Mi sento vintage pure io…

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Il sospetto di non essere più giovincello mi sarebbe già dovuto venire quando accompagnai mia figlia in un negozio di abbigliamento vintage: in esposizione c’era quello che indossavo io alla sua età.

La conferma dovrebbero darmela la barba che ingrigisce e qualche acciacco di troppo.

La certezza mi arriva dall’età media delle esponenti dell’altra metà del cielo con le quali socializzo più facilmente e che, oibò, è più alta di quanto preferirei.

Ma niente di tutto questo è riuscito fino ad oggi a farmi uscire dalla sindrome di Peter Pan; e poi si, noi ciclisti ci manteniamo giovani. Più o meno…

Fino ad oggi però. Il colpo mi è venuto riordinando l’armadio con l’abbigliamento ciclistico. In fondo, molto in fondo, ho pescato una maglia e un pantaloncino.

La maglia è con i colori del Team Panasonic, il pantaloncino ha quelli della Banesto.

Ora, se qualcuno di voi leggendo questi nomi ignora che siano esistiti un Team Panasonic e un team Banesto mi farà la cortesia di tacere: qualunque commento del tipo “ah beh, ma io manco ero nato” sarà immediatamente cancellato e l’autore perseguito.

La maglia è più vecchiotta del pantaloncino; però tutti e due hanno comunque i loro anni sulle spalle.

Non dico quanti, of course.

Ho recensito in rapida successione alcuni capi di abbigliamento e sono stato lì a discettare di fondelli in foam o in gel, assenza di cuciture e tagli anatomici, canali di scarico e cuscinetti.

Ecco cos’era un fondello in quegli anni: un semplice pezzo di pelle di daino (daino poi? Boh, lo millantavano tale ma secondo me era di qualche pecorella trasformata in arrosticini) e null’altro. E le selle? Iscaselle se eri un mollaccione, i duri e puri usavano la Concor.

La crema idratante da dare la sera prima, i tanti piccoli e segreti accorgimenti per renderli più comodi, la sofferenza col caldo.

E io con quel fondello passavo le ore su una Concor: l’ho rimosso dalla memoria? Probabilmente si.

E la maglia? Adesso se una maglia non è in filato messo a punto dalla Nasa, impermeabile, antivento, traspirante e con la compressione controllata per favorire l’attività muscolare manco la guardiamo.

Questa era calda, stop. Ci sudavi dentro se la temperatura si alzava, ti si appiccicava addosso in salita e ti gelavi in discesa. Ho rimosso pure questo? Già, mi sa di sì.

Perché trovandomi questi capi tra le mani non ho pensato alle sofferenza di quando li usavo. Ho ricordato solo come era bello quando li usavo. Mi hanno parlato.

E mi hanno raccontato di telai in acciaio, di gruppi Campagnolo a cinque velocità, di manettini sull’obliquo e cambiate col ginocchio in discesa, di tubolari da 19, di cavi esterni, di pedali a gabbietta, di cinturini da allentare per tempo per non cadere o stringere per lo scatto assassino, di orizzontali che erano proprio orizzontali ché virtuale manco sapevi cosa significasse, di 42 da spingere in salita col cuore impazzito e le gambe in fiamme, di pignoni da 21 che se li montavi eri scarso, di quel rapportone che tiravi per forza di volontà perché ormai non ne avevi più; di quando condividere una uscita significava parlarne la sera con una birra in mano e non pubblicare schermate con percorsi e media su qualunque social esista, i selfie si chiamavano autoscatto e guai a sbagliarlo ché le pose 36 erano e se era venuto una schifezza lo scoprivi solo dopo lo sviluppo, in tasca avevamo un paio di gettoni telefonici per le emergenze e sul telaio la scritta col nostro gruppo sanguigno.

Era un ciclismo migliore? Era un ciclismo fatto di fatica e sudore, di sacrificio e sfida con se stessi; ed era un ciclismo con le stesse fisime, le stesse sciocchezze e gli stessi luoghi comuni di adesso.

Alla fine era ciclismo come è ciclismo quello attuale. Ci sembra più dolce, più eroico, più vero solo per la dolcezza dei ricordi che ci fa dimenticare la sofferenza.

Perché i ricordi non sono la realtà; Proust, uno che col tempo passato ci sguazzava, diceva che “Il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente”.

E io, a dir la verità, adesso con quei pantaloncini non farei nemmeno le vasche sul lungomare, dolci ricordi o meno…

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">alfaluna</cite>

    🙂

  • <cite class="fn">Roberto Carlone</cite>

    Ciao ti capisco io ho ancora la divisa della Carrera cge sfoggio quando fa freddo perché ancora molto bella e sotto maglietta e pantaloni sempre Carrera con pelle daino ma sempre santini .. tessuti che rimangono nel mio guardaroba e bel mio cuore ps possiedo la mia bici olmo con cambio campagnolo telaio n acciaio Columbus cromor che adesso uso per sterrati con gomme da 28 ma ho visto che nei cataloghi di marche note sono ancora menzionati peso circa 10 chili Buona pedalata roby

  • <cite class="fn">Giovanni</cite>

    Personalmente,e non sò se più per masochiasmo che altro, ogni tanto mi regalo l’uscita con la mia “vecchietta”. Monta un Campagnolo Gran Sport con 52-42 avanti ed un bel pacco da 6 pignoni dietro ed una bella coppia di pedali coi cinturini e dulcis in fundo una “comoda” Sella San Marco. Mi piace ricordare da dove siamo partiti prima di perderci, ora come ora, in conversazioni su numero di velocità, su pesi da risparmiare levigando il grammo, su componenti elettronici ect

  • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

    Nessuno ha io coraggio di scrivere “ah, io non ero ancora nato?”
    Bene, meglio così…
    😈 😈 😈 😈

    Fabio

  • <cite class="fn">Luca</cite>

    Io ogni tanto sfoggio con lacrimuccie mie e di chi mi vede passare la Carrera Jersey di Pantani…quella con i guantini stampati a simil tessuto Jeans.
    😀

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