Nuovo codice della strada, occasione mancata

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Da pochi giorni sono in vigore le nuove norme del codice della strada, un corpus normativo che è spesso oggetto di modifiche. Tanto che lo definisco “nuovo” da quando me ne occupai per la prima volta una trentina di anni fa, per alcuni articoli che mi commissionò una rivista.

Ed è pure giusto, si tratta di norme che regolano la convivenza su strade pubbliche e prevedono una lunga serie di specifiche, parametri, obblighi per i veicoli.

E’ necessario mantenerle al passo coi tempi, col progresso. Altrimenti saremmo ancora fermi alle regole per le sole carrozze trainate dai cavalli.

Però.

Però ogni volta che si mette mano al codice della strada c’è sempre qualcosa che manca: la bicicletta.

Inutile girarci intorno: calcio e automobile sono i feticci intoccabili di questo Paese: regole si, ma senza esagerare.

E le bici sono solo un passatempo per sfaccendati se non un vero e proprio fastidio.

Ma questo significa negare il progresso e non comprendere il futuro.

La bici non è più quella dell’Italia di “Ladri di biciclette”, il mezzo povero di trasporto per i ceti meno abbienti che sognavano l’emancipazione a motore.

La bici è uno sport per una ristretta, ma non tanto, fetta di popolazione.

Ed è un intelligente, ecologico, rispettoso mezzo di trasporto per una fetta importante della popolazione. Basta guardare i numeri di vendita.

Chi si annoia con le cifre può farsi una passeggiata in qualunque nostra città e si renderà conto di quanto negli ultimi anni sia aumentato il numero di ciclisti urbani.

Soprattutto di quanti siano i ragazzi, il nostro futuro, che non aspettano i fatidici 14 anni per il motorino ma preferiscono spostarsi in bici.

Pedoni e ciclisti, lo sappiamo da decenni, sono le categorie più deboli della strada.

Privi della protezione della gabbia di metallo, ogni impatto, anche lieve, può avere conseguenze disastrose. 

Molti quintali di massa che ti arrivano addosso, anche a soli 10 chilometri orari, fanno male. Tanto. Ne porto ancora le conseguenze.

Tante energie per regolamentare i monopattini, nuovo nemico/intralcio.

Una timida stretta per chi guida parlando al telefono o usando ora un tablet e similari.

E poi? Poi il nulla.

Nulla sulla distanza minima di sicurezza in fase di sorpasso, il famoso 1,5m.

Nulla per rendere più sicuro pedalare.

Nulla su rispetto e pari dignità nell’uso delle strade pubbliche.

A parte imporci l’obbligo di accendere le luci in galleria e in tutte le condizioni di scarsa visibilità – grazie, lo facciamo già perché ci teniamo alla nostra pellaccia – i velocipedi ignorati.

Grave che nel 2021, nell’anno della Cop26, con la crisi climatica accelerata dall’inquinamento di cui siamo responsabili, non si sfrutti ogni mezzo a disposizione per la salvaguardia del pianeta, bici compresa.

Le auto elettriche non sono la soluzione. E più studio l’argomento più temo il contrario. Sono mesi che ci sbatto la testa, e finché non avrò qualche dato certo, non mi pronuncio, però gli effetti collaterali sono poco incoraggianti.

Ma è grave soprattutto per un altro motivo: questa inazione è figlia di un preciso modo di pensare che non tende a cambiare.

Seguitemi un altro poco, la semplifico al massimo.

La legge è semplicemente il mettere nero sui bianco una regola che serve a tutelare un modo di vivere che in quel momento storico è ritenuto importante e giusto.

Al giorno d’oggi tutti siamo d’accordo che uccidere è un reato, giusto? O che ridurre una persona in schiavitù non è accettabile, vero?

Beh, in questo momento in molte Nazioni uccidere non è sempre un reato; e la schiavitù esiste, seppur mascherata.

Come era anche nella nostra Penisola, in un passato non troppo remoto. In quel momento storico la vita e la persona non erano ritenuti sempre meritevoli di tutela.

Come avviene adesso per le minoranze religiose o per chi è incarcerato per il modo in cui vive la propria sfera sessuale.

In sintesi: uno stato tutela tramite le leggi i valori che ritiene importanti, quelli di cui gli interessa nulla sono ignorati.

Se uno Stato considera i diritti civili importanti li tutelerà, se li ritiene di scarso valore li ignorerà. 

Vedete, alla fine con la mobilità ciclistica il discorso è identico: semplicemente non è un valore che merita tutela.

Non lo è per questo nostro Parlamento (perché è lì la sede del potere legislativo) come per i precedenti e, temo, per quelli del prossimo futuro.

In altre Nazioni non è così, la mobilità ciclistica è tutelata, si investono cifre importanti in studi, ricerche, infrastrutture.

Anche in quelle nazioni europee che sono vere e proprie potenze dell’industria automobilistica.

Alla fine, e per l’ennesima volta, la vera notizia non è il contenuto del nuovo codice della strada: la vera notizia dovrebbe essere cosa manca.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">eraldo silba</cite>

    Buon giorno. Concordo assolutamente su tutto cio’ che ha perfettamente scritto. Dovranno passare ancora alcuni cambi generazionali per poter arrivare ad un paese “ciclisticamente civile”. Ogni giorno sia il sottoscritto che mia moglie ci spostiamo in bici (non possediamo un’auto per scelta)e ad ogni rientro ringraziamo gli angeli custodi per essere rientrati sani e salvi. Bellissima la frase che ha scritto …calcio e auto gli unici feticci in italia. Verissimo.
    Complimenti per come sa sempre raccontare di bici .

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