In bici senza stress

Tempo di lettura: 2 minuti

Quanto incide lo stress quotidiano sul nostro andare in bici? 

Non siamo professionisti, stipendiati per allenarci.

Il nostro pedalare è sempre un tempo ritagliato tra tanti altri. Il lavoro, la famiglia, diversi interessi ché non si vive di sole bici.

Allenarsi in bicicletta non è solo far frullare le gambe, il motore siamo noi e dobbiamo curarlo tutto il giorno, ogni giorno.

Non significa diventare fondamentalisti, cosa che io non sono mai stato. Significa che una notte di sonno saltata, l’impegno per quel lavoro difficile che ci tiene la mente occupata, la difficile situazione che tutti stiamo vivendo da due anni, un problema in famiglia e tanto altro sono tutti elementi che incidono sulla nostra testa.

E in bici la testa conta spesso più delle gambe.

Saltiamo in sella non solo per allenarci ma spesso proprio per sfogare tutta questa tensione, attraverso l’esercizio fisico, la fatica fine a se stessa, e liberiamo la mente dai cattivi pensieri.

Tornando a casa stanchi ma carichi, fischiettando sotto la doccia.

O almeno così dovrebbe essere.

Escludo da questa mia chiacchierata (non scientifica, sia chiaro) i ciclisti frustrati, quelli perennemente arrabbiati col mondo perché qualcuno è stato più veloce e vivono solo per stare davanti la domenica in gruppo. 

No, preferisco concentrarmi su noi ciclisti per passione, presi tra mille impegni, che proviamo a pedalare quando possiamo senza altre priorità a esigere la nostra attenzione.

E che ci rendiamo conto come quel giorno la gamba non giri per il verso giusto.

La ricerca del pignone più leggero lì dove non l’abbiamo mai impegnato, la deviazione per accorciare il percorso o evitare quella salita, la stanchezza che ci prende una volta a casa. Una stanchezza diversa, malsana direi.

Succede, quel giorno la nostra testa era altrove e il fisico ne ha risentito.

L’importante è capirlo e non farne un dramma.

E soprattutto non commettere l’errore di interpretarlo come un calo fisico che richiede più allenamento.

Perché è l’errore più comune.

Se quella salita per noi semplice questa volta è stata nemica non significa per forza un calo di forma; se il nostro giro classico abbiamo dovuto tagliarlo di qualche chilometro non vuol dire sempre che abbiamo bisogno di più allenamento.

Eppure è proprio l’errore che vedo commettere spesso da tanti ciclisti.

Guardano i dati del ciclocomputer e stabiliscono subito un allenamento molto più faticoso, convinti di colmare il gap.

Ma non succede, anzi, avviene proprio il contrario. Perché alla stanchezza mentale, vera causa del nostro calo prestazionale, si aggiunge un plus di lavoro che stressa il fisico.

E si aggiunge ulteriore stress mentale, perché subentra la frustrazione nel non vedere arrivare risultati.

Un circolo vizioso, ci si sottopone ad un allenamento ancora più faticoso sperando di vederne i frutti, ci si stressa ancor più nel fisico e nella mente e non se ne viene fuori.

Io non sono un preparatore atletico, non sono uno scienziato del settore, quindi non ho ricette e soluzioni certe da proporvi.

Ho qualche anno di esperienza, sono passato anche io in queste fasi, ne ho attraversate di assai peggiori e pare sia vero che proprio dalle difficoltà riusciamo a imparare qualcosa.

Ho imparato che la bici (come tutto del resto) non deve mai essere l’unica ragione di vita. Altrimenti basta una settimana di pioggia e uno va in crisi.

Ho imparato che allenarsi fuori dall’uscita è importante quanto pedalare. E significa cercare di mantenere uno stile di vita sano, non per forza passare ore in palestra.

Ho imparato che dobbiamo sempre fare i conti con la nostra vita del momento. Una cosa è avere 20 anni e solo gli esami universitari da programmare, altra averne 50 e una famiglia di cui prendersi cura.

Ho imparato che un calo di prestazioni non è una tragedia. Succede, e deve essere solo spunto per capirne la cause.

Tempo fa, intervistando il grande Moser, mi colpì quel suo Per 10 o 15 anni faccio una vita come un frate, una vita monacale e faccio il corridore”, insomma.

Perché aveva perfettamente inquadrato cosa significa dedicarsi al nostro sport; ci mancherebbe, parliamo di Moser, mica di Fabio scribacchino a pedali, embé.

Ma lo Sceriffo parlava di corridori professionisti, che ambiscono a risultati.

Noi no.

A noi basta avere quella forma fisica decente per chiudere la nostra zingarata a pedali senza stramazzare. 

Vita monacale non serve, qualche attenzione si. 

Non serve ammazzarci sui pedali o in palestra, pesare al milligrammo la pasta e il pane, usare il contagocce con l’olio e fulmini dal cielo se alle 21 non siamo a letto.

Non esageriamo.

Rinunciamo semmai all’ascensore, godiamoci una passeggiata, evitiamo la pizza fritta sette sere su sette ma senza diventare asceti.

Perché nella vita non esiste solo la bici, la nostra testa ha bisogno di essere libera dai pensieri brutti e una serata in famiglia, visitare una mostra interessante, goderci un bel libro, ammirare un paesaggio, andare una sera a teatro o a un concerto e così via sono tanti piccoli piaceri che aiutano a vivere meglio.

Quando un paio di settimane fa mia figlia mi ha proposto una mattinata in giro insieme, ho dismesso immediatamente il travestimento da ciclista appena indossato e sono uscito a passeggio con lei. E quando mi ricapita, ha quasi vent’anni, figuriamoci se vuole passare il tempo con quel matusa del padre…

Siamo fortunati, viviamo in quella parte del mondo che queste cose può permettersele; non siamo una nazione in guerra o allo stremo.

Non creiamoci problemi immaginari, affrontiamo quelli reali che spesso sono poca cosa se visti dalla giusta prospettiva e pedaleremo meglio.

Vivremo meglio, anche quando siamo senza bici. 

Perché una bicicletta deve essere sempre un piacere, mai fonte di stress.

Buone pedalate.

COMMENTS

  • <cite class="fn">Max</cite>

    Parole sante. Sono i piccoli piaceri quotidiani che rendono felici, “I’m easy” cantava una volta Keith Corradine, sport in ambiente, non solo bici, un trek in montagna, godere del mare anche in pieno inverno, un buon libro vicino alla stufa mentre le castagne bollono sul fuoco, gli affetti famigliari, una buona cena, serve poco altro…..lo stress competitivo fa male alla salute. Ciao Fabio

  • <cite class="fn">Francesco Terlizzi</cite>

    Proprio vero quello che scrivi, mi è capitato con il tennis e smisi di giocare per quasi dieci anni, poi ho metabolizzato che i vent’anni erano passati ed oggi mi diverto e basta, mi scarico e sento meglio dopo un’ora di palleggio o di pedalata!

  • <cite class="fn">morescopiero</cite>

    Condivido tutto Fabio.
    Anche per me il pedalare, meglio se lontano, è un immenso piacere e uno sfogo.
    La forma fisica la ritrovo non nelle prestazioni ma in quello che il pedalare mi restituisce alla testa e se piove anche una settimana pazienza; mi rassereno facendo manutenzione e coccolando le mie bici pensando a cosa mi restituiranno

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