Morire in bici è possibile: rendiamolo improbabile

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La drammatica scomparsa di Michele Negri alla Granfondo BGY ha suscitato sgomento, cordoglio, tristezza.

E spinto molti a interrogarsi sulla sicurezza in gara, pochi a ricordarsi che i ciclisti muoiono ogni giorno sulle strade, qualcuno a profittarne per la perenne caccia al facile click.

Come vi ho detto spesso, che sui social si straparli è (purtroppo) ormai nell’ordine delle cose e facciamocene una ragione; che sia la stampa di settore, professionisti quindi, a cavalcare gli umori per darsi visibilità è grave. 

E’ il caso di un articolo apparso su nota testata: la tesi finale può essere condivisa o meno, il modo in cui è costruito, tra stantia retorica, finto buonismo e pilatesco moralismo no, non è condivisibile.

Stavolta, diversamente dal solito quando vi lascio solo indizi, faccio nome e link.

L’articolo è stato pubblicato su Bike Italia, titolo Granfondo e sicurezza: quanto vale una vita?

Vi consiglio la lettura dell’ottimo articolo a firma Paolo Armellini pubblicato su Cicloweb, articolo che condivido in toto, accessibile al link in basso.

Quanto vale questo gioco: professionisti e amatori non giocano partite diverse

Qui in basso il video con le mie considerazioni, su quest’articolo, sulla vicenda, sulla sicurezza.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Franco</cite>

    Perfetto come sempre. Fuori luogo in questo contesto, ma nn posso non fare una considerazione più generale. pensare che il rischio sia accettabile per chi lavora è la cultura che giustifica i troppo numerosi e intollerabili incidenti sul lavoro che quotidianamente si verificano

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