Non distruggiamo il gravel

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Il gravel è il fenomeno commerciale di questi anni, un re Mida a pedali capace di trasformare in fatturato qualunque bici o accessorio possiamo associargli.

Ma cosa significa gravel? Che ciclismo è?

Domande apparentemente oziose, eppure se non gli troviamo risposta non riusciamo a comprendere il fenomeno.

Un fenomeno ben più antico di quanto si creda, esploso si negli ultimi tempi ma che ha radici nell’essenza stessa dell’andare in bici.

Pensiamo solo agli albori dei grandi giri, i primi Tour de France e Giro d’Italia.

L’asfalto non esisteva, sterrati e strade bianche bianche erano la norma. Non il fuoristrada moderno che conosciamo, solo pedalare il più veloce possibile su percorsi che adesso chiamiamo gravel.

Se all’epoca era necessità, col tempo l’uso della bici per esplorare il territorio, senza lasciarsi intimidire da polvere e sassi è proseguito: con qualunque bici avessimo sottomano.

E allora è la strada che definisce il gravel o viceversa? Conta la bici usata o lo spirito della pedalata?

Del resto, tornando indietro di qualche decennio, la mountain bike è nata da bici cruiser modificate per poter essere più veloci scapicollandosi dalla colline nord americane.

Percorsi su cui già si pedalava, solo a un certo punto qualcuno ha sentito l’esigenza di inventarsi qualcosa per potersi divertire di più.

Il gravel, se lo intendiamo come “salgo in sella e vado, quale che sia la strada”, nasce con la bici stessa.

Perché porta in sé l’idea di libertà, di spazi aperti, di scoperta, di avventura.

L’esplorazione come fine ultimo.

Ogni bambino in sella alla sua prima bicicletta si è sentito novello Marco Polo alla scoperta dell’Oriente misterioso. Anche se era solo il parco vicino.

Crescendo quel bambino ha conosciuto il ciclismo sportivo, il turismo, la Mtb, quello che volete.

Ma nel cuore è rimasta a covare la scintilla di libertà, il fascino dell’ignoto; ingigantito dalla fanciullesca fantasia, d’accordo. Però in fin dei conti ogni ciclista non ha mai rinunciato a inseguire i suoi sogni.

E allora scopriamo che il travolgente successo delle bici gravel arriva da lì, dal farci tornare bambini, dalle nostre esplorazioni verso mondi per noi lontani e misteriosi, per le nostre madri appena dietro casa e guai ad allontanarci troppo.   

Uno dirà: beh, ma se ti piace andare per campi e sentieri, allora prendi una Mtb, la scelta è ampia.

Giusto, soprattutto se guardiamo all’uso della quasi totalità dei possessori di bici off road, anche specialistiche full dal costo esorbitante: andarsene in giro fuori dall’asfalto, cercare nuovi sentieri, il proprio passaggio a Nord Ovest.

Allora un altro obietterà: scusa, ma una bici così specialistica per farsi un sentiero? Non è troppo?

Giusto anche questo, però siccome sono uno che ha sempre predicato la libertà di ognuno di pedalare come meglio crede e su qualunque aggeggio a pedali gli piaccia, la questione non mi appassiona più di tanto.

E così arrivo a una mia personale risposta: è lo spirito della pedalata che definisce il gravel.

Che adesso chiamiamo così, ma fino a qualche anno fa per noi erano solo zingarate a pedali.

Serviva etichettare: senza punto di domanda.

Purtroppo io devo farlo, per necessità editoriali diciamo così. Col concreto rischio che l’uso del termine gravel renda generi equivoci, più che altro nei visitatori poco attenti. Non in voi abituali lettori, però.

E così questo pedalare che ora chiamiamo gravel per comodità, moda, marketing, quello che vi pare, è semplicemente un modo antico di vivere la propria passione, e tutti noi, in un modo o nell’altro, ne siamo rimasti affascinati sin da ragazzini.

Con la Graziella o le Saltafoss, l’olandesina o la sciccosa Carnielli Leopard con doppio ammortizzatore e cambio a cloche, alla fine contava solo andare, puntando l’orizzonte.

Crescendo le abbiamo sostituite con bici da ciclocross o trekking opportunamente modificate; o lasciate così, in fin dei conti la bici contava poco, era la voglia di esplorare che ci interessava e non ci aveva mai lasciato.

Però le modificavamo comunque, o almeno io lo facevo. Oltre trent’anni fa.

Quando all’epoca sottoposi a un noto costruttore italiano un mio progetto di bici che, ad oggi, definiremmo pienamente gravel nel senso moderno, mi sentì rispondere che una bici così non l’avrebbe voluta nessuno. Se fossi uno che si lega ai rimpianti, rimpiangerei non aver depositato un brevetto…

Ora i costruttori non solo ci credono, ma spingono forte sul gravel.

Talmente forte che stiamo concretamente correndo il rischio di distruggerlo.

Perché siamo passati dallo “spirito che definisce il gravel” alla “bici che definisce il gravel”.

Con una rincorsa rapida al modello più leggero, veloce, prestante, costoso.

Vere e proprie bici da corsa, con pesi e dotazioni tecniche capaci di farle competere su asfalto con le top di gamma di nemmeno un lustro addietro.

Oppure sull’altro versante telai di chiara derivazione off road, la comparsa di forcelle ammortizzate e soluzioni tecniche mutuate dall’universo Mtb.

Una specializzazione estrema che prima o poi, e forse il “prima” è già arrivato, snaturerà completamente lo spirito del gravel.

L’impennata dei prezzi, aiutata dalla sfavorevole congiuntura economica e produttiva, l’inutile complicazione di un mezzo che dovrebbe restar semplice, la necessaria rinuncia alla notevole versatilità in favore della prestazione potrebbero allontanare molti dalla (ri)scoperta di un modo di vivere sui pedali ricco di fascino.

Il paradosso del gravel, che poi paradosso non è, sta proprio nel suo non essere un ciclismo specialistico. Nella accezione moderna del termine.

Ben vengano modelli studiati, con geometrie e soluzioni tecniche dedicate.

Mentirei se dicessi che sullo stesso sentiero pedalo uguale con la mia Peugeot Anjou di poco più giovane di me rispetto alla moderna Trek Checkpoint AL.

Una gravel ante litteram, se vogliamo, la Peugeot; una saggia interpretazione moderna la Trek.

Dove poliedricità e usabilità sono ancora punti focali della progettazione.

Possiamo dire lo stesso della sorellina sportiva in fibra di carbonio? O di tante altre, leggere, veloci, scattanti ma anche più delicate, studiate per la “sparata” su strada bianca piuttosto che la zingarata?

Dopo una prima massiccia invasione, le gravel a tutto tondo stanno pian piano sparendo dai listini, soppiantate da modelli sempre più specialistici.

Dove a dirigere le scelte progettuali sono o la ricerca della velocità o l’attitudine al fuoristrada. Con la bilancia a pendere da un lato o dall’altro, mai perfettamente in pari come dovrebbe essere.

Finirà che fra qualche anno torneremo a crearcele noi le bici tuttofare? 

Non lo so, sono più propenso a credere che tra non molto riavremo la ricerca della semplicità, della poliedricità; e le case si adegueranno.

Evolvendo, migliorando: perché il progresso non lo fermi.

Lungo la strada già intrapresa per altre declinazioni della vita sui pedali, dove la specializzazione si traduce proprio nella capacità di farci un poco di tutto con quella bici.

Ci fa piacere vedere modelli sportivi, veloci, leggeri; lasciateci però la scelta.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Massimiliano Miselli</cite>

    “Salgo in sella e vado, quale che sia la strada” è proprio quello lo spirito, sono pienamente d’accordo.
    Senza inutili estremismi nei materiali, nelle prestazioni, nei pesi.
    Le bici “gravel” non servono a competere; in un mondo dove tutte deve essere sempre competizione, mercato e capitalismo, lasciateci bici abbastanza economiche da poter andare dappertutto senza patemi d’animo, ansia da prestazione, completino coordinato e con belle gambaccie pelose.
    Preferisco fare le mie zingarate su stradine asfaltate fuori mano, fermandomi a ogni osteria o baretto, il mio computer segna: 70 km 5 ore e 10 birre… ma se capita la carraia o il sentiero facile non mi fermo e pedalo, piano, assaporando ogni pedalata, felice, fermandomi a fare 100 foto, senza bisogno di forcelle ammortizzate, gomme esagerate o telai super reattivi….e chi se ne frega!!
    La mia gravel ha telaio in acciaio, doppia corona 46/30 pacco pignoni che arriva al 36, gomme da 38…vado quasi ovunque, libertà estrema. Il gravel nasce in USA nel cuore contadino, lontano dalle metropoli, dove hipster con barbone e camicia a quadri scorrazzano sulle loro strade bianche, nella loro splendida natura, con le loro Surly, con le loro Salsa, o con le loro bici monster fatte in casa assemblando pezzi inverosimili, nel pieno mito della libertà americana.
    Questo sarebbe il gravel, se poi noi vogliamo trasformare anche questo in un fighettismo di maniera solo per far ingrassare i padroni del vapore………..
    ciao Fabio
    max

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao max, ovviamente condivido visto che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ho solo una notazione sull’origine del gravel. Si, probabilmente il gravel moderno origina in Usa ma nasce molti anni prima se lo intendiamo come filosofia del vivere la bici. I francesi, tipico, si proclamano gli ideatori ma scovando nella storia i primi movimenti nacquero in Svizzera. Comunque queste mie sono considerazioni che lasciano il tempo che trovano, alla fine conta cosa succede oggi. E tra listini impazziti per molti motivi e case che spingono chissà dove arriveremo. Fabio

    • <cite class="fn">luigibio</cite>

      interessante il ciclocomputer che conta le birre

  • <cite class="fn">Massimiliano Miselli</cite>

    non immaginavo gli Svizzeri,…. interessante, mi vado a trovare qualche info storica, grazie…..io mi riferivo al gravel per così dire “moderno”….a presto.
    max

    • <cite class="fn">Michele Bernardi</cite>

      Dato che vivo in Svizzera, sarei curioso anch’io di avere più notizie! Potreste condividerle con me? Un grazie di cuore!

      • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

        Difficile scovare notizie, ne parlarono in un documentario del NG, quando ne trasmisero diversi in onore dei 200 anni della bicicletta.
        Era piuttosto tirata per i capelli, coi francesi che si dichiaravano inventori del ciclocross e del gravel, visto che l’usavano per addestrare le truppe (parliamo del periodo tra le due guerre…) e gli svizzeri a ribattere che loro lo facevano pure prima e quindi gli inventori erano loro.
        Insomma, siamo quasi alle beghe di condominio…
        Se invece vogliamo riferirci al gravel moderno, senza dubbio le primi bici create/modificate per essere veloci su strade bianche e sterrati risalgono alla metà degli anno ’80 negli USA. E pure qui altri rivendicano, stavolta gli inglesi che quando si tratta di campagna e fango ne hanno a iosa. E su quest’ultimo punto, porelli, pure hanno ragione per quanto gli piove…
        Ma alla fine conta poco come è nato e dove; conta solo non trasformare il più antico modo di andare in bici nell’ennesima specializzazione con orde di tifosi a darsi battaglia su monocorona, dischi, carbonio ecc ecc

        Fabio

  • <cite class="fn">Michele Bernardi</cite>

    Alla fine, sono tutte scelte individuali e se i prezzi del nuovo cresceranno, ci si adatterà alle bici usate. Il fanatismo e la massimizzazione dei profitti non sono un fenomeno recente e tanto meno legato alle bici gravel. Ognuno coltivi il suo spirito e si scelga i propri valori di riferimento. Come Max, amo anch’io improvvisare e lasciarmi guidare dall’istinto mentre amo meno le soste nei locali: ognuno ha le sue preferenze!

  • <cite class="fn">Salvatore Cara</cite>

    “alla fine contava solo andare, puntando l’orizzonte”.
    Condivido tutto quello che hai scritto, ma questa parte è anche evocativa, rimanda alla tanta voglia e al maggior tempo libero che si aveva una volta 🙂
    Per pedalare gravel (sterratoni e/o sentieri da percorrere senza il coltello tra i denti e con fondo non tanto brutto da far rimpiangere l’assenza di almeno una forcella ammortizzata) è sufficiente un semplice telaio rigido, di qualsivoglia materiale, che consenta di montare coperture di almeno 32 mm di battistrada. Per i freni bastano perfino i vecchi v-brake. Ovvio che con questi presupposti molti marchi ( a parte quelli fricchettoni tipo Surley :D) come farebbero a far digerire anche a i più boccaloni di noi listini a 4 cifre? Da qui l’esigenza di pompare la categoria con proposte sempre più specialistiche e complicate da parte dei costruttori. E finché riescono a far tirare fuori i soldoni per pedalare dove basterebbero gli spiccioli (si fa per dire :D) fanno benissimo!

  • <cite class="fn">Adriano</cite>

    Personalmente ben felice dell’attenzione del mercato a questa riscoperta; tentavo, da una decina di anni, di usare bici da strada senza scenderne dolorante dalla scomodità: e tutto un cambiare selle, posizioni, biciclette (mica cento, ma qualcuna), gomme et cetera fino all’ultimo acquisto. Bici moderna, comoda con pneumatici da 45, reggisella in carbonio ammortizzato, ruote eccellenti e geometrie (immagino) specifiche e…ho visto la luce!
    Ora non vedo l’ora di salire sulla sella (di serie non la specialissima in comodità acquistata precedentemente), ne scendo come sono salito, non rimpiango le MTB finora usate, e sono felice di pedalare! Condizionato da Fabio ho scelto una bici in alluminio con il Grx 400 (mi potevo permettere -auto regalo di pensione- anche il modello superiore in carbonio con Grx 800 ma ho scelto questa) che il “mercato” mi ha proposto, facendomi spendere poco (meno di 1500) e mi ha spalancato un nuovo mondo di turismo veloce. Insomma, la mia esperienza è più che positiva grazie alla quantità di proposte a mia disposizione…e grazie a questo blog soprattutto che mi informa e mi forma come ciclista!

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