pure la cadenza, inevitabile) e combinando con le nostre importantissime sensazioni (un appunto è bene prenderlo, un diario come si usava un tempo) avremo davanti a noi un quadro veritiero delle nostre condizioni fisiche e di quale stile di pedalata sia per noi ottimale.

Va da sé che progredendo con l’allenamento i valori in gioco cambiano; come va da sé che l’unico dato di cui non dobbiamo tener conto è la velocità, perché spesso ci porta fuori strada.

Non dobbiamo vincere la tappa né staccare il gruppo per arrivare soli al traguardo.

Vogliamo goderci al meglio la nostra bicicletta, la nostra uscita. Così come una corretta posizione in sella rende il giro piacevole, faticare ma senza ammazzarsi è altrettanto piacevole. Se tornate a casa stanchi e canticchiate sotto la doccia è andata bene, se stramazzate per tutta la giornata è andata male.

Per chi volesse, c’è la versione video.

Con tanto di lavagnetta…  😀

Buone pedalate

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