Limiti, scelte progettuali e preferenze personali

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Tantissimi test pubblicati in questi ultimi mesi e tanti altri ne leggerete sino all’arrivo della stagione estiva.

E sui quali non mancano i vostri interventi, sia tra i commenti che tra la posta che ricevo. E in quest’ultimo caso non mancano nemmeno richieste di delucidazioni o dubbi sul perché un dato elemento lo abbia o non lo abbia considerato un difetto, un limite.

Domande che stanno diventando sempre più frequenti con l’anno nuovo, cioè da quando ho deciso di aprire la finestra sul ciclismo urbano provando accessori, componenti e abbigliamento adatti a più usi. Che quindi fanno del compromesso la loro virtù: la loro specializzazione è proprio l’assenza di specializzazione.

Ed è anche, lo sapete, il mio modo di condividere con voi la metodologia dei test; una sorta di dietro le quinte che aiuta a comprendere come e perché arrivo a determinati risultati.

Significa pure intrecciare con le mie preferenza personali, che dettano la linea editoriale ma non i risultati. Un aspetto molto importante, perché è da qui che parte tutto.

Ma non inizierò da questo. Seguirò lo schema del bruttissimo titolo (mai saputo titolare…) e partirò con la differenza tra i confini che derivano dalla scelta progettuale e il vero e proprio difetto.

La prima domanda che qualunque tester deve porsi è: questo prodotto riesce a far bene quello per cui è stato pensato?

Sembra semplice, ma se guardiamo a cosa offre il mercato scopriamo come tantissimi prodotti possono avere più usi, fanno del compromesso tra diverse esigenze il loro punto di forza. Nel lessico comune la parola “compromesso” non è vista di buon occhio; le si attribuisce, erroneamente, un significato al ribasso, si pensa a patti oscuri, si sminuisce. Non è così. Temperare tra molte e spesso contrastanti necessità è compito difficilissimo e chi vi riesce merita il mio rispetto.

Quindi tocca stilare un protocollo di prove cercando di affrontare tutte le condizioni che quel prodotto potrebbe essere chiamato ad affrontare nella sua vita a pedali.

Ma senza travalicare i confini di progettazione, anche se alcune eccezioni possono essere ammissibili. E a volte necessarie per capire sino in fondo dove è possibile spingersi.

Mi spiego con un esempio: prendiamo le scarpe Shimano MT7 di cui avete appena letto il test. Una scarpa da trekking, non un leggero e rigido scarpino sportivo. Che ha dimostrato di essere efficace, e parecchio, nel trasferire energia sul pedale.

Come un leggero e rigido scarpino sportivo? Assolutamente no. E’ una scarpa morbida, fatta anche per camminare e i progettisti hanno lavorato sul compromesso. Quindi ne è risultata una scarpa si efficace nella spinta ma sempre e solo circoscrivendo l’ambito di utilizzo e, di conseguenze, le pretese. Chiederle di fare qualcosa per cui non è stata pensata e scrivere poi che non lo fa bene sarebbe un pessimo servizio reso ai lettori, perché non li aiuterebbe a decifrare il prodotto.

Poi succede che durante un test scopra qualità inaspettate o un rendimento superiore a quanto sarebbe lecito chiedere. Così mi incammino sulla strada dell’eccezione, sono io che travalico i confini e cerco qualcosa in più. Mi ha appena dimostrato che in tutto ciò per cui è stata pensata riesce ad eccellere: alzo il tiro.

Del resto, soprattutto con prodotti destinati a più usi, succede che il ciclista affronti anche situazioni non previste. Che fa? Torna indietro a cambiarsi? No, pedala e tira avanti.

Però è fondamentale specificarlo. E infatti quando sottopongo a prove che vanno oltre, nel testo puntualizzo sempre che, appunto, ho voluto provare qualcosa in più.

Ho da poco chiuso le prove di materiale dedicato al fuoristrada leggero o gravel che dir si voglia. Tra questi i copertoncini Kenda Small Block, di cui leggerete la prova su strada ma non a breve.

Alla fine delle prove ho visto che sul mio notes hanno collezionato ottimi punteggi in tutte le situazioni tipo; anche in qualcuna meno pertinente, come il pavé. Del resto, ho pensato, uno mica sta lì a cambiar gomme ogni mattina a seconda di dove andrà.

Così sono andato oltre e complici le piogge copiose dei giorni in cui pedalavo con queste gomme, me ne sono andato per boschi. Terreno pesante, molto pesante, una situazione del tutto fuori norma per queste gomme dalla bassa e fitta tassellatura.
Ho perso il conto delle scivolate prese con questi copertoncini trasformati in ciambelle glassate di fango; e non c’è stato verso di affrontare una salita appena più ripida senza perdere trazione. Più volte mi sono letteralmente piantato, quasi caduto da fermo perché al primo cambio di pendenza la bici si fermava lì, con la mia pedalata del tutto a vuoto.

L’ho messo nella colonna dei difetti? Ovviamente no. Non è gomma da fango, sapevo sarebbe successo. E allora perché me ne sono andato uguale per boschi? Perché anche questo fa parte di un test; perché messo nelle sue condizioni ideali di utilizzo si è rivelata una ottima gomma; perché un ciclista potrebbe trovarsi a uscire col bel tempo e beccare pioggia due ore dopo; perché mi serviva la certezza (tutto ciò che scrivo è perché l’ho provato, non dedotto) di potervi dire che se il terreno è pesante meglio mettersi la bici in spalla. E soprattutto perché dopo aver fatto benissimo tutto nel suo campo di utilizzo, ho voluto chiederle qualcosa in più. Se ci fosse riuscita, a suo merito; altrimenti va bene così.

Non un difetto quindi: la gomma non è studiata per questo, ne abbiamo la conferma, punto. Spingendomi oltre il suo limite ho potuto inquadrare meglio l’uso.

Sembra talmente logico, banale direi, che non dovrebbe nemmeno essere spiegato. Invece, a guardarsi intorno tra i tanti test e commenti che leggo in rete, proprio sembra non tutti arrivino a capire la differenza tra una scelta progettuale e un vero e proprio errore.

E via con giudizi sferzanti, con difetti inesistenti, con problemi che sono 99 volte su 100 un problema solo di chi quel componente o accessorio ha male usato, peggio montato e ancor peggio descritto.

Non è rendere un buon servizio al lettore.

Perché i lettori si fidano, cercano da te risposte, vorrebbero informazioni. E le vorrebbero oggettive.

E così arriviamo a un punto fondamentale per chi decide di scrivere di ciclismo, che è passione e non fredda cronaca: le preferenze personali.

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un articolo che aveva una bella premessa, qualcosa del tipo: pedalo solo con ciò che serve a me, questo è il mio ciclismo. Ho pensato fosse un ottimo modo di aprire, l’efficace sistema per chiarire subito che le parole che avrebbero seguito erano frutto dell’esperienza personale e su questa calibrate. Non una verità spacciata come assoluta, buona per tutti.

La delusione è arrivata subito: una sparata senza né capo né coda, infarcita di assurdità vanamente rivestite di una scientificità che non esiste e dove il suo modo di pedalare veniva propagandato come l’unico vero modo di andare in bici: gli altri dicono solo sciocchezze.

Ognuno libero di professare il proprio credo: ma che sia chiaro che è il proprio credo, non quello a cui ogni ciclista deve uniformarsi.

Anche io ho le mie preferenze; e vi assicuro che non è facile lasciarle fuori la porta quando inizio a battere sulla tastiera.

La linea editoriale è stabilita sulle mie preferenze, quello si. Manca del tutto il mondo Mtb perché, lo sapete, sono bici che non mi coinvolgono. Significa che le seguo poco, non sto dietro a tutte le novità, non ne ho una conoscenza approfondita da poter giustificare il tempo che impieghereste a leggermi. Quindi, semplicemente, non le tratto. Poi chissà, un giorno magari mi convertirò 😀

Ma una cosa è decidere quali argomenti affrontare, tutt’altra il modo in cui questi argomenti li affronti.

Non rinuncio a raccontare il mio ciclismo, la mia vita sui pedali. Però lo faccio in una sezione dedicata: “Pensieri su due ruote”. Dove raccolgo i miei pensieri, come questi che state leggendo. Un diario, per sua stessa natura personale e quindi figlio della mia visione del ciclismo. Che non propongo come universale.

A volte mi hanno definito un web influencer; e io sono andato a cercarmi che significa.
Posso dirvi in tutta tranquillità che non lo sono e mai vorrò esserlo. Le mie idee, le mie preferenze, il mio modo di vivere il ciclismo è solo mio. Non è universale. Non pretendo piaccia a tutti né intendo propagandarlo come l’unico verbo ciclistico.

E’ come il discorso della “bici perfetta”, quel felice imput che pubblicai nel mio libro: “Anni di alchimie meccaniche mi hanno insegnato due cose: la prima è che la bici ideale non esiste, la seconda è che la bici perfetta esiste. Non esiste la bici ideale per tutti, esiste la bici perfetta per ogni ciclista, e io ho trovato la mia. Che a un altro non piacerà, la troverà pesante, leggera, poco sportiva, troppo sportiva, comoda, scomoda, tutto e il suo contrario, perché ogni ciclista è una storia a sé. Una bicicletta deve essere bella da pedalare e bella quando è ferma. Una bicicletta la dobbiamo anzitutto meritare. E per meritarla dobbiamo capirla

Ricordo quando scrissi quella frase. Ero in incredibile ritardo sulla consegna, dopo aver cancellato completamente la prima stesura che mi aveva del tutto insoddisfatto. Avevo davanti la mia scrivania Elessar che riposava tranquilla (la prima Elessar, quella che poi mi hanno sottratto) e provavo a cercarle un difetto. Nessuno, era esattamente la bici che volevo e che avevo pensato. Ma era la mia bici, non la bici adatta a chiunque. Guardavo lei e le dita scorrevano sulla tastiera. Rilessi il periodo e pensai “Però, bellina questa, mi è venuta a botta di c..o ma ci sta proprio bene”. Eh si, a volte anche per scrivere serve fortuna…

Nessuno, nemmeno chi mi detesta (e ce ne sono…) può dire di aver mai letto da qualche parte che io abbia scritto che il mio modo di vivere la bici sia quello giusto: tutti gli altri solo sciocchezze.

Però c’è il però. Questo blog non nasce e vive come progetto editoriale in senso stretto. Non è un lavoro, anche se l’impegno è quello. E’ qui per passione e basta. E’ la passione a muovermi.

Impossibile quindi restare del tutto asettico, impersonale. Qui e là il cuore fa capolino e a volte mi lascio trascinare dall’entusiasmo.

Sono diversi giorni che pedalo con le Pirelli PZero, per i test di tutta la gamma. Sono partito dalla versione S4: tenuta eccezionale, appoggio in curva stupendo, velocità di reazione, senso di sicurezza, comunicativa, tutto di altissimo livello. Onestamente, come faccio a non farmi prendere dall’entusiasmo?

Allo stesso modo, come faccio a rimanere freddo davanti alla bellezza delle lavorazioni del portapacchi BacMilano? Oppure nell’aver scoperto l’attacco manubrio Redshift ShockStop, che mi ha cambiato il modo di pedalare? Un semplice, si fa per dire, attacco ammortizzato che ha trasformato una bici onesta ma nulla di sconvolgente come la London Road in una bici capace di affrontare ogni percorso, tanto di diventare indispensabile in moltissimi test?

Però, chiedo: il mio entusiasmo ha mai inficiato i risultati di un test? Mi ha mai portato a sottovalutare o, peggio, tacere, qualche limite oggettivo? Non credo, ma solo voi che mi leggete potete rispondere.

Perdonerete il tempo che vi ho sottratto con queste mie parole. Mi piace condividere con voi la vita di questo blog perché è mio di nome ma vostro di fatto.

I test sono diventati da tempo una colonna portante; per me svolgerli significa anzitutto aiutarvi a conoscere. Anche conoscere come li svolgo.

Parafrasando me stesso: per conoscere, dobbiamo capire.

Buone pedalate

COMMENTS

  • <cite class="fn">Eugenio</cite>

    A mio pare i tuoi test li giudico sempre validi ed esaustivi proprio per il fatto che non ti limiti a provare l’oggetto barricato nel suo perimetro di utilizzo ideale o perfetto, sei tu a costruirlo il perimetro, diventa un risultato della prova e non un dato di partenza.

    Proprio questo da modo a chi legge di trarre delle considerazioni circa cosa si può fare Veramente con quella sella o quella ruota, dove dimostrerà i suoi limiti, dove metterà in evidenza le peculiarità migliori eccetera. Hai sicuramente un onestà intellettuale non comune, alimentata anche da fatto (non secondario) che non hai connivenze con produttori, distributori e editori. Fai un lavoro unico, almeno nel panorama italiano che è quello che riesco a seguire io.

    Io non ho mai troppe risorse economiche da destinare alle bici, quindi salvo poche eccezioni uso ciò che ho fino a quando non sono costretto a cambiare per guasto o per usura, e quando scelgo una gomma o dei freni che siano per la bici da corsa o per la tuttofare da citta/escursione/montagna lo faccio sempre tenendo a mente una certa polivalenza dell’uso.

    Sono sempre netti nei tuoi articoli i cambi di passo fra il dato oggettivo e la “penna dello scrittore” e danno quel tocco un pò romantico che non guasta mai quando si scrive di oggetti che per quanto governati da principi di carattere tecnico e fisico coinvolgono molto anche gli aspetti più emozionali delle persone che poi utilizzano questi oggetti, e ciò vale non solo per le bici ma anche per le auto, le moto, attrezzature fotografiche e chissà quante altre cose.

    Ciò che resta determinante è riuscire ad avere un quadro completo e preciso della situazione alla fine della lettura, dare al lettori i giusti elementi per fare poi le proprie valutazioni personali, nei tuoi scritti sul blog per quanto mi riguarda gli elementi ci sono sempre tutti. E’ ogni tua osservazione, ogni aneddoto aggiunto sotto l’onda dell’entusiasmo allieta solamente la lettura, sennò che lo leggiamo a fare il blog?? Non è mica una sterile raccolta di report da laboratorio prove e misure??

    P.S – Non sono sparito, è solo che fra lavoro e famiglia anche il tempo per stare al pc è sempre meno, quello per andare in bici non ne parliamo che è meglio!

    Ciao, Eugenio.

    • <cite class="fn">Elessarbicycle</cite>

      Ciao Eugenio, ma lo sai che proprio l’altro giorno mi chiedevo che fine avessi fatto? Benritrovato.
      Grazie per le gentili parole, soprattutto nella scelta dei termini. Connivenza no, nessuna. Rapporti si, per forza, altrimenti come farei ad avere il materiale? Mica piove dal cielo. Ma sono rapporti “istituzionali”, tra me è uffici stampa, agenzie o manager del marketing. Poi certo, col tempo in alcuni casi è nato un rapporto di reciproco rispetto e stima (penso a Sergio di rosebike, Ulysse di Met helemets e tanti altri che se non cito non me vogliano ma è solo per non allungare la lista) ed è nato proprio perché mai hanno voluto interferire o pilotare in qualche modo.
      Si, ogni tanto divago; è un modo per alleggerire i toni, rendere la lettura più piacevole e farvi partecipi di cosa succede.
      Dal di fuori sembra tutto facile, solo divertimento. Che pure c’è, ma per arrivarci…

      Fabio

  • <cite class="fn">Luca</cite>

    Complimenti Fabio, è sempre un piacere leggere quello che scrivi, non soltanto per i contenuti.

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